Torre a Mare, quella grotta che si affaccia sul porto: fu la casa del mitico Varvamingo
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venerdì 13 settembre 2019
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di Federica Calabrese
Domenico Daugenti, soprannominato Barbamingo o Varvamingo per via dell’imponente barba, era un uomo di Noicattaro che cinquecento anni fa, ogni giorno, percorreva dieci chilometri per andare a catturare pesci a Torre Pelosa. All’epoca l’attuale quartiere di Bari era pressochè disabitato, caratterizzato unicamente dall’omonima torre di avvistamento edificata per contrastare gli attacchi dei pirati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una volta conclusa la caccia tornava indietro, ripercorrendo la strada al contrario e prestando attenzione a non attardarsi sulla via per non rischiare di trovar le porte di Noicattaro sbarrate. Stanco però del suo errabondare, Varvamingo decise un giorno di stabilirsi definitivamente sul mare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Scelse così una piccolo anfratto scavato nella roccia e affacciato nei pressi della foce di Lama Giotta, su un’insenatura che all’inizio del 900 verrà poi racchiusa da un molo andando a formare l’odierno porticciolo. Domenico passò lì il resto della sua vita, quasi come un eremita, pescando di giorno e riparando le reti di sera, senza più far ritorno in città.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Con il tempo in molti seguirono il suo esempio, stabilendosi in antiche grotte o piccoli trulli e facendo così nascere il nucleo di quello che sarebbe diventata Torre a Mare: un quartiere di Bari oggi caratterizzato da bar, ristoranti e “movida”.
Nonostante siano passati secoli, la leggenda del “primo pescatore” aleggia ancora tra le vie del borgo, anche se la sua antica casa versa purtroppo in condizioni di assoluto degrado. Per visitarla basta affacciarsi sul porto punteggiato di colorati gozzi, per andare poi a incamminarsi verso sinistra sulla banchina che ospita i rispostigli dei pescatori.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Superate le tante porticine azzurre, scorgiamo un cancello arrugginito: quello che dà accesso a una caverna inglobata nelle fondamenta del ristorante “Da Nicola”: l’antica abitazione di Varvamingo. Ci avviciniamo, notando sull’entrata un’edicola dedicata a San Nicola, la cui statuetta è protetta da un vetro impolverato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non abbiamo modo di entrare nell’anfratto, ma ci è facile scorgere attraverso le sbarre questa piccola grotta diventata una sorta di discarica. Dentro si trova di tutto: sedie, assi di legno, porte rotte, bottiglie di plastica. L’ambiente versa quindi in totale abbandono.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Eppure non è stato sempre così. Lo dimostrano i cavi divelti e tagliati presenti all’ingresso: segno di un’illuminazione una volta esistente. «Sì – conferma l’anziano pescatore Nicola – quel posto era utilizzato da noi come punto di ritrovo dopo le battute in mare, come omaggio a quel nostro primo compagno coraggioso. Lì conservavamo attrezzi e reti e custodivano il nostro pescato. E a turno facevamo ordine e pulivamo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E poi che è avvenuto? «La Guardia costiera – risponde un altro pescatore, il 60enne Domenico - ci ha vietato l’utilizzo della cavità e da allora lo spazio è stato abbandonato: non ci si può nemmeno avvicinare perché pullula di insetti ed è immerso nella sporcizia. Per non assistere a quello scempio quando tiriamo a secco le nostre barche le disponiamo lì davanti, per coprire la grotta. Purtroppo il ristorante a cui appartiene non fa nulla per restituirle una vita».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma il proprietario di “Da Nicola” respinge le accuse. «La colpa non è nostra - sottolinea –. Quella grotta è stata valorizzata nel corso degli anni. La scultura del Patrono, che è in creta, l’abbiamo commissionata noi agli artigiani di Rutigliano. E non solo. Lì si celebravano anche delle messe: accorrevano tutti i pescatori e tra luci e rumori del mare, l’ambientazione era molto suggestiva. Poi però negli anni 90 è arrivato il nuovo parroco che ha vietato le celebrazioni. E da allora questo luogo leggendario ha cominciato pian piano a morire».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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