di Giancarlo Liuzzi - foto Rafael La Perna

Bari, quell'armoniosa dimora circondata da un monumentale giardino: è Villa Sbisà
BARI - Un "monumentale" e silenzioso giardino, una sinuosa scalinata in pietra con graziose statue, fregi e soffitti decorati. Sono alcuni dei tratti distintivi di una delle residenze più raffinate di Bari: Villa Maria Luisa, meglio nota come Villa Sbisà, una dimora liberty di inizio 900 che svetta armoniosamente su una collinetta tra via Amendola e via Celso Ulpiani, all’interno del Campus universitario. (Vedi foto galleria)

Si perché la villa è, da 40 anni, di proprietà dell’Università di Bari e sede del Di.s.s.p.a. (Dipartimento di scienze del suolo, della pianta e degli alimenti). Ruolo che ben le si addice, dato il suo trovarsi, sin dall’origine, completamente immersa in un folto giardino di 3000 metri quadri con piante di ogni genere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un edificio che resta comunque poco conosciuto dai baresi, non visibile dalla strada e visitabile solo accedendo nel polo universitario. Del resto, non a caso, nel 2020 avevamo scelto la dimora come immagine di copertina del nostro libro “Barinedita - La città rivelata”, che assurse così a simbolo di una Bari bella ma nascosta e quindi “inedita”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il suo ingresso, composto da un massiccio cancello in ferro tra due colonne in pietra, si trova al civico 159 della trafficata via Amendola, all’estremo nord del Campus. L’inferriata, sulla quale è leggibile il nome della villa su due placchette arrugginite, è però serrata perennemente da un lucchetto. Dalle grate riusciamo appena a intravedere il viale in salita che conduce all’edificio, nascosto dalle fronde degli alberi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per ammirarlo dobbiamo così entrare dall’ingresso dell’ex facoltà di Agraria e costeggiare il muro perimetrale del Campus, fino al cartello che ci indica l’istituto che ha sede nella villa. Superiamo un piccolo edificio bianco con cornicione rosso, l’antica dependance della residenza, per giungere ai piedi del sentiero ombroso che porta alla dimora.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il colpo d’occhio è notevole. La villa è introdotta da un’ampia e armoniosa scala monumentale con fini colonnine in pietra e si innalza imperiosa su tre livelli con una facciata tripartita dai toni bianchi e rossi scandita da massicce lesene. Ai lati dello scalone spiccano due statue: raffigurano Renzo e Lucia dei Promessi Sposi, creati dalla storica ditta barese De Filippis.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I gradini ci portano a una loggia balaustrata con vasi di ortensie e fini lampioncini in ferro. Da qui riusciamo a scorgere meglio i decori della facciata. Nella parte centrale spicca il balcone in pietra, oltre il quale intravediamo quattro bianche colonne scanalate, con ai lati mensolette a decoro vegetale. Queste reggono un fregio “bicolore” con metope e triglifi sovrastato a sua volta da un cornicione aggettante e fastigio sommitale con stemma.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Su quest’ultimo sono visibili alcune lettere sovrapposte tra cui una “M”, probabile iniziale del nome di Maria Luisa Moletta. Fu la donna, figlia del cavalier Luigi Moletta, titolare di un’armeria in via Sparano, ad acquistare assieme a suo marito Giuseppe Sbisà il terreno di 733 metri quadri dove fu edificata la villa. Era il 1919.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel 1965, in seguito alla scomparsa della signora, gli eredi Sbisà cedettero la dimora all’Università che restò però abbandonata fino al 1978, quando venne restaurata e adibita all’attuale ruolo istituzionale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dinanzi all’ingresso ci viene incontro Patrizia Tartarino, docente di Dendrometria e Assestamento forestale, che assieme al giardiniere Vincenzo si occupa della cura del luogo. «Sono 42 anni che sono qui – ci racconta la professoressa -. In questa villa ho studiato, mi sono laureata e ci lavoro da decenni. Fino a quando ci sarò continuerò a prendermene cura».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


