Non scherzare con la corda del boia. L’iraq dopo Saddam ﻻ ﺗﻌﺒﺚ ﺑﺤﺒﻞ اﻟﺠﻼد, è un percorso fotografico che racconta l’Iraq contemporaneo, un paese ancora segnato dalle cicatrici di un conflitto in cui hanno perso la vita un milione di iracheni.
Da Mossul a Basra, l’opera di Savino Carbone, attraverso un bianco e nero lontano dal tempo della cronaca, ci conduce tra le rovine e i fantasmi della guerra, offrendo una visione intima di una società che si rifonda ogni giorno, tra riti collettivi e lotte identitarie, e che oggi assiste alla rinascita delle pratiche sciite, sotto l’egida dell’Iran, la cui influenza è sempre più forte dopo la vittoria contro lo Stato Islamico nel nord. Sospeso tra le ingerenze del regime degli Ayatollah e delle politiche statunitensi, Carbone si muove in un Iraq che fatica a trovare stabilità e, come in una grande Tecla, assiste impotente al fallimento di tutti i tentativi di ricostruzione, rivelandosi come il grande laboratorio del Medio Oriente contemporaneo.
E mentre assistiamo all’ennesima escalation nella regione, cosa può dirci la storia recente dell’Iraq? «Nel progetto di lungo termine di Carbone non troverete quell’immaginario sanguinario che ha devastato l’Iraq. Non si raccontano mutilazioni e autobombe, ma persone. Non scherzare con la corda del boia brilla per la capacità di trovare nei dettagli questa visione personale e quella collettiva, quella che ha portato l’Iran a controllare l’Iraq e la sua politica fragile, a farne una parte di un asse che unisce Iran, lo stesso Iraq, il gruppo degli Houti in Yemen, Hezbollah in Libano e il regime di Assad in Siria. E che appoggia Hamas a Gaza» scrive Christian Elia, giornalista esperto di Medio Oriente e autore, con Francesca Albanese, di J’accuse.Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l’apartheid in Palestina e la guerra .
L’installazione sarà completata dalle registrazioni di due poemi di Muzzafar Al-Nawab, celebre poeta iracheno, morto ad agosto 2022, dopo una vita in esilio tra Iran ed Emirati Arabi. Quasi sconosciuto in Europa, Al-Nawab è stato tra le voci più cristalline dell’al-shi’r al-hurr, la poesia libera, simbolo di quell’Iraq rivoluzionario che il regime di Saddam ha dovuto a più riprese affrontare. I componimenti sono stati tradotti per la prima volta in italiano dall’arabista Silvia Moresi proprio in occasione della mostra.
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