Laterza, il Museo della civiltà contadina: «Per riflettere sui sacrifici dei nostri vecchi»
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martedì 6 ottobre 2020
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di Antonella Mancini
A organizzarla è stato il 67enne Angelo Spinosa, detto “Lillino”: ex tecnico informatico laertino ora in pensione. Gli utensili sono infatti stati raccolti da lui stesso nell’arco di quarant’anni, perlustrando soprattutto i mercatini d’antiquariato. «Sono stato spinto sia dai ricordi della mia infanzia che da un grande attaccamento alla cultura della mia terra», ci spiega.
Lillino ha poi deciso di porre parte dei suoi 4mila oggetti in un apposito museo, da lui stesso gestito assieme all’associazione “La Gravina”. Siamo quindi andati a visitare l’esposizione (si entra con un’offerta volontaria), sita in via San Carlo, nel centro storico di Laterza. Ad accompagnarci è naturalmente il signor Spinosa, che ogni giorno illustra agli avventori la storia di ogni strumento, trasportando chi lo ascolta nella fatica della vita di un tempo.
L’ambiente è suddiviso in varie sezioni: da quella del contadino al calzolaio, passando per il conciatore di pelli, il fabbro e l’ombrellaio. C’è però anche un settore dedicato ai vecchi giocattoli realizzati in casa. Ad esempio il carretto. «Era fatto con assi e cuscinetti a sfera – afferma Lillino -: con esso i bambini si avventuravano in gare di velocità su strade sterrate. Ma i piccoli riuscivano anche a costruire originari prototipi di monopattini, hula hoop con fasce di legno arrotondate e cavallucci con teste ricavate da avanzi di stoffa».
Il collezionista ci guida lungo il percorso, avvertendoci che qui è ospitata solo una parte di ciò che è riuscito a raccogliere nel corso degli anni. «Ho più di 4000 oggetti - sottolinea -: e non tutti hanno trovato posto nel museo. Tra questi il pezzo forse di maggior valore: una grossa macchina sgrana granturco».
Lillino ci mostra una foto dell’attrezzo: un setaccio meccanico che, vibrando, separava i chicchi di mais dalle pannocchie. Queste ultime però una volta “svuotate” non venivano buttate ma andavano ad alimentare il fuoco dei bracieri, sui quali si potevano mettere ad asciugare anche i vestiti, sistemati su una griglia di ferro perché non si bruciassero. Con le restanti foglie si riempivano poi anche i materassi di coloro che non potevano permettersi la lana.
Nel museo uno di questi materassi è inserito all’interno della ricostruzione di una vecchia camera da letto di una classica famiglia contadina. È visibile anche lo scaldaletto che serviva a riscaldarlo: una sorta di pentola con dentro del carbone appoggiata su una base.
Eccoci poi davanti agli strumenti necessari per la tessitura. Come un telaio formato da quattro colonne e azionato a pedale. E poi un volano trascinatore orizzontale per arrotolare i fili su dei rocchetti e dei telai in legno tondi utilizzati dalle ricamatrici.
Particolare è l’apparecchio per la pulitura dei fiori di cotone, costituto da assi distanziati che stretti con una manovella schiacciavano il fiore. Proseguendo ammiriamo un attrezzo meccanico a dondolo usato per aumentare il volume della lana: la “pettinava” e la puliva, così da renderla adatta a riempire cuscini e materassi.
Utensile usato dalle donne era anche il cosiddetto strechelature, ossia una tavola zigrinata utile a lavare i panni nei lavatoi pubblici. Come anche caratteristico è il ditale in legno che serviva a proteggere le mani degli uomini quando si tagliava il grano con la falce durante la mietitura.
Passiamo ora al calzolaio, che si serviva di tenaglie, lime, raspe, chiodini e coltelli. Notiamo anche un’antica scarpa ortopedica e una da lavoro, quest’ultima ricavata mettendo sotto la suola dei chiodi per evitare di scivolare nella terra bagnata. Una cassetta appoggiata su una vecchia bici contiene invece gli arnesi dell’ombrellaio: martelli, tenaglie, pinze e i ricambi quali i manici.
Mentre l’angolo del conciatore di pelli mostra i finimenti per i cavalli: il collare, la sella e le briglie. Animali che trainavano carretti quali lo sciaraball: composto da due ruote di grandi dimensioni veniva impiegato nei campi e per il trasporto di persone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per concludere la nostra guida ci mostra un sacchetto di color verde scuro, quello in cui le donne raccoglievano pazientemente i loro capelli venduti poi a commercianti (soprattutto baresi) che li utilizzavano per la creazione di parrucche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Perché è questo l’obiettivo del museo – conclude Lillino -: far riflettere sullo sforzo e il sacrificio compiuto dalle generazioni precedenti. È grazie ai nostri “vecchi” se abbiamo raggiunto il benessere odierno, che spesso, soprattutto i giovani, danno per scontato».
(Vedi galleria fotografica)
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Scritto da
Antonella Mancini
Antonella Mancini