di Martina Fredella

Claudio Locatelli, reporter di guerra: «Siamo rimasti in pochi a raccontare i conflitti da vicino»
BARI – «Siamo rimasti in pochi a raccontare le guerre “scendendo in campo”: eppure solo in questo modo si può tentare di cogliere la verità». Parole di Claudio Locatelli (nella foto), 35enne giornalista bergamasco diventato noto negli ultimi mesi per essere stato tra i primi a trasmettere, attraverso social network e tv, le immagini provenienti dall’Ucraina.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E non casualmente, visto che il giovane freelancer è abituato a narrare i conflitti “dal vivo”, affrontando i pericoli legati al lavoro di reporter. Nel 2020 ad esempio è stato arrestato in Bielorussia nel tentativo di raccontare le manifestazioni contro il governo di Lukašėnka, mentre nel 2021 ha parlato della presa del potere da parte dei Talebani in Afghanistan. Quest’anno invece ha deciso di partire per l’Ucraina per fornire la sua testimonianza della guerra con i Russi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Abbiamo quindi parlato con Claudio per conoscere più da vicino il delicato mondo del “giornalismo di guerra”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non siete rimasti in tanti a raccontare le guerre “dal vivo”…

Vero. Per quanto in Ucraina le testate giornalistiche italiane abbiano spedito numerosi inviati, questi ultimi continuano a tenersi a lontani dai luoghi più pericolosi. Hanno la tendenza a essere “statici”, a star comodi magari nei proprio alberghi per parlare della stessa notizia per diversi giorni, senza indagare a fondo. Ma solo con il lavoro e il sacrificio si possono ottenere quelle informazioni che portano alla verità e al progresso.

E questo è un qualcosa che non si sta verificando solo in Ucraina…

No. Un esempio lampante è l'Afghanistan. Lì, dopo l’addio delle truppe americane e la successiva instaurazione del regime dei Talebani c’è stata una vera e propria fuga da parte dei giornalisti. Assurdo, visto che proprio in quel momento c’era bisogno di raccontare ciò che stava accadendo. Io sono stato tra gli ultimi venti reporter a lasciare il Paese: me ne sono andato solo quando sono stato costretto. La conseguenza inevitabile è che il governo ora detiene il potere assoluto sull’informazione: sono esclusivamente i Talebani a decidere ciò che può passare e arrivare a noi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Perché i giornalisti non hanno più il coraggio di “scendere in campo”?

Perché hanno comunque il loro stipendio garantito: per quale ragione dovrebbero rischiare di farsi del male raccontare il conflitto più da vicino? Al contrario noi freelancer non possiamo far altro che andare a “vedere con i nostri occhi”, mettendoci alla ricerca di notizie da condividere con il pubblico. La cosa “bella” è che spesso alcune testate pur avendo i loro inviati sul posto utilizzano comunque gli articoli scritti da noi giornalisti coraggiosi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tu hai utilizzato in primis Facebook  per “mostare” la guerra: ritieni che i social possano riuscire a sostituire la classica televisione?

I social sono uno strumento che permettono di colmare il divario tra percezione e realtà, arrivando al pubblico in maniera potente. Le dirette streaming portano gli spettatori a vivere “quell’esatto momento”, facendo entrare la guerra nelle case delle persone.

E a te non basterebbero, a questo punto, solo i social? Perché hai scelto comunque di partecipare a trasmissioni televisive con il rischio di essere anche strumentalizzato?

Intanto perché i freelancer hanno bisogno di risorse economiche per sostenersi sui luoghi di guerra, per quanto vendere i propri pezzi non comporta chissà quali guadagni. E poi perché un giornalista deve fare sempre in modo di arrivare a tutti, utilizzando svariati canali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qual è il problema maggiore che incontrano i freelancer in guerra?

La popolazione locale è generalmente diffidente nei confronti degli stranieri che vengono a “ficcare il naso” in casa propria. In più l’andare in un luogo di conflitto “liberi”, senza avere alle spalle una redazione che ti sostiene, rende il tutto più difficile. Bisogna essere bravi a farsi accettare e diventare credibili agli occhi dei protagonisti. 

Per concludere: come fa un giornalista a tornare sano e salvo da un conflitto?

Purtroppo non c’è garanzia: personalmente ho perso molti compagni di viaggio. Però non c’è scelta: combattendo per raccontare la verità bisogna mettere in conto il fatto di potersi trovare di fronte a situazioni pericolose. Io però ho un rapporto molto “rilassato” con la morte: in questo modo riesco a mantenere sempre il sangue freddo e a individuare soluzioni. Avere paura è un “lusso” che in guerra non ti puoi permettere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui uno dei video girati da Locatelli in Ucraina


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Martina Fredella
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  • Massimiliano - Alcuni media, specificano che il Sig. Claudio Locatelli di Curno, ora giornalista (e basta?) vanta nel suo Curriculum Vitae un passato recentissimo come "Contractor" (trad.: MERCENARIO); pare che, tra le altre cose, nel 2017 abbia infatti combattuto per sette mesi in Siria al fianco delle milizie curde contro l’Isis. Ora, premettendo che tutte le guerre sono brutte e ogni tipo di violenza va condannata, non sto riuscendo a dispiacermi molto, perdonatemi... e mi chiedo: quando una persona rischia (si badi, ho scritto RISCHIA) un proiettile, può avere poi la faccia tosta di lamentarsi e farne articoli di cronaca, quando ne avrà messi a segno chissà quanti lui, di colpi, forse poco più di cinque anni fa? Premiato con un riconoscimento da parte del Parlamento Europeo come giornalista free lance e manager per lo sviluppo di progetti nella sfera del sociale... ...e nulla ha fatto per nascondere alla stampa quella sua trascorsa attività illegale? Eh sì, perché fare il mercenario non è consentito (per chi è italiano) in base alla convenzione delle Nazioni Unite del 1989 che è stata ratificata con la legge 12 maggio 1995 n. 210. Quanto rimpiango quando le telecamere a bordo campo spostavano le inquadrature in alto per non riprendere in diretta il solito fanatico che correva nudo in campo per avere gli onori della cronaca. Magari qualche bega legale, il nudista folle, l'avrà subita. Se avesse fatto il mercenario, sarebbe stato più approvato da tutti. Dio salvi la nostra povera Italia. Massimiliano


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