La storia dell'albanese Karolina: da clandestina a imprenditrice di successo
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venerdì 30 giugno 2017
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di Katia Moro
Tutto inizia nel 1991...
Sì, quando mio padre arriva a Bari a bordo della tristemente famosa nave Vlora, assieme ad altri 20mila connazionali. Era alla ricerca di un futuro, dopo che il crollo del regime comunista aveva scaraventato l’Albania sull’orlo del baratro. Lui era un artigiano specializzato nella lavorazione del vetro e riuscì a trovare un impiego come muratore, ad Altamura. Rimase da solo per 4 anni, fin quando nel 1995 io, mio fratello e mia madre ci imbarcammo per raggiungerlo, riuscendo ad entrare nel porto di Bari come clandestini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I primi tempi qui come sono stati?
Davvero duri. Io avevo già 15 anni e mio fratello 11. Ci siamo sentiti improvvisamente sradicati, strappati dalle nostre origini e privati di un’identità in una terra straniera che non riconoscevamo e da cui non eravamo compresi, nonostante parlassimo già perfettamente la lingua italiana che avevamo studiato nel nostro Paese. Fummo costretti ad abbandonare gli amici e la scuola ed essendo sprovvisti del permesso di soggiorno non potevamo accedere all’istruzione pubblica. Ci sentivamo terribilmente isolati e non integrati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quando riusciste a iscrivervi a scuola?
Un anno dopo, quando ottenemmo il documento necessario. Io cominciai a frequentare l’istituto tecnico commerciale e mio fratello il "geometra". Nel frattempo lavoravo facendo le pulizie nei ristoranti, assieme a mia madre. All’epoca non era facile, gli italiani non erano pronti ad accettarci facilmente e non ci permettevano neppure di svolgere il mestiere di cameriere, riservandoci le mansioni più umili. Ma io non mi sono mai demoralizzata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sei riuscita persino a laurearti…
Sì, in Economia e Commercio. E proprio facendo tesoro dei miei studi riuscii a indirizzare mio padre e mio fratello nell’ambito del loro lavoro. Loro infatti erano tra i pochi in grado di realizzare muretti a secco: dopo essere riusciti a farsi una clientela sempre più numerosa attraverso i miei consigli arrivarono a vincere bandi e appalti. E così a quel punto, puntando su un gruzzoletto di risparmi che si era venuto a creare, accettammo la sfida: aprire una nostra impresa di costruzioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Era il 2010: a 7 anni di distanza come sta andando la vostra ditta?
Siamo diventati una realtà importante: abbiamo una trentina di dipendenti e ci occupiamo di grossi lavori pubblici come scuole, linee ferroviarie e restauri per i beni tutelati dalla Soprintendenza. Insomma ora siamo noi ora a dare una speranza e un futuro agli altamurani.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ti senti un po’ più integrata ora?
Certo. E anche se ancora oggi c’è chi, sentendo il mio nome, mi chiede “di dove sei”?, io mi sento assolutamente italiana ma anche convintamente albanese. Torniamo infatti spesso in Patria dai nostri parenti e non abbiamo mai smesso di comunicare nella nostra lingua tra di noi. Non parlerei di integrazione in una nuova cultura a scapito di un’altra, ma di fusione e trasformazione di due patrimoni in uno solo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Hai anche scritto una raccolta di poesie sia in albanese che in italiano…
Che spero venga pubblicata: sarebbe il sugello di una storia di dolore e sofferenza tramutatasi in un felice connubio e arricchimento.
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Scritto da
Katia Moro
Katia Moro