Letto: 14310 volte | Inserita: domenica 12 marzo 2017
| Visitatore: Teresa
Ho scoperto sulle braccia di mia figlia numerosi tagli. So che è un atteggiamento diffuso tra gli adolescenti: mi devo preoccupare?
La diffusa e attuale tendenza da parte di adolescenti (soprattutto ragazze), di tagliarsi, incidere e ferire la superficie della propria pelle (in genere di gambe e braccia), con lamette, coltelli, temperini o quant’altro, si chiama “cutting” ed è una forma di autolesionismo attuata in modo deliberato e ripetitivo.
Non c’è un’unica spiegazione sui motivi di un tale comportamento. In genere si evidenziano storie comuni di solitudine, incomprensioni e incomunicabilità con i genitori, oltre a una scarsa accettazione di sè stessi e una bassa autostima. Ciò che è certo è che il corpo e le sue modificazioni autoindotte sono il mezzo da parte di questi giovani per comunicare un potenziale disagio. Se da una parte infatti le autolesioni, i tagli e le bruciature sembrano essere l’unico modo per bloccare un’angoscia troppo intensa e insostenibile, tanto da preferire il dolore fisico e agito a quello mentale ed emotivo, dall’altra parte tali comportamenti sembrano essere un appello rivolto “all’altro”, una ricerca di aiuto espressa attraverso l’immagine sfregiata del proprio corpo.
La sofferenza psicologica diventa infatti talmente intensa da non riuscire a verbalizzarla: l’unico modo per non esserne schiacciati e per trovare un sollievo almeno provvisorio, è esprimerla attraverso il corpo. Il dolore fisico li aiuta a recuperare il contatto con sè stessi: dà loro la sensazione di riuscire a “sentire” se non la propria vita, almeno il proprio corpo.
Il cutting non è quasi mai associato alla volontà di togliersi la vita ma anzi manifesta il desiderio di esistere, di esprimere la propria indipendenza affettiva dai genitori o addirittura una sfida nei confronti delle regole che questi vogliono imporre, un modo non sano per esprimere la propria fragile soggettività, in un momento, come quella adolescenziale, in cui si ricerca la propria identità.
Scoprire che un figlio mette in atto tali comportamenti autolesionistici procura sicuramente sentimenti di preoccupazione, rabbia, paura, ansia e senso di inadeguatezza del proprio ruolo genitoriale. Ma è importante concentrarsi sul ruolo positivo che si può avere nel recupero del figlio.
Incoraggiarlo a parlare apertamente e senza vergogna di ciò che lo affligge, evitando il giudizio, le punizioni, le minacce, lasciando spazio alla comprensione e facendolo così sentire accettato nel suo dolore, sono i primi passi che un genitore può compiere. La comunicazione è la strada maestra per accogliere i pensieri e le emozioni del figlio in evidente difficoltà. Parli con sua figlia: è l’unico modo per aiutarla.
Risponde
MORENA LEONE - Psicologa clinica e psicoterapeuta, operatrice di training autogeno. Attualmente collabora a Bari in qualità di formatore nel settore psicopedagogico, oltre a esercitare la propria attività come libera professionista.