Mulino, avamposto militare, rifugio per ebrei: la storia del "mattatoio" di Capurso
Letto: 17930 volte
mercoledì 15 marzo 2017
Letto: 17930 volte
di Luca Carofiglio - foto Antonio Caradonna
Raggiungerlo è semplice. Partendo dal noto santuario della Madonna del Pozzo, è sufficiente percorrere via Noicattaro in direzione sud-est per circa 500 metri. A quel punto bisogna superare la rotonda posta alla fine dell'arteria e immettersi sulla provinciale 240, la cosiddetta "strada delle Grotte orientali". Basta un altro mezzo chilometro per addentrarsi nelle campagne e giungere a destinazione: lo stabile apparirà sulla sinistra. (Vedi foto galleria)
L'ingresso della costruzione, benchè murato, non passa certo inosservato visto che è compreso tra due pilastri composti da pezzi di ordini diversi, assemblati senza badare all'uniformità stilistica. Incontriamo qui il proprietario del complesso, il 65enne Marcello Spiga, pronto per raccontarci i segreti del suo possedimento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«L'edificio nacque come mulino e pastificio - spiega Marcello -. Forse fungeva anche da forno in cui chi viveva nei dintorni portava a cuocere pane e taralli preparati in casa. Tra la fine dell'800 e l'inizio del 900 fu acquistato e trasformato in villa patronale dalla famiglia Manzionna, subendo purtroppo negli anni successivi una lunga serie di incendi dolosi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La Seconda guerra mondiale portò grandi cambiamenti. Nel 1943 dopo essere sbarcato in Sicilia l'esercito Alleato cominciò a risalire lentamente l'Italia verso nord. Le truppe arrivarono a Bari il 22 settembre, spargendosi in parte nei territori limitrofi. A Capurso si sistemarono nella scuola San Giovanni Bosco e utilizzarono questa dimora come avamposto militare per custodire i propri cavalli. «È a causa loro - continua Spiga - che una parte del palazzo crollò senza essere mai ricostruita: una sera alcuni inglesi ubriachi alla guida di una jeep si schiantarono contro alcuni pilastri, provocando danni irreparabili».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma la storia del “mattatoio” non finisce qui. «Alla fine del conflitto - prosegue il proprietario - la Puglia ospitò numerosi ebrei sopravvissuti all'orrore dei lager nazisti e alcuni di loro alloggiarono proprio in questa struttura e qualcuno lasciò un segno del proprio passaggio scrivendo frasi e simboli ebraici sui suoi muri».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel Dopoguerra il fabbricato tornò a essere sfruttato come abitazione e per un periodo l'atrio fu usato per essiccare il pellame. La visione di quei tessuti animali cosparsi di sale ed esposti al sole ingannava le persone che passavano da queste parti: presto si diffuse la diceria secondo cui questo posto fosse un "macello", ma in realtà i proprietari dell'epoca gestivano una pelletteria e stendevano in questi spazi le cuti da lavorare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Con la morte dell'ultimo erede dei Manzionna la gloriosa struttura fu comprata da Spiga, che però negli anni è riuscito a metterla solo in sicurezza senza effettuare alcun restauro. Un vero peccato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non ci resta che visitare il “mattatoio”. Scavalcando l'accesso murato ci si ritrova in un atrio pieno di sterpaglie da dove è possibile ammirare la facciata principale rossiccia, divisa in due parti. La metà inferiore presenta tre ingressi, uno centrale e due laterali, tutti a sesto ribassato. Quella più in alto, la più caratteristica, è caratterizzata dalla loggia del piano superiore che si articola in cinque finestre, scandite da sei pilastrini e sormontate da una massiccia trabeazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il corpo principale è affiancato da due ambienti laterali. Il vano di sinistra, inondato di ogni tipo di rifiuti, ha le sembianze tipiche di una stalla: è qui dentro che probabilmente i militari inglesi curavano i loro cavalli. Quello di destra è un largo corridoio che conduce al retro della villa, dove spicca un orto lavorato da un contadino del luogo. Tra di essi si apre il salone centrale, anch'esso messo a dura prova dai segni dell'incuria, dove tra lastre di vetro, tubi di gomma e spazzatura è visibile la nicchia che un tempo ospitava uno dei forni del pastificio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La scalinata che porta al piano di sopra è parzialmente ostruita dalla cisterna che alimenta il campo coltivato. Anche dopo essere saliti la situazione non migliora: c'è sporcizia ovunque. Camminando lungo la suggestiva loggia siamo assediati dai colombi che tra le colonne hanno allestito numerosi nidi e coperto il pavimento con un tappeto di escrementi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A fatica ci facciamo largo tra i cumuli di detriti presenti nelle varie stanze. La luce che penetra in queste camere proviene dalle strette finestre dagli infissi azzurri che invitano a perdersi con lo sguardo tra i prati circostanti. Per terra il monopolio della polvere viene per un attimo spezzato dalla presenza di una manciata di vecchie mattonelle bianche e rosse miracolosamente intatte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Torniamo sul ballatoio per tentare di salire sul terrazzo. Niente da fare: la porta è murata, ma i blocchi che la compongono rivelano un'ultima inaspettata sorpresa. Su uno di essi è visibile quel che rimane di una Stella di David, simbolo della religione ebraica: una probabile testimonianza di chi in un orribile "mattatoio" ci ha vissuto veramente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Luca Carofiglio
Luca Carofiglio
Foto di
Antonio Caradonna
Antonio Caradonna
I commenti
- Jakart - Nel complesso l'articolo è scritto bene, ma è decisamente impreciso nella descrizione architettonica e poco esaustivo nei contenuti.
- Michele - In quel casolare abitavano i miei Nonni famiglia la gioia Lonero prima di essere acquistato dal dottor Spiga