di Mariangela Dicillo

Bari, il pericolante ospedaletto di San Cataldo: «Abbiamo paura che crolli»
BARI -  «Potrebbe crollare tutto da un momento all'altro. Ogni volta che c'è brutto tempo e si alza forte il vento, e succede spesso da queste parti dato che siamo praticamente sul mare, si staccano pezzi dalla struttura finendo sulle macchine, nei nostri giardini e balconi e sulla strada». Questa è la denuncia di Giovanni, residente a San Cataldo, la zona più antica del quartiere Marconi di Bari, quella che si affaccia sul mare. E a San Cataldo, in via Caprera n.2, una delle piccole viuzze che dal lungomare Starita si inoltrano nel cuore della piccola zona residenziale, si trova un fabbricato abbandonato, una delle 189 strutture di Bari lasciate a marcire nel degrado.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In realtà qui si tratta di un complesso di edifici (due costruzioni a due piani separate da un giardino), dalla storia anche interessante (è stato un ex ospedaletto per bambini durante gli anni della seconda guerra mondiale), ma che ora, come recita il cartello posto all’entrata è diventato “pericolante” e pericoloso, visto che lo stesso cartello bianco avverte “chi oltrepassa questo limite rischia la propria incolumità”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma il nostro lavoro ci costringe a oltrepassare i limiti, per raccontare ciò che è nascosto agli occhi dei cittadini e quindi decidiamo di rischiare la nostra incolumità e di andare a visitare l’ex ospedaletto. (Vedi ampia galleria fotografica)

Varchiamo la soglia attraverso uno dei tre portoni, quello più piccolo. L'odore di vecchio legno marcio è molto forte. Notiamo, sia al piano superiore che a quello inferiore, tanti piccoli stanzini e diversi bagni. Ovunque detriti e sporcizia. D’altronde un’altra residente del quartiere, la signora Maria, ci aveva avvertito: «In quell’edificio vanno e vengono i rom che hanno rubato le poche cose che erano rimaste. Ogni tanto dormono lì dentro e quando se ne vanno lasciano vestiti, detersivi, cibo in decomposizione e altra immondizia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nell’altro palazzotto invece davanti a noi prendono forma impalcature in ferro molto scure e una scalinata bianchissima in tufo illuminata dai raggi del sole. Si crea un contrasto cromatico alquanto singolare che per un attimo incanta il nostro sguardo. Ci avviciniamo e il piano di sopra visto dal basso sembra quasi un labirinto. Alcuni gatti corrono lungo i corridoi ormai a vista a causa dei cedimenti dei solai che fanno intravedere addirittura i mattoni rossi forati. A ogni movimento troppo veloce dei felini cadono dall'alto alcune pietre.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Esploriamo il piano terra: su ogni lato ci sono due stanzette dalla volta alta con l'intonaco delle pareti a pezzi, di fronte una porticina che porta al giardino, ovunque impalcature in ferro bloccate da un listello di legno contro le pareti, le scale e tra un piano e l'altro a cercare di tenere ancora in piedi la struttura. Non è rimasto nulla dell'arredamento, tranne che uno scaffale in legno molto grande. Il giardino è grande e ospita una vegetazione spontanea molto rigogliosa, una barchetta malandata, secchi di vernice e un pozzo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Usciamo dall'immobile ripensando alle condizioni di degrado in cui si trova, ma soprattutto a cosa potesse ospitare in origine. E al nostro interrogativo risponde Carlo, un signore che vive a San Cataldo da 50 anni. «Era usato durante la guerra per curare i bambini feriti durante gli attacchi militari», afferma. E la signora Franca conferma: « Sì, era un ospedale. Ma mia madre mi raccontava che era usato soprattutto per curare i bambini che morivano di fame e per assistere tutte le donne incinta. Mi diceva che sua cugina era stata partorita qui».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Ma nel quartiere sono in pochi a conoscere la vecchia funzione del fabbricato, solo i più anziani e più che altro per sentito dire. Franca ci spiega: «San Cataldo ha iniziato a popolarsi solo negli anni 60. Prima qui non c’era nessuno e durante la Seconda guerra mondiale era utilizzato come punto strategico dai militari per via della presenza del faro e per il fatto che si trovasse sul mare». D'altronde la presenza delle postazioni di artiglieria che si trovano proprio ai piedi del faro, quelle che gli abitanti della zona chiamano “grotte di San Cataldo”, confermano quanto detto dalla signora.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E quindi è più che altro di leggende che sentiamo parlare riguardo all’ex ospedaletto. «Si dice che ci siano i fantasmi e gli spiriti lì dentro», afferma la 26enne Roberta. E il 12enne Alessio racconta a tal proposito: «Sono stato spesso lì con i miei amici. Si tramandano leggende molto paurose: sembra ci sia un demone che non gradisce intrusi dentro a quella vecchia casa». E poi aggiunge: «Una volta abbiamo rischiato grosso perché abbiamo deciso di sfidare il demone e siamo entrati. E quello si è arrabbiato e ha incominciato a tirarci le pietre addosso dal piano di sopra. Io e un mio amico ci siamo feriti sulle braccia, anche se in maniera superficiale. La cosa più difficile, poi, è stata spiegare come ci eravamo procurati i tagli ai nostri genitori che ci impediscono di entrare in quel posto indemoniato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma gli adulti, più che i fantasmi temono per l'incolumità dei propri figli. «Io non ci credo a queste leggende – sottolinea Lucia, mamma di un bambino di dieci anni che abita a San Cataldo -. Ho solo paura che i piccoli, a causa della loro curiosità anche normale a quell'età e dell'attrazione che provano nei confronti di tutto ciò che è misterioso, possano farsi male. E tutte le altre mamme sono d'accordo con me, non vogliamo che vadano a giocare lì».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Insomma quella costruzione da aver rappresentato decenni fa un rifugio per i bambini è diventato ora un serio pericolo proprio per i più indifesi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma oltre alla legittima preoccupazione delle mamme di San Cataldo nei confronti dei loro figli, tutti temono che la struttura possa crollare da un momento all'altro, recando problemi ai residenti e alle loro case, essendo il centro abitato molto piccolo e costituito da costruzioni molto vicine fra loro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Una volta – dice Giovanni – mi sono ritrovato sull'automobile, che parcheggiavo sempre di fronte all'entrata dell'antico ospedale, un mattone in tufo molto grande che mi ha lesionato la carrozzeria». Ma al signor Michele è andata pure peggio. «Magari si trattasse solo di sassi - afferma -. Io mi sono ritrovato il parabrezza completamente distrutto da un pezzo di ringhiera che era venuto via dai piccoli balconi durante una tempesta. Speriamo decidano di abbatterlo prima o poi, crea soltanto problemi».


© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
L'ingresso del primo edificio dell'ex ospedaletto di San Cataldo
Primo piano del portoncino in legno. Siamo al civico n.2 di via Caprera
Il cartello che recita: Edificio pericolante! Chiunque oltrepassi questo limite rischia la propria incolumità
Il portone dell'ex ospedaletto
Una foto panoramica della struttura scattata dal portone
Un'altra foto panoramica di quello che rimane dell'ospedaletto. Evidente è il contrasto cromatico tra l'impalcatura in ferro scuro e la scala in tufo bianca illuminata dal sole
L'interno dell'ex ospedaletto: una scala porta al secondo piano
Il secondo piano
I cedimenti del controsoffitto
Una stanza dell'edificio che probabilmente ospitava degli uffici. Detriti e immondizia sul pavimento lasciati lì dagli zingari
Il giardino che separa i due edifici



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