I giovani non si propongono più agli editori: «Persi nei cellulari, non hanno nulla da raccontare»
Letto: 6699 volte
mercoledì 12 aprile 2023
Letto: 6699 volte
di Francesco Sblendorio
Abbiamo così intervistato l’esperta per capire cosa ci sia dietro la crisi di creatività che pare abbia colpito negli ultimi anni le nuove generazioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Partiamo dai dati: quanti sono i giovani che aspirano a pubblicare un libro?
Pochi. Facendo riferimento agli ultimi anni, la metà delle opere che ci sono state proposte viene da over 50. Circa il 35% è firmato da autori tra i 35 e i 50 anni, mentre non più del 15% arriva da under 35 e purtroppo in molti casi si tratta di scritti impubblicabili.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
C’è quindi una crisi sia quantitativa che qualitativa delle proposte editoriali giovanili. Quali sono le cause?
I giovani, oggi come ieri, avendo vissuto di meno rispetto agli adulti hanno pure meno storie da raccontare. Ma da qualche anno a questa parte c’è un elemento nuovo che si è andato a inserire prepotentemente nella loro vita: lo smartphone, di cui fanno un uso smodato. I social network e le applicazioni di messaggistica istantanea sono andati di fatto a sostituirsi a quella che era la “pratica” del racconto quotidiano, che permetteva una crescita, anche dal punto di vista comunicativo. Prima ci si incontrava e si passava del tempo a discutere di argomenti che appassionavano: ne venivano fuori lunghi discorsi che entravano necessariamente a far parte del vissuto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In realtà i ragazzi continuano a uscire e a incontrarsi, forse anche più di prima…
Si ma provate a osservarli. Stanno tutti con il cellulare in mano: non “vivono” più. Vanno ai concerti e al posto di immergersi nell’esperienza si mettono a riprendere l’intero spettacolo con il telefono. Perché poi devono postare tutto sui social. E quando sono per strada tendono a non osservare davvero il mondo che li circonda: magari notano una cosa che attira la loro attenzione, la fotografano e condividono l'immagine con il cellulare, ma non la guardano davvero, la rimuovono dal loro vissuto. La lasciano su una piattaforma online e non ne parlano con gli altri. Sono persi in una realtà in cui si è assente lo scambio, la dimensione sincronica. E così viene a mancare lo “storytelling”, la voglia di raccontarsi: ormai passa tutto attraverso l’immediatezza e la superficialità di una “storia” su Instagram.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un discorso che può sembrare paradossale vista la mole di messaggi che vengono ad esempio inviati tramite Whatsapp…
E la vogliamo chiamare comunicazione quella? Prima se non ci si poteva vedere si passavano ore al telefono a parlare, scambiandosi idee e informazioni. Ciò è stato sostituito oggi dai “famigerati” messaggi vocali: monologhi a cui qualcun altro risponderà con un nuovo monologo. È tutto “ego-riferito”. I messaggi scritti, che hanno bisogno di un minimo di elaborazione del pensiero, sono rari, perché comportano “fatica”: ci si affida a frasi frammentate, giustapposte, non articolate. I ragazzi del resto devono fare tutto velocemente: non hanno tempo perché continuamente distratti dalla compulsione di condividere contenuti sui social.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Gli smartphone però vengono utilizzati anche dagli adulti…
Questo è verissimo: si tratta infatti di un problema che investe tutti. Però probabilmente chi non è “nato” con il cellulare in mano distingue i vari livelli di comunicazione e di attenzione, riuscendo a dedicarsi ancora a qualcosa per cui è necessario mantenere la concentrazione alta per molto tempo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Come la scrittura…
O come la lettura. I giovani leggono poco e quelli che lo fanno spesso scelgono i libri senza un criterio, prendono ciò che capita, oppure si fossilizzano su un unico genere o un singolo autore. Ma in questo modo è difficile acquisire gli strumenti per poter, eventualmente, elaborare uno scritto con un proprio stile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nelle opere giovanili che cosa manca?
Come detto il “vissuto” e, mancando questo, le idee vengono prese in maniera confusa in giro, magari scopiazzando ciò che vede in tv. Qualche anno fa una mamma mi portò il testo della figlia assicurandomi che si trattasse di un vero talento. Il racconto era pure scritto bene, ma la trama rappresentava una sfilza di situazioni tipiche dei film americani, trapiantate oltretutto a Bari in modo davvero improbabile. Per non parlare poi di quando il libro è costellato di errori. Ricordo un romanzo fantasy ambientato nel medievo in cui si usavano espressioni come “dopo un quarto d’ora” o si parlava di “parquet”: come se in quel periodo storico ci fossero veramente orologi o particolari pavimenti in legno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’industria editoriale potrebbe avere qualche responsabilità in questa crisi della creatività giovanile?
Sicuramente. Gli editori tendono a incoraggiare poco gli esordienti perché rappresentano un’incognita: chi opera nel mercato letterario preferisce destinare il proprio tempo agli autori già affermati. Personalmente, cerco di andare nella direzione opposta: se vedo un giovane scrittore provo a conoscerlo, perché immagino abbia voglia di emergere. Per questo come Gelsorosso stiamo promuovendo nelle scuole superiori un concorso per incentivare la creatività narrativa nei 18enni. Che va però incanalata nei binari giusti: talento, mestiere e vissuto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Foto di: Tomwsulcer, CC0. Via Wikimedia Commons
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- marco preverin - I vostri articoli sono sempre molto interessanti ma francamente questo mi sembra che esponga la posizione di chi ha gli occhi sulla nuca invece che sulla faccia. Guarda solo indietro e non è in gradi di capire l'uso dei nuovi strumenti di comunicazione