La responsabile, accompagnata dai suoi giocosi cagnolini, ci guida nel rigoglioso giardino circostante, oltre il quale riusciamo a intravedere anche il rosso torrino della vicina Villa La Rocca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci facciamo così strada tra silenziosi sentieri di pitosforo, viburno, oleandri, strelitzia e intere aiuole di salvia all’ombra di cedri, ulivi, mandarini e querce. La dimora era già circondata originariamente da un verde giardino e nel corso dei decenni il dipartimento universitario ha preservato le specie esistenti, aggiungendone anche di nuove.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il giardino si sviluppa su più livelli uniti da graziose scalette in pietra che conducono in aree vissute dagli studenti della facoltà. «Questa è un’aula all’aperto, ma viene utilizzata anche per festeggiare le lauree», ci spiega Patrizia indicandoci una piccola piazzola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La nostra guida ci mostra poi orgogliosa il maestoso pino di Aleppo che svetta alle spalle dell’edificio: alto ben 24 metri è stato dichiarato albero monumentale nel 2019. Da qui riusciamo anche ad ammirare il retro dell’edificio, sul quale spiccano due graziosi casupoli con tetto a falde ai lati di un giardinetto annesso alla villa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Infine, nascosto tra le piante, notiamo un malconcio piccolo vano in pietra introdotto da un frontone: si tratta probabilmente dell’antica cappelletta privata della famiglia Sbisà purtroppo ormai spoglia e colma di rifiuti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ritorniamo ora davanti alla scalinata per salire gli alti gradini e fare ingresso così, attraverso una porta in legno, all’interno della villa. Davanti a noi si aprono una serie di stanze occupate da scaffali colmi di libri e cavalletti forestali utilizzati in passato per misurare le ampiezze degli alberi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Parte dell’edificio è stato restaurato – sottolinea la docente -. È stato rimosso l’originario pavimento in legno, anche se sono state conservate le porte grigie in legno e il vecchio camino con le prese d’aria che riscaldavano all’epoca gli altri piani».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In alcuni locali troviamo anche le antiche chianche in pietra posate sul pavimento, oltre alla bocca di un pozzo nascosta dietro una porticina. «Al di sotto della villa ci sono degli ampi ambienti sotterranei – ci dice la nostra guida -. Forse delle antiche cisterne per la raccolta delle acque».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Attraverso una scala con un’elegante ringhiera in ferro raggiungiamo il piano superiore. Anche qui sono ancora presenti le originali porte e le cementine decorate con colorati motivi geometrici. Una stanza, adibita ad uffici, mostra un soffitto impreziosito da modanature bianche con motivi vegetali e stemmi negli angoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Entriamo poi in un ambiente adiacente, forse l'originario salone di rappresentanza, illuminato da tre finestroni divisi da snelle lesene ocra. E qui, alzando lo sguardo, restiamo incantati dalla vista del soffitto interamente decorato con teloni dipinti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel riquadro centrale sono rappresentati uomini e donne in abiti settecenteschi che danzano su una terrazza nel giardino di una dimora nobiliare. Il tutto circoscritto da una serie di cornici decorate con ghirlande e lire dorate e ritratti tra figure di grifoni e leoni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Da questa stanza possiamo infine accedere al balcone in pietra, dal quale possiamo avere una visuale completa del rigoglioso giardino che circonda Villa Sbisà. Un prezioso angolo verde di Bari che è riuscito a preservarsi nel tempo, mentre la città intorno cambiava per sempre.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
L'ingresso della villa si trova al civico 159 della trafficata via Amendola, all’estremo nord del Campus
É composto da un massiccio cancello in ferro tra due colonne in pietra...
...sul quale è leggibile il nome della villa su due placchette arrugginite. L'inferriata è però serrata perennemente da un lucchetto: dalle grate riusciamo appena a intravedere il viale in salita che conduce all’edificio, nascosto dalle fronde degli alberi
Per ammirarlo dobbiamo così entrare dall’ingresso dell’ex facoltà di Agraria e costeggiare il muro perimetrale del Campus, fino al cartello che ci indica l’istituto che ha sede nella villa
Superiamo un piccolo edificio bianco con cornicione rosso, l’antica dependance della residenza
...per giungere ai piedi del sentiero ombroso che porta alla dimora
Il colpo d’occhio è notevole. La villa è introdotta da un’ampia e armoniosa scala monumentale con fini colonnine in pietra...
...e si innalza imperiosa su tre livelli con una facciata tripartita dai toni bianchi e rossi scandita da massicce lesene
Ai lati dello scalone spiccano due statue: raffigurano Renzo...
...e Lucia dei Promessi Sposi, creati dalla storica ditta barese De Filippis
I gradini ci portano a una loggia balaustrata con vasi di ortensie...
