La storia di Marina, prima allenatrice transessuale d'Italia
Letto: 10981 volte
lunedì 2 marzo 2015
Letto: 10981 volte
di Katia Moro
Qualcosa che assume il carattere dell’incredibile, vista l’omofobia (e il maschilismo) che contraddistingue il calcio, un mondo in cui mai nessun giocatore ha mai dichiarato di essere omosessuale e che ha visto più di una volta i suoi protagonisti prendere le distanze dal “fenomeno” (come dimenticare la dichiarazione dell’ex allenatore della Nazionale Marcello Lippi: “Gay nel calcio? Mai visto uno”).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E quindi la storia del primo mister transessuale d’Italia va assolutamente raccontata, anche se è proprio mister Rinaldi a buttare acqua sul fuoco. «Non capisco perché tutto ciò debba suscitare scalpore. Cosa c’è di strano? – incalza Marina – Non esistono omosessuali o transessuali, ma solo individui che fanno delle scelte personali che nulla hanno a che vedere con la propria attività e passione sportiva e non».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In realtà a suscitare meraviglia è anche il fatto che ad offrire la panchina del San Michele Rufoli a Marina sia stato Michele Alfano, il parroco di Rufoli, frazione collinare di circa 1000 abitanti a 7 km dal centro cittadino di Salerno. «Il nostro è un piccolo borgo che non offre grande varietà di stimoli per i giovani residenti e una squadra di calcio mi sembrava un’importante risorsa – sostiene il sacerdote -. Così quando l’abbiamo istituita non ho potuto che proporla a una delle nostre parrocchiane più attive che gioca a calcio sin da quando era in tenera età: Marina».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quindi non solo un trans nel calcio, ma addirittura un trans in una squadra parrocchiale. A Rufoli si sta cambiando il mondo. «Non ci vedo nulla di strano – commenta però il coraggioso don Michele -. D’altronde il pontificato di Papa Francesco si dirige proprio verso questa direzione, quella dell’accoglienza e della valorizzazione dell’individuo e non certo quella del giudizio e della condanna. Sono stato io a presentare Marina come allenatore della squadra a tutta la comunità riunita in parrocchia e ai giovani calciatori – aggiunge -. Lei e la sua famiglia erano già conosciuti da tutti come parte attiva della nostra parrocchia e quindi è stata accettata e accolta facilmente. Poi in una collettività c’è sempre chi è meno aperto e pronto alle critiche ma noi abbiamo rispettato le opinioni di tutti e chi non è stato d’accordo semplicemente si è allontanato dalla squadra».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E forse più del pregiudizio e della diffidenza hanno prevalso la curiosità e il desiderio di conoscere e capire cosa si nasconde dietro la femminilità sfacciata e prorompente della determinata Marina, che sottolinea come i giovani del paese abbiano fatto a gara per poter entrare nella sua squadra. «Ho da subito instaurato uno splendido rapporto con tutti i ragazzi della squadra – afferma il mister -. Con loro riesco a far emergere quello spirito materno che è in me e che non potrò mai realizzare diversamente. Ma nello stesso tempo rappresento per questi ragazzi una guida sicura e forte».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I giovani calciatori e le loro famiglie si sono imbattuti così nella grande passione calcistica dell’allenatrice, figlia di un ex calciatore della Battipagliese. Marina non ha mai smesso di giocare sino a quando, dieci anni fa, ha deciso di operarsi per poter diventare finalmente una donna, desiderio coltivato e maturato dall’infanzia. La cura ormonale le ha impedito temporaneamente di giocare a calcio, ma quando il parroco le ha proposto di allenare la nuova squadra, non ci ha pensato due volte e si è rimessa in gioco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«La mia fortuna sono state le belle persone che Dio ha messo sul mio cammino – conclude Marina -. Innanzitutto i miei genitori che mi hanno sempre sostenuta e compresa senza giudicarmi nè mai condannarmi dimostrando intelligenza e apertura mentale. E poi don Michele che rappresenta la mia guida spirituale e mi ha concesso questa grande opportunità. Spero che la mia esperienza possa essere d’esempio per tutti i trans e gli omosessuali che non si accettano e si nascondono. Perché noi non siamo diversi dagli altri e io, mister Rinaldi, ne sono la prova vivente».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Katia Moro
Katia Moro
I commenti
- marika miller - Il Giornalista Katia Moro grazie a questo articolo ci mette in condizione capire che l intolleranza va diminuendo . Grazie
- Cristiano Marzorati - Un disonore per i VERI uomini, per le VERE donne, e per il mondo del calcio.