Il museo del vino dell'enoteca De Candia, testimonianza di una Carrassi che non c'è più
Letto: 14983 volte
lunedì 21 novembre 2016
Letto: 14983 volte
di Katia Moro
L'attività nacque come osteria su iniziativa appunto dei De Candia, famiglia proprietaria di aziende vinicole che, a partire dal 1948, dette vita ai primi imbottigliamenti prima di trasformare vent'anni dopo il luogo di ristoro definitivamente in enoteca. L'attuale titolare è Italo De Candia, venuto al mondo proprio negli scantinati della rivendita nel corso di un raid aereo degli Alleati del 1940.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Con l'arrivo della guerra mio nonno aveva trasformato i seminterrati dell'edificio in rifugio antiaereo - spiega il 76enne proprietario -. Era lì che ci si rintanava in caso di incursioni nemiche. Durante uno di questi attacchi si ruppero le acque a mia madre e a una sua amica lì presente: entrambe furono costrette drammaticamente a partorire in quella che oggi è una delle salette espositive».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non è difficile capire dunque perchè Italo tenga particolarmente a quegli spazi sotterranei, che dal 1968, da quando cioè ha preso in mano le redini del negozio, ha riadattato in museo. L’interessante mostra consiste oggi in una raccolta di circa 800 oggetti tra bottiglie pregiate e antichi attrezzi usati per l'imbottigliamento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per visitarla occorre scendere una scalinata che parte dal piano terra dell'esercizio e conduce di fronte a quattro sale disposte a ferro di cavallo. Le prime due, più ampie e caratterizzate da possenti volte a botte intonacate di bianco, ospitano una grande quantità di prodotti in vendita. Le restanti costituiscono invece il vero e proprio spazio espositivo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Qui c'è il microclima ideale per la conservazione dei vini più preziosi, custoditi su appositi portabottiglie lignei adagiati su un tappeto di ghiaia spesso mezzo metro, utile per assorbire l'umidità. Ma sono i vecchi arnesi da lavoro su cui puntiamo la nostra attenzione: Italo ci guida così alla scoperta di questi oggetti che ben conosce sin dall'infanzia. «Cominciai a collaborare con i miei genitori all'età di 8 anni - ricorda infatti il titolare - il mio primo compito fu quello di raschiare le etichette delle bottiglie. Dopo tanta gavetta, già negli anni 50 divenni noto a Bari come il "re dell'imbottigliamento"».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il primo marchingegno che attira la nostra attenzione è una datata infiaschettatrice metallica usata proprio per imbottigliare, costituita da sei bocchettoni a cui venivano attaccate le bottiglie per essere riempite. Fu usata dagli anni 30 agli anni 70, prima di diventare obsoleta a causa della meccanizzazione di questo processo. Il vino giungeva all’infiaschettatrice tramite dei tubi attaccati posteriormente e collegati ad una pompa idraulica, un altro pezzo del museo. Quest'ultima spingeva il vino verso l’alto tramite la forza della pressione dell’acqua.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tra gli apparecchi spicca poi una tappatrice per champagne degli anni 30. Il macchinario permetteva di infilare con un colpo secco nella bottiglia il tappo ristretto che in seguito si dilatava pian piano all'interno del recipiente. L'operazione era possibile manovrando sapientemente un pedale e una vistosa maniglia in legno. Mimetizzati in questo scrigno di ricordi ci sono anche due grandi dischi in canapa dotati di un foro al centro. Venivano posti tra una pompa e l’altra e avevano la funzione di filtrare il vino travasato trattenendo tutte le impurità e lasciando passare solo il liquido depurato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Ci sono però oggetti a cui sono più legato rispetto ad altri – ammette De Candia -. Ce n’è ad esempio uno che simboleggia un mondo oramai inesistente di cui mi raccontava mio padre. Si tratta di una piccola botte che fungeva da unità di misura per calcolare quanto vino si andava a caricare dalle cantine. All’epoca si partiva col carroccio e i cavalli, che stazionavano nel giardino di casa nostra e percorrendo le mulattiere di campagna si andava a prelevare il vino dosandolo proprio con queste botti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lo scenario descritto da Italo è quello della Carrassi negli anni 20, un rione immerso praticamente nella campagna. Fu solo a partire dagli anni 40 e 50 che il quartiere si sviluppò. Sorsero la farmacia, la vetreria, il cinema Armenise e soprattutto il tram che dalla stazione, passando per corso Sicilia (ora corso Benedetto Croce), conduceva a Carbonara.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Sono 76 anni che vivo e lavoro in questa zona di Bari - conclude nostalgico Italo -. Ho visto cambiare Carrassi nel corso degli anni e ho assistito alla nascita di tanti edifici e costruzioni. Oggi vedo tutte queste auto che girano all'infinito alla ricerca di un parcheggio e sento in continuazione i rumori dei clacson. Stento a credere che sia lo stesso luogo dove un tempo i bambini giocavano allegri tra gli ulivi e dove io passavo ore ed ora a imbottigliare il mio amato vino».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica di Katia Moro e Gennaro Gargiulo)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Katia Moro
Katia Moro