Annarita Romito: «Un libro e un disco su Frida, disabile come me»
Letto: 11986 volte
martedì 3 giugno 2014
Letto: 11986 volte
di Katia Moro
Annarita, illustraci il tuo lavoro.
Il libro è una ricostruzione biografica-saggistica frutto di un lungo lavoro di studio condotto su numerosi documentari e fonti letterarie e si suddivide in due parti: la prima dedicata alla pittrice messicana Frida Kahlo, icona dell’arte novecentesca e la seconda a Tina Modotti, fotografa e reporter nel Messico rivoluzionario degli anni 20. Per entrambe il percorso parte da una breve biografia per poi snodarsi in riflessioni e approfondimenti su aspetti della personalità e delle esperienze di vita delle artiste scandagliate più da un punto di vista umano che professionale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E il disco?
Il cd è quasi una naturale prosecuzione del testo e ha il carattere di un omaggio musicale alle due figure: dieci brani jazz cantautoriali con una “ballad” ed un brano a cappella ispirati a lettere delle due donne o a vicende che le riguardano. Io canto e sono autrice dei testi e delle musiche.
Hai definito Frida Kahlo addirittura “la mia seconda pelle”…
Mi sono avvicinata a Frida quando nel 2006 ho realizzato come autrice e regista uno spettacolo teatrale dal titolo “Diversità: dov’è il problema?” dedicato a questa figura di donna così emblematica. È stato lì che mi sono resa conto di quanti elementi avevo in comune con lei. Frida come me è stata disabile fin dalla nascita perché affetta da spina bifida e poi, a seguito di quel terribile incidente sull’autobus in cui un’asta metallica si è staccata trafiggendola da parte a parte, è stata costretta all’immobilità per lunghi periodi e a numerose ingessature proprie come me. Ma è come se Frida sia rinata a nuova vita dopo quell’incidente, perché è lì che è iniziata la sua attività artistica che la ha resa nota in tutto il mondo. Costretta in un letto a baldacchino, sua gabbia dorata, con uno specchio sul soffitto ha cominciato ad autoritrarsi e a dare un nuovo senso alla sua vita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quindi l’arte vissuta come superamento della disabilità. Anche per te è stato così?
Si. Io ho iniziato a studiare canto jazz presso la scuola jazz di Bari “Il Pentagramma” intorno ai 18 anni. Lì ho iniziato a respirare la normalità, i miei primi processi di integrazione e socializzazione. Prima di allora, come era accaduto a Frida e come accade ad ogni disabile, vivevo reclusa nella mia stanza. Ma i miei genitori mi hanno dato la spinta giusta per aprirmi al mondo e i miei insegnanti di musica hanno fatto il resto. La musica è stata per me terapica, mi ha aiutata a costruirmi un percorso di autoaccettazione e di rafforzamento dell’autostima. Di qui la forza di superare i miei limiti, le barriere architettoniche e mentali che la società impone ad una donna su sedie a rotelle.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Passiamo a Tina Modotti, come ti sei avvicinata a lei?
Innanzitutto tramite la fotografia. Sono anch’io come lei figlia di un fotografo e ho trascorso gli anni della mia infanzia nello studio fotografico di mio padre. Ho ancora impresso nelle narici l’odore degli acidi dello sviluppo e lo ricordo sempre intento a scegliere provini e confezionare album. È scomparso oramai da 10 anni ma è stata una figura fondamentale per me. Ma oltre alla fotografia mi avvicina a Tina la sua passionalità. Tina, come Frida, è stata una donna molto passionale, ma la sua passione era sempre legata all’altra faccia della medaglia: il dolore. In lei la passione si tramutava in dolore e il dolore in passione. La passione per gli uomini che l’hanno amata, la passione per il suo lavoro, per la vita stessa. Per me è esattamente la stessa cosa e la passione e il dolore si tramutano nell’arte di comunicare agli altri delle proprie emozioni ed esperienze. Ma in Tina la passione è anche impegno civile e denuncia sociale quando ritrae i lavoratori, i rivoluzionari e le donne del popolo messicano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ti identifichi anche in questo?
Certo. Nel mio piccolo anch’io lotto contro le ingiustizie sociali. Non a caso quattro anni fa ho fondato a Bari un’associazione culturale, “DiversArte”, che si occupa di arte, cultura e “diversabilità”. Quest’associazione propone dal 2013 il “Festival DiversArte” che ci permette di scoprire tanti talenti nascosti che hanno difficoltà ad esprimersi e farsi accettare nella nostra città. Una ragazzina affetta da autismo ad esempio era stata rifiutata dal conservatorio. Da noi ha iniziato ad esibirsi ed ha avuto molto successo: ogni qualvolta sale sul palco e canta commuove tutti. L’arte fa davvero superare ogni ostacolo e rende tutti uguali e tutti speciali.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Katia Moro
Katia Moro
I commenti
- LARA FLAMMIA - Oggi si usa dire fan, anche se penso a Frida, fan sa di poco credibile, quasi caricaturale. Per chi ama la sua pittura e la sua comunicatività, ha un po' Frida nell'anima. E come non pensare anche a Tina? Due destini, due donne passionali, il cui destino si è intrecciato più volte. Se avessi avuto una figlia femmina l'avrei chiamata Frida.