di Carlo Maurantonio

Bari: tra droni, parkour e writers, viaggio nella spettrale casa di cura Santa Lucia
BARI - Una struttura abbandonata da ben 23 anni, diventata nel corso del tempo rifugio per senzatetto, writers e ragazzini che giocano pericolosamente tra i suoi resti. Quella di cui parliamo è la gigantesca casa di cura Santa Lucia di Bari, o meglio di quella che secondo i progetti sarebbe dovuta diventare una clinica. Nel 1995 infatti a fermare la sua costruzione fu l'Operazione Speranza: l’inchiesta su Francesco Cavallari, “re mida” della sanità privata, il cui iter processuale non è ancora terminato. Uno stallo che di fatto ha consegnato il colosso alla grande mappa dei 189 edifici in disuso del capoluogo pugliese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’edificio “fantasma” si trova sulla provinciale 80, di fatto il prolungamento di via Fanelli che conduce fino a Valenzano. Superata la  "zona delle casermette" e l’incrocio semaforico con via Conte Giusso che porta nel centro abitato di Mungivacca, scorgiamo la casa di cura sulla sinistra, fronteggiata dall'altra parte della strada dagli "storici" campetti di calcio del Green Park.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Entrarvi non è per nulla difficile: uno dei pannelli in ferro che ne rivestono il perimetro è stato abbattuto, rendendo quindi inutile la chiusura del cancello rossiccio principale. Oltrepassiamo questo ingresso improvvisato ritrovandoci così davanti alla struttura, che si erge in tutta la sua possenza. Sviluppata su sei livelli (di cui uno interrato), è composta da un corpo centrale e due ali laterali adiacenti che delineano una chiara forma ad "H". (Vedi foto galleria)

Nell'atrio incontriamo immediatamente due giovani: indossano una visiera e maneggiano un telecomando per far volare i loro droni. «Attraverso le "maschere" osserviamo in tempo reale le traiettorie dei nostri aeromobili - spiegano i ragazzi -. Sappiamo che in quest'area spesso c'è qualcuno che pratica parkour: noi però preferiamo limitarci a far svolazzare i nostri velivoli».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Salutiamo i due "intrusi" e salendo alcuni scalini giungiamo al primo piano. Lo scenario è spettrale: all'assenza totale di pareti esterne si aggiungono file di colonne rese meno grigie dai disegni dei writers, segno che la presenza umana qui è tutt'altro che occasionale. Bisogna stare attenti a dove si mettono i piedi, visto che tra i detriti si aprono vere e proprie voragini. Da una di esse scorgiamo un'enorme matassa di fili gettata nel piano interrato da chissà quanto tempo. (Vedi video)


Scarpiniamo lungo un corridoio in penombra e approdiamo nei pressi della rampa sprovvista di balaustra che porta al secondo piano: siamo ormai nell'ala destra dell'ospedale. Saliamo con molta accortezza e  arriviamo in un altro grande ambiente in preda all'abbandono totale. Il pavimento è disseminato da fasci di tubazioni rimasti incompleti, mentre i muri in mattoni rossicci risultano squarciati in diversi punti. In uno dei corridoi spicca una condotta dell'aria caduta rovinosamente dal soffitto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Torniamo verso la rampa per avanzare al terzo piano, dove tra un tappeto di vetri rotti, chiodi, tubi di gomma e pezzi di intonaco balzano all'occhio delle bombolette spray usate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La nostra ascesa, ultilizzando delle scale che diventano sempre più ripide e pericolose, prosegue al piano successivo. Arrivati su capiamo di essere affacciati sul vuoto, senza protezioni. Decidiamo così di accedere al più “accogliente” quinto piano, composto da stanzette circolari rivestite da piastrelle bianche. Qui c'è persino un “salotto” caratterizzato da un televisore, un divano e dei mobili rosa: peccato che l'"arredamento" sia solo dipinto su un muro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Scavalchiamo quindi un piccolo muretto per sbucare sul tetto della casa di cura. Siamo in pratica in una discarica a cielo aperto, vista l'impressionante quantità di rifiuti edili sversati senza troppi complimenti. Non ci resta ora che tornare alla base dell'edificio, non prima di aver evitato sul nostro cammino un vecchio carrello con le ruote forate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Giunti al primo piano ci affacciamo sul “giardino” che circonda la clinica, puntellato da alberi di fico cresciuti liberamente nel corso degli anni. E qui ci imbattiamo in un ambiente dove trovano posto tre materassi e una poltrona: una spartana "camera da letto" allestita probabilmente da clochard. L’ennesimo segno del passaggio di quegli "invisibili" che ogni giorno si aggirano tra queste pericolosissime rovine, spezzando la quiete di un gigante abbandonato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)

