di Francesco Sblendorio - foto Paola Grimaldi

Una lampara per accecare i pesci e una fiocina per prenderli al volo: è l'antica "pesca a fuoco"
GIOVINAZZO - Richiede oscurità, silenzio assoluto e riflessi pronti per riuscire ad infilzare la preda in pochi secondi senza l’ausilio di reti. E soprattutto è ormai patrimonio solo di sparuti lupi di mare. Stiamo parlando di un’antica tecnica di pesca, denominata “a fuoco”, usata ancora soltanto da qualche pescatore anziano. Lungo la costa barese è praticata in alcune località, tra cui Giovinazzo, a una ventina di chilometri a nord del capoluogo pugliese. (Vedi foto galleria)

Andare “a fúche”, come si dice in dialetto locale, vuol dire uscire dopo il tramonto a bordo di un gozzo provvisto di una lampada la cui luce acceca i pesci (chiamata “lampara”) e di qualche rudimentale strumento per scrutare sotto la superficie delle acque. Nella speranza che qualche cefalo o polpo capiti a tiro così da infiocinarlo "al volo".Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proprio a Giovinazzo conosciamo Giuseppe Palmiotto e Raffaele Spera, rispettivamente 72 e 58 anni, due dei rari portatori rimasti di questa tradizione. Nella loro vita, di pesci e di polpi ne hanno presi a migliaia proprio con la tecnica del fuoco. 

Li incontriamo in un pomeriggio di fine gennaio al porticciolo di Giovinazzo. Nonostante la stagione, la temperatura è mite, il vento assente e il mare calmo. Sono le condizioni ideali per la pesca a fuoco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Raffaele, Lello per gli amici, è già sulla sua barca in legno ormeggiata. Sta preparando quattro diverse fiocine, specifiche per i polpi e per varie tipologie di pesce che spera di catturare. Il suo collega è invece a riva intento a preparare la lampara.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Giuseppe ci mostra come viene accesa. La si collega tramite un tubo a una bombola del gas: quest’ultima viene azionata e il combustibile arriva alla lampada metallica. E raggiunge così, gonfiandole, delle speciali retine inserite nella lampara. A quel punto con un accendino si produce una fiamma che viene avvicinata alle retine: lì reagisce con il gas e dà luce. Da qui il nome di “pesca a fuoco”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’illuminazione generata è molto intensa, capace di sfidare il buio della sera e l’oscurità delle acque. Il suo apporto è fondamentale perché serve ad accecare e a far perdere l’orientamento alle prede per qualche secondo in modo da poterle afferrare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«In alternativa si potrebbe usare l’illuminazione elettrica – spiega Lello -, ma servirebbe un generatore che sarebbe troppo rumoroso e farebbe scappare i pesci».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non senza fatica bombola e lampada vengono portate sul gozzo. Quest’ultima in particolare è sistemata su un apposito sostegno in ferro montato a poppa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma prima di partire c’è ancora uno strumento da portare a bordo. È un vecchio recipiente cilindrico di metallo per l’olio, a cui è stato rimosso il fondo e sostituito con un vetro circolare: reggendolo dalla parte superiore verrà calato in mare, permettendo di guardare che cosa si muove in acqua.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il sole non è ancora sceso del tutto e approfittiamo dell’attesa per farci raccontare qualche curiosità. «La tecnica del fuoco si trasmetteva di generazione in generazione – dice Lello -. Noi l’abbiamo imparata dai nostri nonni, ma ormai siamo in pochissimi a portare avanti questa usanza».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Il decano dei pescatori a fuoco giovinazzesi è proprio Giuseppe. «Già a sei anni uscivo in barca con lampara e fiocine – ricorda -. All’epoca non si usavano né generatori né bombole, ma la lampada si accendeva con il gas naturale prodotto sfregando due “pietre carbure” (il carburo di calcio, ndr). Oggi questa tecnica non si insegna neanche più: la pratica solo chi l’ha appresa da bambino. I pescatori di professione hanno smesso da tempo di utilizzarla».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma perché la pesca a fuoco è ormai in via di estinzione? A detta di Lello e Giuseppe le ragioni sarebbero almeno due. Innanzitutto perché non è facile da realizzare. «Una volta disorientati i pesci, per catturarli si hanno a disposizione solo pochi secondi – spiegano -: serve dunque grande reattività e rapidità, perché va sfruttato quel brevissimo lasso di tempo per infilzare la preda con la fiocina».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E poi è poco redditizia. I due dicono che un’uscita “a fuoco” può durare da dopo il tramonto, che varia da una stagione all’altra, fino a circa l’una di notte, quindi in media cinque o sei ore. Al termine delle quali si rientra, se va bene, con quattro o cinque chili di pescato, per lo più saraghi, dentici e scorfani, oltre ai polpi. «Troppo poco per poterlo vendere – lamenta Lello -: noi lo destiniamo al consumo famigliare e in parte lo regaliamo a qualche amico. Ecco perché ormai è una modalità praticata solo per sport o per tradizione».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il sole nel frattempo è tramontato e Lello e Giuseppe sono pronti a prendere il largo. «Largo si fa per dire – scherzano –, perché in realtà questa è una pesca che si fa sotto costa, non lontano dagli scogli». Noi saliamo su un altro gozzo di proprietà del giovane pescatore Carlo e seguiamo quello su cui i due lupi di mare si sono avviati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La pesca inizia quando non siamo ancora usciti dal porticciolo. Giuseppe a poppa si posiziona accanto alla lampara accesa e, sporgendosi leggermente dalla barca, regge con entrambe le mani il contenitore cilindrico in metallo. Il fondo in vetro è immerso in acqua e gli serve per scorgere eventuali banchi di pesci. Quando ne avvista uno dice immediatamente a Lello, impegnato a remare, di porre la barca in modo che la poppa venga a trovarsi sopra il punto in cui stanno nuotando le prede. Da quel momento avviene tutto in pochissimi secondi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La luce della lampara illumina la zona, Giuseppe cala in acqua la fiocina e la ritira su con un grosso pesce infilzato. Il malcapitato è uno scorfano di un intenso arancione che finisce subito sul bancale in legno del gozzo. L’antica “pesca a fuoco” si è quindi materializzata davanti ai nostri occhi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ci resta allora che salutare i due pescatori che proseguiranno la loro battuta fino a tarda sera. Come fanno da sempre, continuando a tenere in vita una tecnica con la quale sono cresciuti fin da piccolissimi, ma che purtroppo tramonterà con loro. 

