Bari, quello storico centro sportivo ai piedi del Faro: ora è una discarica a cielo aperto
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martedì 29 giugno 2021
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di Mina Barcone - foto Antonio Caradonna
L’Arx fu fondata dal professor Giuseppe Giannoccaro nel 1955 ed ebbe come base operativa prima una palestra di via Napoli e poi varie altre sedi. Fino agli anni Ottanta, quando ricevette in concessione quest’angolo situato tra il lungomare Starita e via Tripoli che venne trasformato in una vera e propria cittadella dello sport, dove si poteva praticare pallacanestro, pattinaggio e calcetto. Qui infatti trovò posto anche il centro sportivo “Il Faro”, che prese in gestione due campetti di futsal in erba sintetica.
Un complesso che rimase ufficialmente attivo sino al 2013, anno di scioglimento dell’Arx. Da allora l’area è però pian piano entrata in una fase di oblìo. I campetti hanno continuato comunque a essere utilizzati, ma sino a un paio d’anni fa, quando tutta la superficie è stata acquisita dal Comune di Bari in vista della creazione del cosiddetto “Parco del Faro”. Un progetto, quest’ultimo, che oltre alla realizzazione di zone verdi e opere di arredo urbano, dovrebbe prevedere la risistemazione degli impianti sportivi esistenti.
Aspettando quindi l’agognata ristrutturazione (pare che i lavori potrebbero iniziare nel 2022), siamo andati a visitare l’ex “regno” dell’Arx, partendo da via Tripoli, lì dove si affaccia un piccolo edificio incluso tra l’ingresso del faro e la chiesa di San Cataldo.
Entrarci non è possibile, ma riusciamo a scorgere sulla facciata le targhe dell’associazione. Su una di esse sono riportate la data di fondazione, come detto il 1955, e la scritta “Coni” con i cinque anelli intrecciati.
«All’interno c’erano coppe, fotografie e ritagli di giornale, molti dei quali parlavano della nostra squadra di basket – spiega Francesco, ex capitano dell’Arx –. Ricordo ancora i tornei estivi organizzati dall’allenatore Piero Di Turi: venivano invitati giocatori di livello più avanzato ma anche ragazzini appassionati di pallacanestro. Quando finivamo le partite andavamo tutti sul lungomare per arrostire qualcosa e stare in compagnia».
Per accedere all’area percorriamo via Tripoli e raggiungiamo la cancellata semiaperta situata all’incrocio con via Mogadiscio. Ci ritroviamo così su una superficie all’aperto leggermente sopraelevata rispetto al lungomare Starita. Sulla sinistra si staglia il blu dell’Adriatico, mentre di fronte a noi ecco il Faro, che ci guarda dall’alto dei suoi 62,4 metri di altezza.
Quello che rappresentava il posto ideale dove fare sport in città, è ora però ridotto a un immondezzaio. Per terra ci sono carcasse di stampanti, pezzi di sanitari, un cestello di lavatrice, escrementi di animali e vetri rotti. A dominare c’è comunque il verde dell’ormai malmessa erba sintetica dei campi di calcetto, segnati ancora dalle linee bianche di gioco.
Attraversiamo quello che doveva essere il campo da pallacanestro e da pattinaggio circondato dalla vegetazione cresciuta in ogni angolo. Ed eccoci davanti a un prefabbricato degradato attorno al quale si accumulano sedie rotte e pezzi di mobilio.
Ci affacciamo grazie a una porta aperta e vi scorgiamo uno scenario di abbandono: oggetti ammassati l’uno sull’altro, reti, sacchi di plastica, un grande divano bianco al centro. Riversa per terra c’è una brandina oltre a diversi trofei semidistrutti e un tavolo dall’aspetto antico. In una bacheca ecco un segno “della vita precedente”: una targhetta con la dicitura Centro Sportivo il Faro e un galletto biancorosso che porta scritto sul petto l’anno 2006.
Accediamo ora all’interno di un'altra struttura. A giudicare dalla presenza di un armadietto con l’adesivo della Croce Verde, probabilmente si trattava di un’infermeria. Qui i muri appaiono malmessi ma la pavimentazione, pur se sporca e costellata di rifiuti, è intatta. Da una finestra senza vetri è possibile scorgere il mare al di là del muretto che circonda l’area.
Infine, attraverso della scale in discesa, varchiamo l’ingresso di un terzo fabbricato. Ci immettiamo così in uno stretto e buio corridoio alla fine del quale si allarga uno spazio che fungeva un tempo da spogliatoio. Lo capiamo dai resti delle docce, ormai prive di manopole e soffioni. Un luogo che per decenni ha accolto ragazzi euforici per una vittoria o addolorati per una sconfitta e che ora giace, a un passo dall’Adriatico, nel più completo silenzio.
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