Scappare dalla mafia perdendo la propria identità: un libro racconta la storia di Maria
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martedì 26 marzo 2019
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di Luca Carofiglio
E lo ha fatto al telefono, narrando la sua storia a un professore di Lettere barese: Francesco Minervini. Lo scrittore nel 2015 ha pubblicato il libro “Non la picchiare così. Sola contro la mafia”, basato sulle vicende della donna: un testo che è stato adattato dalla compagnia Teatrermitage di Molfetta che da qualche giorno lo ha presentato a teatro in forma di monologo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Abbiamo parlato con il 49enne Minervini, oggi docente presso il liceo classico Cartesio di Triggiano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Qual è la storia di Maria?
Siamo nel 1984. Maria (nome fittizio ndr), originaria di Canosa, all’età di 19 anni diventa l’amante di un criminale di Cerignola che di lì a poco sarebbe divenuto un boss della mafia foggiana. Inizia così la sua convivenza con quest’uomo pericoloso, a cui nel libro abbiamo dato il nome di “Vito”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lei sapeva di vivere accanto a un criminale?
Al principio no, ma con il passar del tempo le fu chiaro che Vito apparteneva al mondo della malavita, di cui fu costretta a far parte, seppur indirettamente. Veniva utilizzata per scortarlo mentre faceva jogging, doveva memorizzare le targhe per avvertirlo nel caso qualcuno si stesse avvicinando e il 1° maggio del 1986 fu lei a lavargli i vestiti sporchi di sangue. Vito le disse di aver ucciso alcuni maiali ma in realtà aveva preso parte alla cosiddetta “strage del Bacardi” , che sancì l’emancipazione della mafia foggiana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Com’era il rapporto tra i due?
Tremendo. Lui la picchiava sempre, costantemente. Le ruppe anche una caviglia e la mandibola. Le puntava spesso la pistola contro e la costrinse ad abortire. Un giorno dopo averla percossa le urinò addosso, davanti ad altri criminali: voleva punirla per non avergli riferito di essere stata violentata in passato dal proprietario del laboratorio di scarpe dove lavorava. Da questo episodio deriva il nome del libro, visto che i boss a un certo punto impietositi esclamarono: “O l’ammazzi o la lasci stare. Non la picchiare così”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma dopo nove anni di questa vita la giovane tutt’a un tratto trovò il coraggio di fuggire…
Sì, nel 1993, quando scoprì di essere incinta. Era anoressica, costretta a sniffare cocaina, ma un bambino nel grembo le fece capire di avere ancora la forza di amare. Decise così di scappare al Nord, trovando accoglienza in una casa famiglia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E nel 1995 venne contattata dalla Direzione Investigativa Antimafia.
Si, la Dia le chiese di aiutarla nelle indagini sulla mafia foggiana. Maria accettò: divenne così testimone di giustizia, iniziando contemporaneamente il suo percorso di “protetta” da parte dello Stato. Un qualcosa che però le stravolse l’esistenza. Perse il suo nome e andò a vivere in luoghi a lei sconosciuti, cominciandosi a sentire come un “fantasma” senza identità e libertà. In quelle situazioni è infatti difficile ricostruirsi una vita, farsi nuove relazioni: il programma di protezione vieta anche di sentirsi con i propri famigliari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma nel 2013 Maria trova il coraggio di raccontare la sua storia. Come è andata?
Fu lei a cercarmi: prima su Facebook e poi telefonicamente. Aveva letto le mie pubblicazioni sugli omicidi di Michele Fazio e Gaetano Marchitelli e capì che potevo essere io la persona giusta. Aveva provato a scrivere un libro da sola ma non ci era riuscita e perciò si affidò a me. Sentiva la necessità di raccontare tutto quello che le era successo, voleva essere ascoltata, dimostrando a tutti e a sé stessa che “esisteva” ancora.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da quel momento cominciaste a parlarvi periodicamente.
Ci sentivamo una volta al mese al telefono: mi chiamava con una scheda usa e getta e da un numero sconosciuto così da non essere rintracciata. Parlavamo per un’oretta e mezza. Mi inondava con un flusso di informazioni anche emotivamente difficili da gestire, ma narrava tutto in modo preciso e puntuale. Il nostro rapporto andò avanti dal 2013 fino al 2015, senza che ci fosse mai l’occasione di incontrarci, per questioni di sicurezza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lo Stato sapeva che eravate in contatto?
Nessuno sapeva del nostro rapporto telefonico. Maria avvisò i poliziotti solo dopo, quando ormai avevamo finito le nostre chiacchierate. Da parte mia ho inviato una serie di lettere al Ministero dell’Interno per informare che stavamo per pubblicare una biografia del genere, ma non ho mai ricevuto risposte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Oggi continuate a sentirvi?
Sono ormai due anni e mezzo che non le parlo. So però che non se la passa benissimo, è molto sola. Ma siamo lasciati con una speranza: quella di poter un giorno riscrivere il libro inserendo il suo vero nome. Anche se entrambi sappiamo che ciò potrà avvenire solo quando Vito, il suo carnefice, morirà "per sempre".
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Luca Carofiglio
Luca Carofiglio
I commenti
- una lettrice - "morirà per sempre": esiste un altro modo di morire? Rileggete le cose che pubblicate????
- BARINEDITA - Si @una lettrice, rileggiamo sempre quello che pubblichiamo e sappiamo che si muore solo una volta (ci siamo documentati in merito). Abbiamo usato quella frase per far capire che Vito è morto nel cuore di Maria, ma deve "morire per sempre" affinchè alla donna possa essere restituita la propria identità.