L'Mra, il movimento dalla parte degli uomini: «Discriminati dal mondo femminile»
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venerdì 12 maggio 2017
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di Annarita Correra
Ad esempio dal 2014 è attivo anche in Italia il movimento mascolinista “Mra”, abbreviazione di “Men's Rights Activism” (Attivismo per i diritti degli uomini), che attraverso petizioni e campagne sui social network si pone l’obiettivo di sensibilizzare sulla “parità dei sessi e la difesa degli esseri umani di sesso maschile”. Abbiamo parlato con il 23enne Alberto, uno degli amministratori della pagina Facebook “Diritti Maschili – Mra Italia”, nata solo due anni fa ma che conta già più di 19 mila followers.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quali sono gli obiettivi del vostro movimento?
Sono tanti e tutti mirati a tutelare gli uomini dalle disparità di trattamento che subiscono ogni giorno, a partire dalle ingiuste e non meritocratiche “quote rosa”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma le quote rosa sono state pensate per dare una mano alle donne, in passato spesso discriminate nel mondo del lavoro…
Si ma questo non è un sistema equo, perché comporta l’esclusione di uomini in favore di donne che magari hanno competenze minori. E a essere danneggiati non sono solo i maschi ma anche le femmine perché vengono "messe lì" per soddisfare una determinata quota indipendentemente dalla loro preparazione. Noi ci opponiamo a un criterio di scelta che predilige una persona piuttosto che un’altra solo per il suo sesso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Combattete però anche i “parcheggi rosa”: non è giusto che una donna incinta sia facilitata quando deve trovare posto alla propria auto?
Il problema è che spesso questo tipo di parcheggi non sono riservati solo a persone incinte o a neomamme, ma alle donne “in generale”, per tutelarle da possibili aggressioni in strada. E poi non ci sono solo i parcheggi rosa, ma anche i taxi rosa e i vagoni rosa (presenti anche in Italia sulla linea Venezia-Monaco), che dovrebbero proteggere le donne da possibili aggressioni sui treni, quando basterebbe semplicemente un aumento delle forze dell’ordine sui convogli. Sono tutti servizi che mirano a proteggere esclusivamente il gentil sesso, ma anche gli uomini sono vittime di violenze, furti e omicidi. Tutti dovrebbero essere tutelati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Però le principali vittime di violenza sono proprio le donne…
Guardate che nel 2010 uno studio statunitense, il “Nisvs”, che analizza le violenze subite da uomini e donne, ha constatato che in un anno il numero delle donne stuprate era pari a quello dei “made to penetrate”, cioè uomini costretti ad avere un rapporto sessuale senza dare il consenso, ad esempio mediante ricatti o minacce.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Stuprare e “indurre” a far qualcosa sono però due cose ben diverse…
In entrambi i casi non c’è consenso. In Italia in realtà esiste una legge contro la violenza di genere (legge n. 119 del 15 ottobre 2013), che tutela sia uomini e donne, ma il problema è che le campagne di sensibilizzazione sono tutte rivolte alla difesa delle donne e i centri antiviolenza sono quasi tutti gestiti da donne per donne. Tra l’altro noi proponiamo lo stop al male-bashing, ovvero a quelle pubblicità dove si deridono trattamenti degradanti nei confronti degli uomini, come schiaffi e calci ai genitali o quelle in cui si afferma lo stereotipo dell’uomo stupido o violento. Questo è sessismo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci sono leggi che considerate sessiste?
Certo. Le “misure alternative alla detenzione per detenute con figli minori” (legge n. 40 dell’8 marzo 2001) è sicuramente sessista perché prevede che le donne condannate possano scontare pene detentive ai domiciliari se hanno figli minori di 10 anni. La stessa cosa non succede però per i padri, fatta eccezione “quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole”. I padri sono penalizzati anche da altre leggi, come quella sull’infanticidio (articolo 578 del Codice Penale) che dà pene minori alla madre rispetto al padre. E anche la nostra Costituzione è sessista, perché l’articolo 30 afferma “la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”, mentre il 31 recita che la Repubblica “protegge la maternità”. In entrambi i casi secondo noi si dovrebbe sostituire il termine paternità e maternità con “genitorialità”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A subire maggiori ingiustizie sono quindi i padri?
I padri separati specialmente. Con la legge n. 54 dell’8 febbraio 2006 è stato introdotto l’affido condiviso e quindi entrambi i genitori separati possono prendere decisioni per il figlio. Ma anche se si “permette” al padre di essere coinvolto nella vita del bambino, nella maggior parte dei casi la residenza del figlio coincide con quella della madre. E questo comporta che non solo l’uomo non solo non può vivere pienamente con il bambino, ma neanche vivere nella propria casa, anche se di sua proprietà. Il tutto mentre versa gli alimenti e il mantenimento. Figli, casa, soldi: quando ci si separa va tutto all’ex moglie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma non credete che con le vostre posizioni il vostro movimento possa essere considerato “maschilista”?