(Vedi galleria fotografica)

Nel video il nostro racconto dell'antica "pesca a fuoco":


 


© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Andare “a fúche”, come si dice in dialetto locale, vuol dire uscire dopo il tramonto a bordo di un gozzo provvisto di una lampada la cui luce acceca i pesci (chiamata “lampara”). Sperando che qualche cefalo o polpo capiti a tiro così da infiocinarlo "al volo"
Proprio a Giovinazzo conosciamo Giuseppe Palmiotto e Raffaele Spera, rispettivamente 72 e 58 anni, due dei rari portatori rimasti di questa tradizione
Andiamo a conoscere questa tecnica di pesca in un pomeriggio di fine gennaio al porticciolo di Giovinazzo
Nonostante la stagione, la temperatura è mite, il vento assente e il mare calmo. Sono le condizioni ideali per la pesca a fuoco
Raffaele, Lello per gli amici, è già sulla sua barca in legno ormeggiata
Sta preparando quattro diverse fiocine, specifiche per i polpi e per varie tipologie di pesce che spera di catturare
Il suo collega è invece a riva intento a preparare la lampara
Giuseppe ci mostra come viene accesa. La si collega tramite un tubo a una bombola del gas...
...quest’ultima viene azionata e il combustibile arriva alla lampada metallica. E raggiunge così, gonfiandole, delle speciali retine inserite nella lampara
A quel punto con un accendino si produce una fiamma che viene avvicinata alle retine. Lì reagisce con il gas e dà luce
L’illuminazione generata è molto intensa, capace di sfidare il buio della sera e l’oscurità delle acque. Il suo apporto è fondamentale perché serve ad accecare e a far perdere l’orientamento alle prede per qualche secondo in modo da poterle afferrare
Non senza fatica bombola e lampada vengono caricate sul gozzo
Quest’ultima in particolare è sistemata su un apposito sostegno in ferro montato a poppa
Prima di partire c’è ancora uno strumento da portare a bordo: è un vecchio recipiente cilindrico di metallo per l’olio...
... a cui è stato rimosso il fondo e sostituito con un vetro circolare: reggendolo dalla parte superiore verrà calato in mare, permettendo di guardare sotto il pelo dell’acqua
Caricato tutto il necessario sulla barca, Lello e Giuseppe sono pronti ad andare in mare. Noi saliamo su un altro gozzo di proprietà di Carlo, un giovane pescatore e seguiamo quello su cui i due lupi di mare si sono avviati
La pesca inizia quando non siamo ancora usciti dal porticciolo. Giuseppe a poppa si posiziona accanto alla lampara accesa...
...e, sporgendosi leggermente dalla barca, regge con entrambe le mani il contenitore cilindrico in metallo. Il fondo in vetro è immerso in acqua e gli serve per scorgere eventuali banchi di pesci
Da quel momento avviene tutto in pochissimi secondi. La luce della lampara illumina la zona, Giuseppe cala in acqua la fiocina e la ritira su con un grosso pesce infilzato
Il malcapitato è uno scorfano di un intenso arancione che finisce subito sul bancale in legno del gozzo. L’antica “pesca a fuoco” si è quindi materializzata davanti ai nostri occhi



Francesco Sblendorio
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Paola Grimaldi
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