di Gaia Agnelli

La storia del barese Matteo: grazie al calcio sopravvisse in guerra alla prigionia in Sudafrica
BARI - «Il calcio è stato la salvezza di mio padre, sopravvissuto al più grande campo di concentramento per prigionieri di guerra italiani». Sono le parole di Giovanni De Benedictis, 67enne barese figlio di Matteo, uno dei reclusi di “Zonderwater”: un luogo del lontano Sudafrica in cui durante la Seconda guerra mondiale furono internati 94mila connazionali. Una vera e propria città delimitata dal filo spinato, i cui “abitanti” trovarono una sola ragione per vivere: il gioco del pallone. (Vedi foto galleria)

Sì perché lì, dal 1941 al 1946, si tennero partite, tornei e campionati tra detenuti, con tanto di squadre, divise e pubblico, composto da altri prigionieri. Un’incredibile pagina di storia dimenticata, tornata alla luce solo dopo la pubblicazione nel 2010 di “I Diavoli di Zonderwater”: un libro a firma del giornalista Carlo Annese, dal quale nel 2021 è stato tratto un documentario televisivo a cura di Federico Buffa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Fortuna che quel giorno ero davanti allo schermo – commenta Giovanni, che incontriamo nel Museo dello sport di Bari, che a Zonderwater ha dedicato un angolo della sua collezione fotografica -. Mio padre infatti in tutta la vita non ci aveva mai parlato di questa sua esperienza, probabilmente perché non voleva ritornare con la memoria a quel triste periodo. Quando però vidi il documentario andai subito con la mente ad alcune vecchissime foto riposte in un cassetto in cui lui appariva su uno strano campo di calcio, con persone a me sconosciute. Così subito dopo il servizio andai a frugare tra i suoi ricordi e quello che scoprì fu sconvolgente».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

De Benedictis si ritrovò infatti tra le mani scatti in bianco e nero che ritraevano dei giovani in un campo da calcio con indosso una divisa sportiva, pantaloncini, scarpette e calzini, in posa dietro a un pallone di cuoio. In altre immagini si vedevano azioni, passaggi e colpi di testa. All’apparenza sembravano normali partite tra amici, ma le foto nel retro riportavano un scritta: “blocco 11, campo 43, Zonderwater 16.1.46”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E qui l’uomo capì che il padre, morto nel 2007, in tanti anni gli aveva nascosto qualcosa di importante. Si mise così alla ricerca della verità, riuscendo in poco tempo a ricostruire un intricato puzzle.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Papà, barese classe 1919, si arruolò in Marina con mansione di fuochista – racconta Giovanni -. Gli inglesi però lo catturarono tra le acque del Mar Rosso nel 1941, assieme a tanti altri ragazzi che combattevano per la patria come lui».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Furono infatti oltre 94mila gli italiani deportati in Sudafrica, Paese che faceva parte del Commonwealth. I connazionali vennero trasportati nella capitale amministrativa Pretoria, dove ad attenderli c’era il più grande campo di concentramento destinato agli abitanti dello Stivale: Zonderwater, letteralmente “senz’acqua”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’aspetto era quella di una tendopoli divisa in 14 unità, ognuna dalla capacità di 8mila mila e a sua volta suddivisa in quattro campi da 2mila uomini l’uno. Matteo risiedeva nel blocco 11 del campo 43 e come i suoi compagni cercava di preservare le forze grazie alla razione di cibo quotidiana: due fette di pane, acqua, caffè, latte e occasionalmente carne o pesce.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«La vita lì non era delle migliori  - spiega Giovanni -. Ma tutto cambiò quando salì al comando il colonnello Hendrik Fredrik Prinsloo, grandissimo appassionato di sport. Fu lui a capire che l’attività fisica poteva salvaguardare corpo e mente di tutti i reclusi e così decise di trasformare la tendopoli in una sorta di centro sportivo, con campi di calcio, boxe, scherma, atletica leggera, basket, pallavolo e tennis. In più fece realizzare ospedali, teatri e biblioteche, dando l’aspetto di un “paradiso spinato” a quello che fino a quel momento era stato solo un totale inferno».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