Assolutamente no. I maschilisti sostengono la superiorità dell’uomo sulla donna: vorrebbero riportare la società al tempo in cui la donna non aveva tutte le possibilità che vanta oggi. Il nostro scopo è invece un altro: quello di ottenere la rimozione di leggi sessiste che tutelano maggiormente le donne a discapito degli uomini. Non chiediamo meno diritti per le donne, chiediamo diritti per tutti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un esempio di male-bashing:
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Annarita Correra
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I commenti
- renato - LE VITTIME MASCHILI ( ETERO ED OMO ) DI VIOLENZA DOMESTICA NON POSSONO ACCEDERE AI CENTRI ANTIVIOLENZA CONVENZIONATI. INGIUSTO, INCOSTITUZIONALE. FIRMIAMO E CONDIVIDIAMO PETIZIONE Oggetto: si richiede l’adozione di efficaci misure di contrasto alla prassi discriminatoria nei confronti delle vittime maschili di violenza domestica. Infatti, nella maggioranza dei centri antiviolenza alle vittime maschili viene negato il diritto di avvalersi del servizio. Le misure di contrasto a detta prassi discriminatoria dovranno riguardare tutti gli ambiti della vita sociale, in particolare quello legislativo, informativo ed educativo. Hanno promosso la petizione i centri antiviolenza: Perseo – Centro antiviolenza maschile di Milano Centro Antiviolenza della Croce Rossa Italiana comitato di Avezzano Il fiocco di neve – APS di Trieste Hanno aderito: Francesca Beneduce, giornalista, criminologa. Eletta Presidente della Commissione Pari Opportunità Regione Campania in qualità di esperta nel 2013. Marco Crepaldi, psicologo specializzato in psicologia sociale. Fondatore e presidente di Hikikomori Italia. Gianni Baldini, avvocato. Professore associato (ab.) di diritto privato e docente di biodiritto presso l'Università di Firenze e Siena. Antonio Martone, scrittore e saggista. Docente di filosofia presso Università degli Studi di Salerno. Francesco Nozzoli, docente di fisica presso l’Università degli Studi di Trieste. Gianluca Cicinelli, giornalista e scrittore. Collabora con l’Università degli Studi LUMSA di Roma. Giorgio Ceccarelli, avvocato. Fondatore dell' Associazione "Figli Negati" promotore e ideatore della Casa del papà e del Daddy’s Pride. Glenda Mancini, criminologa, saggista e conduttrice televisiva. Cinzia Baldazzi, saggista, critica letteraria. Gioacchino Onorati, editore di libri e programmi televisivi. Fondatore della casa editrice Aracne e di AracneTV. Spett. ministra e assessori, siamo un gruppo di associazioni che gestiscono centri antiviolenza, intervenendo su persone maltrattate e maltrattanti in ambito domestico senza praticare alcuna discriminazione, prima fra tutte quella di genere. Ci occupiamo inoltre di giustizia riparativa finalizzata al recupero e alla riabilitazione delle persone in-capaci di gestire rabbia e aggressività quando sottoposte a situazioni di forte stress psicologico. La nostra esperienza concreta, la nostra formazione e ricerca scientifica nonché la nostra coscienza di cittadini democratici, ci portano alla richiesta di cui all’oggetto. Riteniamo infatti la prassi discriminatoria nei confronti delle vittime maschili di violenza domestica: Illegale. Essa viola l’articolo 3 della costituzione, non attua la Legge del 27 giugno 2013, n. 77, (ratifica ed esecuzione della Convenzione di Istanbul dell'11 maggio 2011). La convenzione “sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica” differenzia i due ambiti in tutti i suoi articoli. In particolare, circa la violenza domestica all’art 1 afferma: “…Riconoscendo che la violenza domestica colpisce le donne in modo sproporzionato e che anche gli uomini possono essere vittime di violenza domestica”; all’art. 4 comma 3 “… in particolare le misure destinate a tutelare i diritti delle vittime, deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, … ”. Inaccettabilmente motivata. Di solito si giustifica la discriminazione verso le vittime maschili con l’esiguità del loro numero. L’assurdità di tale asserzione è evidente. La legge deve applicarsi a tutti e, semmai, deve esserci maggiore attenzione proprio verso quei fenomeni di illegalità che rischiano di passare inosservati. Oltretutto, le vittime maschili non sono affatto in numero così esiguo. Sono stati effettuati vari studi che lo dimostrano. Studi che, per essere realizzati, hanno dovuto superare numerosi ostacoli di varia natura ed una diffusa ostilità preconcetta che spesso ha penalizzato i ricercatori stessi. Contrariamente agli studi che indagano la violenza sulle donne che vengono ampiamente finanziati e pubblicizzati. Non ci si rende conto che proprio la mancata indagine su “l’ altra metà della violenza” finisce per inficiarne il loro valore scientifico in quanto non li contestualizza nel fenomeno più ampio della violenza domestica. Particolarmente iniqua. La prassi discriminatoria colpisce tutte le vittime maschili compresi i minori, gli anziani, i disabili o persone spesso già discriminate in altri ambiti come le persone LGBT. Inefficace e controproducente perché si basa su un’analisi della realtà stereotipata e falsata da pregiudizi. Individua tutti i soggetti maschili come tendenzialmente pericolosi in base ad una tara biologica e/o culturale. Tale visione della realtà, con l’uomo ingabbiato nel ruolo del potenziale carnefice, finisce per ottenere l’effetto paradossale di diffonderlo come modello di genere nelle giovani generazioni. Simmetricamente, in questa visione manichea, la donna non può che essere una potenziale vittima. Negando che la violenza possa anche essere femminile, non si presta adeguato interesse ed intervento sulle donne maltrattanti, lasciandole sole a gestire il proprio malessere. Non dovrebbe essere necessario, visto il nostro impegno quotidiano, ma vogliamo ribadire che la nostra iniziativa non vuole né minimizzare né relativizzare la violenza sulle donne in alcun modo. L’estensione delle tutele a tutte le persone, a prescindere dal sesso/genere della vittima, oltre ad essere un dovere costituzionale e civile nel senso della non discriminazione e dell’uguaglianza, nulla toglierebbe alle tutele attualmente offerte alle donne vittime di violenza. Firmiamo tutti questo appello per porre fine realmente alla violenza domestica. info: violenzabasta@gmail.com http://chng.it/qx42CH8H