Bari, le spietate donne dei clan criminali: «Simbolo della parità tra i sessi»
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giovedì 21 dicembre 2017
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di Francesca Delvecchio
Ci siamo chiesti che ruolo svolgano a Bari le donne dei clan: anche nel capoluogo pugliese il “gentil sesso” ha raggiunto una sorta di parità con gli uomini? Secondo Maria Antonella Pasculli, docente di diritto penale e criminalità organizzata dell’Università di Bari, non ci sarebbero dubbi: le “femmine”, soprattutto quelle del centro storico, sono in alcuni casi diventate dei capi a tutti gli effetti, rispettate come i loro mariti e fratelli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In che periodo storico la donna è riuscita a “emanciparsi” all’interno della criminalità organizzata barese?
Si tratta di un fenomeno che si è cominciato a registrare una quindicina di anni fa. Quando all’inizio del nuovo millennio ci furono le grandi retate che portarono all’arresto di molti esponenti dei Capriati, questo clan di Bari Vecchia fece in modo di sopravvivere affidando il potere alle donne, rimaste a piede libero. Fu il caso ad esempio di Maria Faraone, moglie del boss Antonio Capriati, che continuò a gestire per anni tutti gli affari illeciti della famiglia, da vera leader. Ma come non ricordare anche le sorelle De Benedictis…
Chi erano queste sorelle?
I loro nomi erano Antonia, Domenica, Lucia e Nicoletta. Sono state arrestate e condannate a dieci anni di carcere per associazione per delinquere ed usura. Facevano paura solo a vederle: fisicamente gigantesche, sfrecciavano con le loro auto per le strade di Bari Vecchia guidando contromano. Erano rispettate e temute: il loro fu il primo gruppo tutto al femminile a commettere furti, rapine ed estorsioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma gli affari venivano condotti sempre con il beneplacito degli uomini?
All’inizio c’è stato il classico scambio di informazioni con i boss arrestati tramite i “pizzini” e le visite in carcere, ma poi le donne hanno cominciato a decidere autonomamente, gestendo direttamente denaro, armi e droga.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dopo gli arresti predetti le “signore” hanno continuato ad esercitare un ruolo rilevante all’interno dei clan?
Certo e il motivo è dovuto al tipo di organizzazione della malavita barese. Nel capoluogo pugliese non esiste una struttura piramidale come per la ‘Ndrangheta, Cosa Nostra o la Sacra Corona Unita. I membri di queste ultime associazioni, affiliati attraverso riti di iniziazione, sono soggetti al rispetto di molte regole non scritte che seguono inviolabili principi. Al contrario la struttura della Camorra e della criminalità barese è di tipo orizzontale: non c’è un vertice, un’assoluta gerarchia. E lì dove non esistono regole c’è una maggiore fluidità nelle connessioni delinquenziali e quindi più possibilità di emergere e di ottenere ruoli alternativi e diversificati. In questo modo è possibile aprirsi anche a nuove realtà come quella femminile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La donna barese è adatta a ricoprire certi ruoli?
Sì perché a Bari Vecchia la donna è abituata a comandare. Mentre gli uomini bevono la birra e giocano a carte, sono loro a portare avanti tutto, dove per “tutto” non si intende solo il lavare a terra, lo sbrigare le faccende domestiche o il crescere i figli, ma il gestire direttamente la casa e gli affari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Come definirebbe le “femmine della mala”?
Forti, coraggiose, violente, spietate e determinate. Come gli uomini. Il crimine pone infatti maschi e femmine sullo stesso piano: è espressione di assoluta parità tra i sessi.
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Scritto da
Francesca Delvecchio
Francesca Delvecchio