...e fini lampioncini in ferrocon vasi di ortensie e fini lampioncini in ferro
Da qui riusciamo a scorgere meglio i decori della facciata. Nella parte centrale spicca il balcone in pietra, oltre il quale intravediamo quattro bianche colonne scanalate...
...con ai lati mensolette a decoro vegetale. Queste reggono un fregio “bicolore” con metope e triglifi sovrastato a sua volta da un cornicione aggettante e fastigio sommitale con stemma
Su quest’ultimo sono visibili alcune lettere sovrapposte tra cui una “M”, probabile iniziale del nome di Maria Luisa Moletta. Fu la donna, figlia del cavalier Luigi Moletta, titolare di un’armeria in via Sparano, ad acquistare assieme a suo marito Giuseppe Sbisà il terreno di 733 metri quadri dove fu edificata la villa. Era il 1919.
Dinanzi all’ingresso ci viene incontro Patrizia Tartarino, docente di Dendrometria e Assestamento forestale, che assieme al giardiniere Vincenzo si occupa della cura del luogo
La responsabile, accompagnata dai suoi giocosi cagnolini, ci guida nel rigoglioso giardino circostante...
...oltre il quale riusciamo a intravedere anche il rosso torrino della vicina Villa La Rocca
Ci facciamo così strada tra silenziosi sentieri di pitosforo, viburno, oleandri, strelitzia...
...e intere aiuole di salvia...
...all’ombra di cedri, ulivi, mandarini e querce
Il giardino si sviluppa su più livelli...
...uniti da graziose scalette in pietra che conducono in aree vissute dagli studenti della facoltà
«Questa è un’aula all’aperto, ma viene utilizzata anche per festeggiare le lauree», ci spiega Patrizia indicandoci una piccola piazzola
La nostra guida ci mostra poi orgogliosa il maestoso pino di Aleppo che svetta alle spalle dell’edificio...
...alto ben 24 metri è stato dichiarato albero monumentale nel 2019
Da qui riusciamo anche ad ammirare il retro dell’edificio, sul quale spiccano due graziosi casupoli con tetto a falde ai lati di un giardinetto annesso alla villa
Infine, nascosto tra le piante, notiamo un malconcio piccolo vano in pietra introdotto da un frontone...
...: si tratta probabilmente dell’antica cappelletta privata della famiglia Sbisà...
...purtroppo ormai spoglia e colma di rifiuti
Ritorniamo ora davanti alla scalinata per salire gli alti gradini e fare ingresso così all’interno della villa
Davanti a noi si aprono una serie di stanze occupate da scaffali colmi di libri...
...e cavalletti forestali utilizzati in passato per misurare le ampiezze degli alberi
«Parte dell’edificio è stato restaurato – sottolinea la docente -. È stato rimosso l’originario pavimento in legno, anche se sono state conservate le porte grigie in legno...
...e il vecchio camino con le prese d’aria che riscaldavano all’epoca gli altri piani»
In alcuni locali troviamo anche le antiche chianche in pietra posate sul pavimento...
...oltre alla bocca di un pozzo nascosta dietro una porticina. «Al di sotto della villa ci sono degli ampi ambienti sotterranei – ci dice la nostra guida -. Forse delle antiche cisterne per la raccolta delle acque»
Attraverso una scala con un’elegante ringhiera in ferro raggiungiamo il piano superiore
Anche qui sono ancora presenti le originali porte...
... e le cementine decorate con colorati motivi geometrici
Una stanza, adibita ad uffici, mostra un soffitto impreziosito da modanature bianche con motivi vegetali e stemmi negli angoli
Entriamo poi in un ambiente adiacente, forse l'originario salone di rappresentanza, illuminato da tre finestroni divisi da snelle lesene ocra
E qui, alzando lo sguardo, restiamo incantati dalla vista del soffitto interamente decorato con teloni dipinti
Nel riquadro centrale sono rappresentati uomini e donne in abiti settecenteschi che danzano su una terrazza nel giardino di una dimora nobiliare
Il tutto circoscritto da una serie di cornici decorate con ghirlande e lire dorate e ritratti tra figure di grifoni e leoni
Da questa stanza possiamo infine accedere al balcone in pietra, dal quale possiamo avere una visuale completa del rigoglioso giardino che circonda Villa Sbisà
Un prezioso angolo verde di Bari che è riuscito a preservarsi nel tempo, mentre la città intorno cambiava per sempre



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