Natura, torri e chiese rupestri: alla scoperta di Lama Picone, il "fiume di Bari"
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giovedì 2 agosto 2018
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di Carlo Maurantonio - foto Antonio Caradonna
Siamo comunque andati alla ricerca di ciò che rimane del canyon (vedi foto galleria).
Per farlo ci dirigiamo nel rione Santa Rita, precisamente sul ponte di via Rocco di Cillo. Il punto prescelto non è casuale, visto che qui si trova una diga di sbarramento costruita nel 1915 che devia la lama creando un “canalone”, tratto artificiale che dopo aver percorso 3,5 chilometri in direzione nord-ovest, si va ad unire al canale Lamasinata, nei pressi di zona Santa Caterina.
Verso nord invece la Picone prosegue il suo tratto naturale, che è quello che seguiremo. Imbocchiamo quindi via Trisorio Liuzzi, poi sulla sinistra via Ospedale di Venere e infine ci immettiamo in una stradella di campagna: la Don Ciccio. Si tratta di un’antica via rurale che attraversa l’alveo del vecchio fiume.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Man mano che camminiamo il viottolo si fa sempre più stretto e il verde più fitto: siamo in un ambiente che vede protagonisti olivi e fichi d’india. E a un certo punto, all’altezza dei palazzi di via Rosario Livatino che scorgiamo sullo sfondo, ci imbattiamo nella cinquecentesca torre d’avvistamento Don Ciccio. Si trova in alto, sulla nostra destra, anche se dell’originaria struttura è rimasta solo la base caratterizzata da due grandi arcate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Facendo molta attenzione decidiamo di salire sul “tetto” della struttura, dal quale riusciamo a osservare il lungo corso della lama che si estende fino a Bari città. Scendiamo e continuiamo il nostro percorso lungo la stradina che, facendosi prima in salita e poi in discesa, arriva ai piedi del ponte di via Donato Menichella, che collega il raccordo Giuseppe Rossi a via Giulio Petroni.
Da questo punto in poi l’area diventa ancora più selvaggia. Tra fragni e roverelle ci ritroviamo immersi in una zona dominata dalle pareti rocciose del canyon, costellate da una serie di grotte i cui ingressi sono in parte ostruiti dalla vegetazione. A ricordarci però di essere in città ci pensano i palazzi di via Ranieri che si stagliano sullo sfondo.
Raggiungiamo ora attraverso un sentiero l’argine destro della lama per incontrare l’importante ipogeo “La Caravella”. Qualche anno fa denunciammo la sporcizia che caratterizzava questo antico sito: oggi la situazione purtroppo non è cambiata, visto che al suo interno si trova una grande quantità di rifiuti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proseguiamo il nostro cammino in un grande uliveto che ci regala un po’ d’ombra, all’interno del quale trovano posto da anni le baracche di un campo rom. E proprio davanti all’accampamento scoviamo l’entrata di quella che rappresenta uno delle più preziose chiese rupestri della città: Santa Candida.
Il sito, ricavato tra il X e XI secolo all’interno di un ipogeo, si presenta con una particolare planimetria a ventaglio e con dei pilastri che dividono le navate. Riusciamo però solo a intravedere l’interno, perché la chiesa è chiusa con una cancellata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo ora avanti in prossimità della tangenziale, sotto la quale passiamo grazie a dei tunnel che ci portano in una grande zona a ridosso del quartiere Poggiofranco dominata dalle sterpaglie. E’ quello che secondo un progetto mai concretizzatosi sarebbe dovuto divenire il “Parco di Santa Candida”: un’area verde dove ci sarebbe stato spazio anche per un circuito per ciclisti.
Ora l’area seppur recintata è di fatto abbandonata, percorsa unicamente dai rom del precedente campo che si approvvigionano dell’acqua che fuoriesce da una fontana installata in via Mitolo nel 2014. Quest’ultima strada è proprio quella che costeggia il “parco”, dal quale usciamo attraverso un cancello.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da qui in poi Lama Picone smette praticamente di esistere. Due ultimi brevi tratti è possibile scorgerli dal cavalcavia di via Lucarelli, dove dall’alto si ammira una zona verde che costeggia via Giuseppe Bartolo, e su via Tommaso d’Aquino, area sulla quale gli ulivi predominano all’ombra dei grattacieli del quartiere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Poi l’ex corso d’acqua viene letteralmente mangiato dall’asfalto. Tuttavia l’intero percorso è facilmente ricostruibile: i numerosi avvallamenti che caratterizzano alcune strade cittadine sono infatti i giusti indizi per individuare il territorio su cui scorreva.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
È il caso ad esempio di Poggiofranco “bassa”, dove tra viale Papa Pio XII e via Pansini ci sono tanti tratti di asfalto che salgono e scendono. E soprattutto del quartiere Picone (che non a caso ha questo nome), che vede la sua arte più antica trovarsi praticamente su una piccola altura.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E poi il sottovia Quintino Sella, quello che si allaga ad ogni forte temporale. E’ in discesa, proprio perché da lì passava l’alveo della lama. Non è un caso d’altronde che nel primo Novecento la zona maggiormente danneggiata dalle forti alluvioni che colpirono la città fu proprio il Libertà, quartiere costruito sul letto del vecchio fiume.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Fiume che poi terminava la sua corsa all’altezza dell’attuale molo Pizzoli, nel porto di Bari, lì dove si è perso ormai il ricordo non solo del Picone ma anche del mare in cui sfociava.
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Carlo Maurantonio
Carlo Maurantonio
Foto di
Antonio Caradonna
Antonio Caradonna