di Gianluigi Columbo - foto Francesco De Leo

Imponente, raffinato, dagli iconici colori bianco e rosso: è il Palazzo degli Impiegati Statali di Bari
BARI – Non è impreziosito da sculture e fregi liberty, non è arricchito neppure da stemmi e mascheroni, eppure è uno degli edifici più fotografati di Bari, per via della sua imponenza, per i raffinati geometrismi decò e soprattutto per l’iconico colore bianco e rosso. È la descrizione del Palazzo degli Impiegati Statali, opera del grande architetto Saverio Dioguardi che si erge dal 1926 nel quartiere Umbertino, occupando un intero isolato compreso tra le vie De Giosa, Montenegro, Bozzi e Cognetti. (Vedi foto galleria)

Siamo andati a visitarlo partendo proprio da quest’ultima strada, lì dove il fabbricato mostra il lato migliore anche grazie al contrasto cromatico che crea con i suoi più famosi dirimpettai: il Teatro Petruzzelli e il Palazzo dell’Acquedotto Pugliese. Il rosso richiama infatti volutamente lo stesso colore del politeama inaugurato un ventennio prima, mentre il bianco sembra dialogare con il candido marmo della sede dell’Aqp, ultimata però sei anni dopo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’edificio, nonostante l’altezza, si erge solo su quattro livelli più il piano terra. Quest’ultimo, caso raro nel centro di Bari, non presenta locali occupati da esercizi commerciali. La parte inferiore è caratterizzata da un bugnato a fascia, sui quali si innestano gli altri piani segnati da lunghi balconi con ringhiere in ferro battuto e finestroni tra alte lesene. L’ultimo presenta decori geometrici blu e bianchi sovrastati dal longilineo cornicione. Alla continuità delle facciate è stata poi riservata particolare cura, grazie alla creazione di una curvatura in corrispondenza di ogni angolo della struttura.

