L'illustratrice Carmela Leuzzi: «Disegno per i bambini, il pubblico più competente»
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mercoledì 14 maggio 2014
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di Katia Moro
Come è iniziata la tua attività di illustratrice?
Con la preparazione della mia tesi di laurea per l’Accademia di Belle Arti, quando ho deciso di realizzare una guida turistica per ragazzi su Castel del Monte. Mi sono accorta che non esisteva nulla di simile al riguardo e ho affrontato con entusiasmo questa sfida. Il castello pieno di misteri e segreti da scoprire era lo scenario più adatto e per rendere la guida più accattivante e accessibile a dei giovani lettori mi sono cimentata in una serie di illustrazioni. Lì ho scoperto la mia vera passione che poi non ho più abbandonato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Hai avuto dei maestri o dei modelli di riferimento?
Sì, per me sono stati fondamentali alcuni corsi tenuti da maestri come Sophie Fatus e Svjetlan Junakovic nell’ambito di manifestazioni baresi quali “Fantasia” e “Maggio all’infanzia”. Ma il principale modello a cui mi ispiro è Linda Wolfsgruber che ho conosciuto durante un workshop a Sarmade, in provincia di Treviso. Da lei ho imparato che anche le illustrazioni per bambini possono essere raffinate e di alto livello come è tipico della scuola tedesca. La Wolfsgruber investe più sul disegno fatto a mano che non sul colore e le sue immagini non sono edulcorate e patinate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quindi il pubblico a cui ti rivolgi è fondamentalmente quello dei bambini?
Non solo. Alcune mie illustrazioni sono diventate libri per piccoli dai 3 ai 5 anni come “La coccinella Madame la Desiderosa” (come mi soprannominava mia nonna), altre per bambini dai 5 ai 6 anni come “Sole e la speranza” che affronta il problema dell’immigrazione a Bari. Altre ancora però le ho realizzate per testi di altri autori come “Mal di terra” di Andrea Biscaro che viene utilizzato come libro di narrativa in alcune scuole medie. E mi è capitato di ricevere la richiesta di illustrare un testo per adulti come “Pane e amianto” di Giuseppe Armenise, che affronta un tema scomodo: la questione dell’ex fabbrica Fibronit di Bari. È chiaro che modificandosi il target d’utenza cambia anche lo stile dei disegni che diviene più complesso e meno immediato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quale tecnica e quali soggetti utilizzi maggiormente?
Le mie tavole nascono quasi sempre per illustrare delle storie e quindi disegno soprattutto i personaggi di questi racconti: volti e figure umane, bambini e animali. Altro protagonista è lo sfondo urbano: soprattutto case e edifici che incombono con le loro sagome stilizzate. Dal momento che devono essere riconoscibili a dei bambini, realizzo tavole di tipo figurativo e narrativo: si tratta di tavole grafiche più che pittoriche, nelle mie illustrazioni è protagonista il disegno e non il colore. Di fatto nella mia testa nascono immagini solo disegnate in bianco e nero, il colore subentra in un secondo momento e solo in alcuni punti. Utilizzo la tecnica della monotipia, che è una tecnica di stampa senza matrice per cui si inchiostra una superficie, vi si stende su un foglio e si disegna direttamente sul foglio, ma prevalentemente disegno con le penne a biro e poi aggiungo colori acrilici. E anche se destinati a bambini non impiego necessariamente colori chiari e brillanti, anzi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Vuoi continuare a essere un’illustratrice o ti piacerebbe seguire altre strade artistiche?
No, voglio rimanere fedele soprattutto al mio pubblico di bambini e ragazzi perché è quello che prediligo. È in realtà il pubblico più esigente e difficile da accontentare e anche il più competente perché i ragazzi riescono davvero a leggere l’immagine molto più di un adulto, privi come sono di una serie di sovrastrutture mentali.
E c’è invece qualcosa che non hai ancora sperimentato e in cui vorresti cimentarti?
A livello tecnico sì. Vorrei riuscire a dedicarmi anche alla grafica digitale che ho sinora tralasciato essendomi dedicata principalmente all’aspetto materico del disegno e dei colori. Sogni non ancora realizzati? Uno, inconfessabile quasi: vorrei riuscire a vivere solo di illustrazioni e renderle la mia unica attività quotidiana. Anche se non rinnego la mia professione principale, quella di insegnante di arte nella scuola media, che costituisce per me una continua fonte d’ispirazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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Katia Moro
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