Nel video (di Gianni de Bartolo) la nostra visita alla casa di cura Santa Lucia:


 


© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
La struttura “fantasma” si trova sulla strada provinciale 80, di fatto il prolungamento di via Fanelli che conduce fino a Valenzano
Entrarvi non è per nulla difficile: uno dei pannelli in ferro che ne rivestono il perimetro è stato abbattuto, rendendo quindi inutile la chiusura del cancello rossiccio principale
Oltrepassiamo questo ingresso improvvisato ritrovandoci così davanti all'edificio, che si erge in tutta la sua possenza. Sviluppato su sei livelli (di cui uno interrato), è composto da un corpo centrale e due ali laterali adiacenti che delineano una chiara forma ad "H"
Nell'atrio incontriamo immediatamente due giovani: indossano una visiera e maneggiano un telecomando per far volare i loro droni
«Attraverso le "maschere" osserviamo in tempo reale le traiettorie dei nostri aeromobili - spiegano i ragazzi -. Sappiamo che in quest'area spesso c'è qualcuno che pratica parkour: noi preferiamo limitarci a far svolazzare i velivoli»
Salutiamo i due "intrusi" e salendo delle scale giungiamo al primo piano
Lo scenario è spettrale: all'assenza totale di pareti esterne si aggiungono file di colonne rese meno grigie dai disegni dei writers, segno che la presenza umana qui è tutt'altro che occasionale
Bisogna stare attenti a dove si mettono i piedi, visto che tra i detriti si aprono vere e proprie voragini. Da una di esse scorgiamo un'enorme matassa di fili gettata nel piano interrato da chissà quanto tempo
Scarpiniamo lungo un corridoio in penombra...
...e approdiamo nei pressi della rampa sprovvista di balaustra che porta al secondo piano: siamo ormai nell'ala destra dell'ospedale
Saliamo facendo molta attenzione e  arriviamo in un altro grande ambiente in preda all'abbandono totale. Il pavimento è disseminato da fasci tubazioni rimasti incompleti, mentre i muri in mattoni rossicci risultano squarciati in diversi punti
In uno dei corridoi spicca una condotta dell'aria caduta rovinosamente dal soffitto
Torniamo verso la rampa per avanzare al terzo piano, dove tra un tappeto di vetri rotti, chiodi, tubi di gomma e pezzi di intonaco balzano all'occhio delle bombolette spray usate
La nostra ascesa, ultilizzando delle scale che diventano sempre più ripide e pericolose, prosegue poi al piano successivo
Arrivati su capiamo di essere affacciati sul vuoto, senza protezioni
Decidiamo così di accedere al più “accogliente” quinto piano, composto da stanzette circolari rivestite da piastrelle bianche. Qui c'è persino un “salotto” caratterizzato da un televisore, un divano e dei mobili rosa: peccato che l'"arredamento" sia solo dipinto su un muro
Scavalchiamo quindi un piccolo muretto per sbucare sul tetto della casa di cura. Siamo in pratica in una discarica a cielo aperto, vista l'impressionante quantità di rifiuti edili sversati senza troppi complimenti
Decidiamo quindi tornare alla base dell'edificio...
...non prima di aver evitato sul nostro cammino persino un vecchio carrello con le ruote forate
Giunti al primo piano ci affacciamo sul “giardino” che circonda la clinica, puntellato da alberi di fico cresciuti liberamente nel corso degli anni
E qui ci imbattiamo in un ambiente dove trovano posto tre materassi e una poltrona: una spartana "camera da letto" allestita probabilmente da clochard. L’ennesimo segno del passaggio di quegli "invisibili" che ogni giorno si aggirano tra queste pericolosissime rovine, spezzando la quiete di un gigante abbandonato



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