Golfo di Taranto, a poche miglia dall'Ilva il paradiso dei delfini
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venerdì 6 febbraio 2015
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di Gabriella Quercia
Coniugando ricerca e informazione (l’associazione dà infatti la possibilità di essere ospitati sulla loro barca per assistere alle ricerche da vicino), la Jonian studia un’area che parte da Santa Maria di Leuca fino ad arrivare a Punta Alice in Calabria ed è presente con due stazioni di ricerca, una a Policoro e l’altra a Taranto. Abbiamo intervistato il presidente, il biologo 39enne Carmelo Fanizza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Partiamo dall’associazione: che tipo di attività svolgete?
Da sei anni ci occupiamo di fare ricerca sui delfini presenti nell’area del Golfo di Taranto, studiando il loro comportamento, le interazioni tra di loro e soprattutto come si evolve l’ambiente che li circonda, il tutto in mare aperto. Importante è lo studio che stiamo effettuando sui “fischi” dei delfini, sulla loro voce. Ogni delfino sembra avere una voce diversa, proprio come gli esseri umani. Quando abbiamo iniziato registravamo circa 20 uscite l’anno, adesso siamo arrivati a quota 150. Poiché ci autofinanziamo abbiamo deciso di aprire i nostri campi di ricerca all’attività “turistica”, cercando di coinvolgere persone interessate in attività di avvistamenti, studio e annotazione dei comportamenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quanti delfini e quante specie vivono in questa zona?
Sono ancora in corso studi per accertare il numero di delfini presenti, ma abbiamo individuato le specie che popolano questo mare. Al momento vivono stabilmente quattro specie diverse. La più diffusa è la “stenella striata” che è protagonista dell’’80% degli avvistamenti: ne contiamo circa 600 esemplari in soli 336 chilometri quadrati. Pesa circa 90 chili ed è lunga quasi due metri. È la specie di delfino più acrobatica. Poi abbiamo il “tursiope” che è il tipico delfino presente nei delfinari, pesa quasi 300 chili ed è lungo tre metri e mezzo. A differenza della stenella, che si ciba di pesce azzurro che trova al largo, il tursiope preferisce cacciare vicino alla costa nutrendosi di polpi e cefali. Poi ci sono il “grampo” e il “delfino comune”, entrambi rari da avvistare. Senza contare che tra marzo e maggio transitano altri due cetacei importanti, la balenottera comune e il capodoglio: entrambi approfittano del picco di fitoplancton presente in questo periodo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A che cosa è dovuta la presenza dei delfini nel Golfo di Taranto?
La città di Taranto ha come stemma il delfino, quindi anche la “mitologia” testimonia come il mammifero sia presente da molto tempo in questa zona. Scientificamente parlando sono due le condizioni che permettono la loro permanenza in queste acque: l’assenza della piattaforma batiale, il che vuol dire che ci sono profondità dei fondali marini elevate anche vicino alla costa (nel Golfo di Taranto si superano anche i 1.100 metri di profondità) e poi il sistema alimentare: l’abbondanza di plancton, fitoplancton e pesce azzurro permette ai delfini di vivere permanentemente in queste acque.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tuttavia quando si parla di Taranto viene spontaneo l’associazione con l’Ilva e al mare inquinato. Le acque del Golfo rappresentano ancora l’habitat ideale per i delfini?
In verità la presenza in pianta stabile dei delfini testimonia che, nonostante tutto, il mare non è ancora così inquinato. Se così non fosse i delfini non si riprodurrebbero e non allatterebbero i propri piccoli in queste acque. Ma non sappiamo per quanto tempo ancora queste condizioni rimarranno inalterate. Si parla sempre più delle trivellazioni dei fondali per la ricerca di idrocarburi in quest’area: questa operazione sarebbe un vero e proprio crimine per i cetacei perché i rumori interferirebbero con le onde sonore che permettono loro di orientarsi. Senza “bussola” questi animali morirebbero irrimediabilmente. A Vasto lo scorso settembre sette capodogli femmina (di cui una incinta) si sono spiaggiati. E in tre purtroppo non ce l’hanno fatta. Sono morti di embolia, perché riemersi troppo velocemente dai fondali spaventati com’erano dai rumori delle trivellazioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci sono delle norme che tutelano i cetacei?
Si, la Convenzione di Barcellona del 1978 e la Convenzione di Bonn approvata nel 1985. Gli Stati che aderiscono a queste normative non possono in alcun modo catturare o minacciare la vita e l’ambiente di questi animali. Tuttavia c’è chi viola le leggi internazionali, come quei pescatori che sparano ai delfini perché intralciano la pesca. Diverse volte sono stati ritrovate carcasse con dei fori sulla testa. Per questo noi stiamo cercando di promuovere il Golfo come Aspim (Area specialmente protetta di interesse Mediterraneo): le acque dello Ionio diventerebbero così un “santuario” per i cetacei. Verrebbero salvaguardati e il loro habitat rimarrebbe immutato e intoccabile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lo spiaggiamento è sempre sinonimo di violenza subita da parte dell’animale?
Non sempre, spesso lo spiaggiamento è una condizione naturale. Cioè i cetacei che muoiono in mare e non vanno sul fondale vengono portati a riva dalle onde. Oppure molte volte sono i delfini stessi ad avvicinarsi alla costa per “toccare” un punto sicuro negli ultimi istanti della loro vita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quando incrociate i delfini qual è la loro reazione?
Essendo animali curiosi e attratti dall’uomo, si avvicinano spontaneamente alla barca e non è difficile che inizino dei rituali di corteggiamento davanti a noi. Si strusciano, si mettono a pancia all’aria e ci osservano: i delfini hanno la capacità di mettere a fuoco ciò che vedono. Invece se sono impegnati a cacciare o ad allevare i piccoli sono più restii al contatto e preferiscono restare in disparte e non farsi vedere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sono in grado di riconoscervi quando vi vedono?
Riconoscono il suono della nostra barca e, associandolo a una situazione tranquilla e positiva, si avvicinano tranquillamente. A volte è capitato che, finita la giornata in mare, ci inseguissero per ore, quasi a volerci salutare. In ogni caso alcuni di loro li conosciamo sin dal 2009. Un esempio è DF17, noto come “Branchia”: è il primo delfino che abbiamo identificato. La sua peculiarità è la pinna dorsale molto lacerata, probabilmente dovuto all’impatto con le eliche di una barca. Sulla storia di Branchia abbiamo anche realizzato un libro da colorare che abbiamo distribuito nelle scuole. È fondamentale che la sensibilizzazione nei confronti di questo splendido animale passi anche dai più piccoli.
Qui il sito internet dell'associazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel video della Jonian Dolphin Conservation i delfini presenti nel Golfo di Taranto ripresi mentre nuotano sott'acqua:
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