L’insieme, seppur semplice, è di grande impatto. E questo grazie al tocco aggiunto da Saverio Dioguardi all’originario progetto dell’ingegner Luigi De Paolis, che ha regalato all’edificio raffinati geometrismi decò con spunti secessionisti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma qual è la storia del palazzo? Costruito fra il 1922 e il 1926, deve il suo nome ai primissimi residenti a cui fu destinato. Nel 1921 fu infatti istituita la “Cooperativa Edilizia fra impiegati civili dello Stato” allo scopo di realizzare un fabbricato a esclusivo utilizzo dei funzionari pubblici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Gli appartamenti a cui si accede dal portone ad angolo tra via Cognetti e via De Giosa erano originariamente destinati a professionisti che occupavano incarichi più prestigiosi, in particolare magistrati e docenti dell’Università. Invece i vani posti in corrispondenza degli ingressi di via Montenegro e di via Bozzi spettavano a impiegati con mansioni meno elevate. Oggi l’edificio è ancora utilizzato come condominio, occupato in alcuni casi dai discendenti degli originari proprietari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Dopo esserci affacciati nell’androne di via Bozzi, che presenta un finestrone finemente colorato, entriamo in quello di via Cognetti. Per farlo varchiamo un portone in legno che presenta dei fasci littori vicino alle maniglie: ricordano come lo stabile fu costruito durante il Ventennio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci ritroviamo così all’interno di una navata centrale illuminata da una grande vetrata bianca posta alla fine del corridoio. Camminando sul pavimento a scacchiera in marmo, osserviamo la solennità delle linee architettoniche e delle pareti arricchite da lesene. Due piccole rampe di scale, poste una di fronte all’altra, sono affiancate da ringhiere di ferro battuto in stile liberty e conducono ai piani superiori, a cui si può arrivare anche usando un antico ascensore in ferro e in legno con decorazioni interne in ottone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Saliamo quindi per andare a visitare l’appartamento di Cinzia, nipote di Alessandro, uno dei primi abitanti del palazzo. La signora ci mostra il contratto stipulato dal nonno magistrato con la Cooperativa. «Lui venne a vivere qui da subito, già dal 1926 – afferma –. Ricordo che quando ero piccola mi raccontava come avesse visto dalla sua finestra tutte le fasi di costruzione del Palazzo dell’Acquedotto, avvenuta dal 1927 al 1932».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’appartamento, dalle volte altissime che arrivano a cinque metri, è dotato ancora dell’impianto originario di accensione della luce, con una levetta che, girata a destra, attiva la corrente. Lo studio invece presenta sul soffitto un dipinto che raffigura motivi floreali. «La tecnica è particolare – sottolinea la padrona di casa -: si tratta di una carta velina prima disegnata e poi decorata una volta applicata al muro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Accompagnati da Cinzia ci dirigiamo ora sul terrazzo, dal quale possiamo godere della vista dall’alto dell’intero Umbertino. Ecco quindi il predetto Palazzo dell’Acquedotto, con le sue bifore e trifore e lo stile neoromanico e poi l’inconfondibile rosso amaranto del Petruzzelli, di cui possiamo ammirare da vicino la cupola e le tegole del tetto spiovente, visibili solo da questa altezza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Fino all’incendio del teatro - conclude Cinzia prima di salutarci - al piano terra di questo condominio si trovava un appartamento con accesso al cortile che fungeva da deposito per i costumi di scena utilizzati nel teatro. Praticamente era una stanza che il politeama aveva affittato per questo scopo. Ricordo ancora i bizzarri abiti stesi al sole che solleticavano la mia fantasia, facendomi sognare. Un’esperienza che potevo vivere ogniqualvolta venivo a trovare mio nonno qui, nel suo antico e splendido Palazzo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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Visitiamo il Palazzo degli Impiegati Statali partendo da via Cognetti, lì dove il stabile mostra il suo lato migliore anche grazie al contrasto cromatico che crea con i suoi più famosi dirimpettai: il Teatro Petruzzelli e il Palazzo dell’Acquedotto Pugliese
Il rosso richiama infatti volutamente lo stesso cromatismo del politeama inaugurato un ventennio prima...
...mentre il bianco sembra dialogare con il candido marmo del Palazzo dell’Acquedotto...
...ultimato però sei anni dopo
L’edificio, nonostante l’altezza, si erge solo su quattro livelli più il piano terra
Quest’ultimo, caso raro nel centro di Bari, non presenta locali occupati da esercizi commerciali
La parte inferiore è caratterizzata da un bugnato a fascia...
...sui quali si innestano gli altri piani segnati da lunghi balconi con ringhiere in ferro battuto e finestroni tra alte lesene
L’ultimo presenta decori geometrici blu e bianchi sovrastati dal longilineo cornicione
Alla continuità delle facciate è stata poi riservata particolare cura, grazie alla creazione di una curvatura in corrispondenza di ogni angolo della struttura
L’insieme, seppur semplice, è di grande impatto. E questo grazie al tocco aggiunto da Saverio Dioguardi all’originario progetto dell’ingegner Luigi De Paolis, che ha regalato all’edificio raffinati geometrismi decò con spunti secessionisti
Dopo esserci affacciati nell’androne di via Bozzi, che presenta un finestrone finemente colorato...
...entriamo in quello di via Cognetti
Per farlo varchiamo un portone in legno che presenta dei fasci littori vicino alle maniglie: ricordano come lo stabile fu costruito durante il Ventennio
Ci ritroviamo così all’interno di una navata centrale illuminata da una grande vetrata bianca posta alla fine del corridoio
Camminando sul pavimento a scacchiera in marmo, osserviamo la solennità delle linee architettoniche e delle pareti arricchite da lesene
Due piccole rampe di scale, poste una di fronte all’altra, sono affiancate da ringhiere di ferro battuto in stile liberty e conducono ai piani superiori
...a cui si può arrivare anche usando un antico ascensore in ferro e in legno...
...con decorazioni interne in ottone
Saliamo quindi al secondo piano per andare a visitare l’appartamento di Cinzia, nipote di Alessandro, uno dei primi abitanti del palazzo
La signora ci mostra il contratto stipulato dal nonno magistrato con la Cooperativa Edilizia fra impiegati civili dello Stato
L’appartamento, dalle volte altissime che arrivano a cinque metri...
...è dotato ancora dell’impianto originario di accensione della luce, con una levetta che, girata a destra, attiva la corrente
Lo studio invece presenta sul soffitto un particolare dipinto che raffigura motivi floreali
«La tecnica è particolare – sottolinea la padrona di casa -: si tratta di una carta velina prima disegnata e poi decorata una volta applicata al muro»
Accompagnati da Cinzia ci dirigiamo ora sul terrazzo, dal quale possiamo godere della vista dall’alto dell’intero Quartiere Umbertino
Ecco quindi il predetto Palazzo dell’Acquedotto...
...con le sue bifore e trifore e lo stile neoromanico...
...e poi l’inconfondibile rosso amaranto del teatro Petruzzelli...
...di cui possiamo ammirare da vicino la cupola e le tegole del suo tetto spiovente, visibili solo da questa altezza



Gianluigi Columbo
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Francesco De Leo
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  • Marco Malpica Orabona - In quel palazzo ci sono nato, la mia famiglia era proprietaria dell'intero primo piano ad angolo tra la via cognetti e la via de giosa. Mio nonno Edoardo compro' un primo appartamento nel 1933, seguito da mia madre nel 1964. Purtroppo da anni sono stati entrambi venduti, ma per fortuna uno dei due, il più bello è in ottime mani.


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