In particolare fu il calcio, lo sport più amato al mondo, a divenire l’assoluto protagonista di Zonderwater. Prinsloo organizzò infatti tornei tra i vari blocchi, premiando i giocatori con una scodella di cibo in più. Fino al 1947 il campo di concentramento ebbe così un suo seguitissimo campionato, che fu vinto però quasi sempre dai “Diavoli Neri”, squadra che contava tra le sue fila la mezzala del Torino Giovanni Vaglietti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Le gare avevano cadenza settimanale e vedevano sfidarsi Diavoli Neri, Diavoli Rossi, Savoia (dove militava probabilmente Matteo), Olimpia, Andrea Doria, Vittoria, Virtus, Duca d’Aosta, Velox, Tevere, Olubra e Ospedale. Ciascuna squadra con la sua divisa e il suo tifo. Esistevano anche un calciomercato e le multe, che in assenza di moneta si pagavano in sigarette.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«I migliori tra i calciatori internati formarono persino una rappresentativa che ogni mese affrontava amichevoli con i militari inglesi e sudafricani – sottolinea Giovanni –. “Nazionale” che contava non solo su Vaglietti ma anche su mio padre, che vestiva il ruolo di libero».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per cinque anni dunque, fu lo sport e in particolare il calcio a far scorrere più velocemente la prigionia a migliaia di giovani. Anche se a dire il vero la situazione per i reclusi era nettamente migliorata già nel 1943, quando il nuovo capo del governo Pietro Badoglio aveva annunciato l’armistizio e la resa dell’Italia agli Alleati. Il comandante Prinsloo a quel punto chiese agli abitanti di Zonderwater da che parte volessero schierarsi. I circa tremila fedeli a Mussolini furono isolati nel quinto blocco, a differenza di coloro che, dichiarandosi “cooperanti non fascisti”, furono liberi di vivere e lavorare nelle campagne limitrofe al campo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In molti, soprattutto a guerra finita, cominciarono così a tornare a casa, altri scelsero di restare in Sudafrica, ritenendo ormai l’Italia un Paese completamente diverso da come lo avevano lasciato. La “città senz’acqua” continuò comunque, fino all’ultimo, a ospitare eventi sportivi, chiudendo solo il 1° gennaio del 1947.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Matteo dal canto suo fece ritorno a Bari nel 1946, portando con sè le foto di quella che fu probabilmente la sua ultima partita, datata "16.1.46". Una volta in Italia continuò a giocare a pallone a livello dilettantistico, diventando anche allenatore della Lega Giovanile Dilettanti e di Italia Nuova, una squadra di Bari Vecchia. E nascondendo per decenni ad amici e parenti la sua esperienza sudafricana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Perché in Italia questa triste storia è stata volutamente dimenticata – conclude Giovanni prima di salutarci –.  In Sudafrica invece esiste un’associazione (la “Zonderwater Block”) creata dai famigliari dei prigionieri rimasti lì.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ogni anno a Pretoria si tiene una cerimonia commemorativa: ha come titolo “I dimenticati della storia”. In ricordo di quelle migliaia di persone che riuscirono a trovare una ragione per vivere solo grazie allo sport».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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«Il calcio è stato la salvezza di mio padre, sopravvissuto al più grande campo di concentramento per prigionieri di guerra italiani». Sono le parole di Giovanni De Benedictis...
..., 67enne barese figlio di Matteo, uno dei reclusi di “Zonderwater”: un luogo posto nel lontano Sudafrica in cui durante la Seconda guerra mondiali furono internati quasi 100mila connazionali
Una vera e propria città delimitata dal filo spinato, in cui i suoi “abitanti” trovarono una solo ragione per vivere: il gioco del pallone
Sì perché lì, dal 1941 al 1946, si tennero partite, tornei e campionati tra detenuti, con tanto di squadre, divise e pubblico, composto da altri prigionieri
Un’incredibile pagina di storia dimenticata, tornata alla luce solo dopo la pubblicazione nel 2010 di “I Diavoli di Zonderwater”: un libro a firma del giornalista Carlo Annese, dal quale nel 2021 è stato tratto un documentario televisivo a cura di Federico Buffa
Giovanni un giorno si è ritrovato tra le mani scatti in bianco e nero che ritraevano dei giovani in un campo da calcio...
...con indosso una divisa sportiva, pantaloncini, scarpette e calzini...
...in posa dietro a un pallone di cuoio
In altre immagini si vedevano azioni, passaggi...
...e colpi di testa
All’apparenza sembravano normali partite tra amici, ma le foto nel retro riportavano un scritta: “blocco 11, campo 43...
...Zonderwater 16.1.46”
E qui l’uomo capì che il padre, morto nel 2007, in tanti anni gli aveva nascosto qualcosa di importante. Si mise così alla ricerca della verità, riuscendo in poco tempo a ricostruire un intricato puzzle



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