Canosa, l'arte di Antonio Caiella: crea copie perfette di anfore e vasi millenari
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venerdì 13 aprile 2018
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di Paola Setteducati
Un’attività quella di Antonio molto apprezzata dal mondo dei musei, che hanno fatto a gara per assicurarsi le sue opere: il terracottaio ha così “esposto” ad esempio al Marta di Taranto o al museo archeologico di Minervino Murge. Oggi, ormai in pensione, non lavora più su commissione (neanche per privati appassionati), ma si dedica a laboratori rivolti a giovani studenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo andati a trovarlo nel suo laboratorio di opificio di via Costantinopoli, situato alla periferia di Canosa di Puglia. (Vedi foto galleria)
Superato l'ingresso di quello che all'esterno ha l'aspetto di un vecchio magazzino dismesso, accediamo all’opificio e subito il nostro sguardo è catturato dalla schiera di manufatti in stile antico, allineati sugli scaffali. Ad accoglierci c'è l’artista, un uomo dai capelli bianchi lunghi fino alle spalle e con la pelle del viso e delle mani segnata dal tempo e dal duro lavoro manuale. Antonio, mentre plasma un piccolo vaso in argilla seduto al tornio, ci racconta la sua storia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Mi occupo di terrecotte dall'età di 9 anni e non mi è mai piaciuto limitarmi alle “solite” creazioni - confessa - . Volevo invece occuparmi di qualcosa che non si fabbricasse più da tempo e osservando le antiche ceramiche nei musei, ho capito quanto potesse essere bella la sfida di provare a farle identiche».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E così negli anni 80 Caiella decide di passare dalla produzione di mattoni e pavimenti a quella di vasi “antichi”. «Per riprodurli così fedelmente ho dovuto studiare sui libri di storia dell'arte – spiega – osservando poi gli originali nei musei. La difficoltà principale è stata sempre quella di riuscire a indovinare i punti di colore esatto dell'argilla. Del resto non ho mai utilizzato pigmenti artificiali o già pronti, ma li ho ricavati mescolando petali di fiori alla calce. Stesso dicasi per l'argilla rossa: l’ho ricavata direttamente dalle cave della Murgia, dove è particolarmente ricca di ossido di ferro. Il colore marcatamente bruno dei buccheri, invece, sono riuscito a ottenerlo con una particolare tecnica di cottura ad affumicatura, che serve a privare di ossigeno il materiale».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma è arrivato il momento di fare un giro nel laboratorio. Dopo aver velocemente visitato la fornace per la cottura della creta e il magazzino in cui sono conservate le macchine per la produzione, passiamo in rassegna i gioielli esposti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci sono askos apuli utilizzati anticamente per contenere olio e riconoscibili dal collo con beccuccio e un'olla dauna con motivi geometrici. Passiamo poi alle enormi anfore fra cui sono riconoscibili dei lebes gamikos, con decorazioni antropomorfe in stile ellenico. E ancora un cratere a volute, tipico della ceramica apula a figure rosse, utile a conservare il vino e krossos e loutrophoros, utilizzati per contenere acqua durante i bagni nuziali. Infine notiamo del vasellame “apulo geometrico”, dalla colorazione molto chiara e con decorazioni lineari e floreali, come il piccolo oinochoe posto accanto a un'altra olla dello stesso stile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Pare quasi di essere entrati nel deposito sotterraneo di un museo, dove sono accatastati tutti i ritrovamenti in attesa di essere catalogati nelle teche espositive. Ma quelle di Antonio sono solo copie, anche se fatte così bene da sembrare antichi e preziosi manufatti millenari.
(Vedi galleria fotografica)
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Paola Setteducati
Paola Setteducati