Grumo, nella bottega del calzolaio Antonio: lì dove il tempo sembra essersi fermato
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giovedì 16 novembre 2017
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di Luca Carofiglio
D'altronde si tratta di un mestiere in via d'estinzione, dato che ormai si usa gettare via le calzature rotte e comprarne subito un paio nuovo, magari dai cinesi. In pochi riescono ancora a camparci e in questi casi lo fanno solo dopo aver apportato radicali novità: in passato per esempio vi abbiamo raccontato della coppia bitontina che rimette a nuovo le scarpe in modo "itinerante" e di Paolo Del Drago, il giovane di Castellana Grotte che ha abbracciato la professione servendosi di una strumentazione più moderna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il singolare laboratorio di Antonio si trova nel centro storico del piccolo comune barese, in piazza Giulio Binetti. È ricavato in una vecchia costruzione in pietra che tra le due guerre mondiali era adibita a stalla, all'ombra del campanile della trecentesca chiesa di Santa Maria Assunta: praticamente una "cartolina" dal Medioevo. Siamo andati a visitarlo. (Vedi video)
Avvicinandoci all'entrata notiamo la sagoma dell'artigiano: è lì ad aspettarci sorridente sul ciglio, con una coppola e dei grossi occhiali in ferro adagiati sul naso. Indossa un camicione a quadri e un grembiule pieno di macchie di colla e tinture varie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Ho cominciato a imparare sin da piccolo i segreti di questo lavoro da un maestro che oggi ha 100 anni - esordisce l'anziano -. Fu lui a lasciarmi la sua bottega quando partì in America, anche se dopo un po’ di tempo, negli anni 70, anch’io interruppi il mestiere per emigrare a Francoforte assieme a mia moglie. Ma nel 1985 usai i soldi messi da parte in Germania per tornare qui a Grumo e riaprire la bottega. All'interno l'aspetto è rimasto immutato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E in effetti varcando l'ingresso sembra di intraprendere un viaggio indietro nel tempo. Scendiamo tre gradini, facendo attenzione a non battere la testa su un massiccio neon che si allunga dal soffitto. Assieme a esso penzolano diverse icone religiose: ne distinguiamo due della Madonna, una di Gesù e l'altra di San Nicola. Antonio è infatti un fervente credente. Il tutto mentre una vecchia radio fissata a una delle pareti trasmette "Io vagabondo", il successo dei Nomadi inciso nel 1972.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Al centro dell'angusto ambiente è piazzato ù vangaridd, ossia il tavolo in legno tipico dei calzolai, dotato di più ripiani e di alcuni cassetti dove riporre i congegni più utilizzati. Il mobile è colmo di calzature, chiodi, aghi, spaghi, pinze, colle e tinture.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Attorno a esso, nel disordine generale, balzano all'occhio alcuni utensili d'epoca, mai rinnovati. Per esempio c'è un allargascarpe blu della Toro risalente agli anni 50: si tratta di un marchingegno a forma di T con ai lati delle rotelle manovrabili per allargare o allungare qualsiasi tipo di accessorio per i piedi. A poca distanza adocchiamo anche una robusta lucidatrice verde attiva da mezzo secolo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Antonio insomma bada poco all'estetica del suo "ufficio". «Non siamo in un salone di moda - sottolinea l'esperto del settore - ma nel "regno" di un artigiano. Lasciare tutto come era un tempo significa tener vivo un mestiere dalla grande tradizione e allo stesso tempo offrire un prodotto di qualità: qui infatti tutto viene fatto a mano. E poi a che serve cambiare, visto che fra poco tutto questo non esisterà più: ho consigliato infatti ai miei figli di intraprendere occupazioni più redditizie».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Mentre chiacchieriamo il calzolaio armeggia la sugghj, cioè una lesina, quell'arnese dotato di un grosso ago a uncino che buca il cuoio delle scarpe per permettere il passaggio dei lacci. Poi afferra un pezzo di ferro e lo usa come perno per la calzatura appena bucata: sul tacco di quest'ultima, ora rivolto verso il suo viso, viene applicato un rivestimento in gomma grazie alla pressione di sapienti martellate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La cura con cui opera è quella di chi non vuole arrendersi alle difficoltà economiche e la forza di andare avanti arriva innanzitutto da decenni di esperienza alle spalle. «Guardate qui - dice Antonio brandendo una foto in bianco e nero -. In questa istantanea avevo 18 anni e fui ritratto nella bottega dove facevo apprendistato assieme al mio maestro con suo figlio, un mio zio paterno e un amico del vicinato. E’ passata una vita da allora, tra migliaia di scarpe riparate».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica di Gennaro Gargiulo)
Nel video (di Gianni de Bartolo) la nostra visita alla bottega di Antonio:
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Scritto da
Luca Carofiglio
Luca Carofiglio
I commenti
- Cecilia colapietro - Provo una sorta di tristezza nel sentire che ci sono persone che nn vanno più a ritirare le scarpe. Sembra assurdo tutto questo benessere che ti porta piuttosto a comprarne al re... Per anni ho avuto sempre le stesse scarpe perché mio padre, pur nn essendo calzolaio ma amante di ogni mestiere...ha sempre avuto tutti gli attrezzi adatti e si andava a rifornire di materiale per potercele riparare. Le scarpe, una volta, erano un bene prezioso. Simpatico Antonio...