La vita di Caterina Fusco, la "vammąre" che ha fatto nascere mezza Bari Vecchia
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giovedģ 21 maggio 2020
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di Gaia Agnelli
Prima infatti i figli venivano messi alla luce in casa, senza medici ed epidurali, e queste ostetriche ante litteram avevano la responsabilità di soccorrere le donne nel delicato momento del travaglio. Caterina fu una delle ultime a svolgere questo ruolo e per questo il suo nome è ancora rievocato tra i vicoli del centro storico. Anche perché lei non si limitava a far “sgravare” le giovani baresi, ma le assisteva nei mesi successivi, durante la crescita dei neonati. Per questo era considerata una seconda mamma da tutti i bambini.
Attraverso la testimonianza di sua nipote Anna Cassano e di tanti anziani di Bari Vecchia abbiamo ricostruito la vita di “Catarìne Zecutàne”, così come veniva chiamata nella città antica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Partiamo proprio dal suo soprannome, che derivava dall’essere la nuora di Zio (“Ze”) Gaetano (“Cutàne”). Prima infatti soprattutto le signore erano identificate per l’occupazione svolta o per la parentela.
Nata nel 1897, dovette cambiare radicalmente la sua vita quando aveva più di quarant’anni, a causa dello scoppio del secondo conflitto mondiale: un periodo durante il quale in tanti dovettero rimboccarsi le maniche per tirare a campare. «Fu per crescere i suoi quattro figli che mia nonna decise di cominciare a lavorare come levatrice – ricorda Anna -. In quei tempi di grande miseria non voleva farci mancare nulla».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E così Caterina divenne una vammàre, termine dialettale che deriva da “mammana”. Apprese il mestiere da altre due levatrici, Donna Pierina e Donna Maria, e per trent’anni, notte e giorno, rispose alle grida di aiuto delle partorienti. Decise di fermarsi solo nel 1968, quando ormai anziana lasciò la sua abitazione di largo Annunziata per trasferirsi lontano dalla città vecchia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Diversamente dalle sue maestre “Zecutàne” divenne presto una sorta di “professionista”. Il suo segreto era quello di conoscere perfettamente le tempistiche del travaglio. Nelle settimane precedenti si recava a casa delle mamme per informarsi sulla gravidanza e il loro stato di salute. In base a questo “studio” era così capace di prevedere il momento esatto della nascita, in modo da non farsi cogliere impreparata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tra l’altro era lei a organizzare le giornate delle sue colleghe, alle quali “assegnava” i vari casi, anche se la maggior parte dei bambini nasceva con l’aiuto delle sue mani. «Solitamente gestiva due o tre parti nell’arco delle 24 ore – sottolinea Anna -, ma alcune volte tornava a casa solo qualche minuto per lavarsi e cambiarsi tra una neonato e l’altro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Essendo tutto a “domicilio” portava con sé gli strumenti necessari, custoditi in una valigetta. La procedura era sempre la stessa. Quando cominciavano le doglie metteva a bollire l’acqua in due pentoloni: in uno disinfettava gli attrezzi, l’altro invece serviva per lavare madre e nascituro. Prima però preparava il letto stendendo un telo di plastica incerata sul materasso, ricoprendolo con traverse di lino per evitare di sporcarlo con sangue e urine. Per le famiglie più povere che non avevano un buon corredo, utilizzava stracci di vecchie lenzuola e fogli di giornale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Era sempre in grado di accorgersi subito se qualcosa non andava per il verso giusto e in quei casi allertava un dottore. E una volta nato il bambino, lo avvolgeva nella sòppete: un drappo di tela con il quale creava la fasciatura.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Quando il travaglio era troppo lungo la nonna aveva un trucco: delle pillole che velocizzavano il parto - confessa la nipote -. Le conservava in una credenza della cucina e, in casi di urgenza, mandava i papà a prenderle. Quando bussavano chiedevano aiuto a me, così io, che ero ancora una bambina, mi arrampicavo sulle sedie per raggiungere lo scaffale “magico”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le signore baresi si fidavano ciecamente delle sue competenze tanto che il nome di Caterina viene ancora ricordato con rispetto, nonostante siano passati quasi quarant’anni dalla sua morte, avvenuta nel 1981.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Per me e i miei fratelli è stata come una nonna – commenta la 65enne barivecchiana Maria, nata grazie a Caterina -. Mia madre ebbe così tanti figli che la vammàre divenne quasi un membro della nostra famiglia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Era una signora molto dolce, oltre che bravissima – ricorda invece l’85enne Teresa -. Per lei quello della levatrice non era un lavoro ma una passione: amava la vita e i bambini. Lasciava sempre un po’ del suo cuore in ogni casa in cui entrava».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Ha aiutato me e i miei quattro fratelli a venire al mondo– commenta infine la 63enne Caterina -. Mia madre me ne parlava sempre, raccontandomi di quanto fosse gentile nell’occuparsi di tutto. Non a caso mi chiamo come lei: è un omaggio a quest’angelo, colei che ha fatto nascere mezza Bari Vecchia».
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