Professione: doppiatore. Tra "brusii" e "anelli" ecco come diventare una voce del cinema
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lunedì 30 novembre 2015
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di Marina Lanzone
Si dice che in Italia ci siano i migliori doppiatori del pianeta, abili nella dizione, nell’articolazione, nell’espressione della voce. Ma come si diventa doppiatori? Lo abbiamo chiesto ad alcuni giovani che lavorano da qualche anno in questo mondo e che sperano un giorno di diventare “una voce”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tra loro c’è il 23enne barese Giacomo, che vive a Roma da tre anni a questa parte. Sì perché per imparare questo mestiere bisogna andare lì dove ci sono gli studi di registrazione, ovvero a Milano e soprattutto nella Capitale, dove sono presenti una settantina di sale. A quel punto non occorrono né inviti, né “amicizie” particolari, ma solo un po’ di coraggio per bussare alla porta di una delle sale di doppiaggio chiedendo di poter assistere. E’ questo il primo passo da compiere per farsi strada in questo mondo: prendere spunto dai professionisti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Meglio farlo all’inizio di ogni turno, per non disturbare: alle 9 o alle 13 - consiglia Giacomo, che ha iniziato proprio così -. Non è detto che ti facciano entrare, dipende dall’umore della segretaria e da chi è il direttore del doppiaggio, colui che fa da “regista”. Ma se si riesce, a quel punto bisogna sfruttare l’occasione. Prima di tutto ascoltando in silenzio i doppiatori, per diversi mesi, anche tutti i giorni. E poi durante le pause cercando di interagire con i professionisti, nella speranza che il direttore rimanga incuriosito dalla vostra passione e magari dalla vostra voce. A quel punto si può chiedere di fare un provino per una particina».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Naturalmente non ci si può improvvisare. Per tentare di entrare nel mondo del doppiaggio è necessario studiare: bisogna essere in possesso di un’ottima dizione per riuscire a saper articolare bene le parole, con chiarezza, senza inflessioni dialettali. Spesso i doppiatori sono ragazzi che hanno frequentato una scuola di recitazione, magari attori in erba che hanno già calcato qualche palco di periferia. Perché doppiare significa recitare, anche se solo con la voce, restituendo in italiano ciò che il personaggio cerca di rendere in lingua originale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E’ poi necessario avere una bella voce. «Più che bella, particolare – sottolinea il 23enne siciliano Marco, anche lui giovane doppiatore da due anni a questa parte -. E’ la “timbrica” a fare la differenza». «Perché attraverso la voce deve riuscire a trasparire il carisma del personaggio – aggiunge il 25enne milanese Matteo, nel mondo da un anno -. La speranza è che la tua voce “s'incolli” al viso dell'attore o questo lavoro non lo potrai mai fare».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Se si supera il provino, a quel punto parte una lunga gavetta. «Si parte con i cosiddetti “brusii” - ci dice Marco - cioè i riempitivi di sottofondo (del tipo “Fermi FBI”) e magari il passo successivo è quello di fare i documentari, nei quali non c’è bisogno di un’interpretazione, ma solo di un commento». «Ho aspettato cinque mesi prima di doppiare il primo vero personaggio – afferma Giacomo -. Ma non è una regola fissa, dipende da quanto sei in gamba e soprattutto da quanti doppiatori ha conosciuto. Onestamente questo è un lavoro basato molto sul passaparola. Se hai lavorato bene se lo ricordano e parleranno di te agli altri colleghi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E’ chiaro che i brusii non pagano molto, al massimo si può arrivare a un centinaio di euro per ogni “performance”. Ma intanto si fa esperienza, si impara il significato di “sync” (cioè la corrispondenza tra le parole e il labiale dell’attore) o di “anelli”, ovvero le singole parti in cui è diviso il film e che è necessario doppiare una dopo l’altra. E soprattutto si lavora accanto ai professionisti. «In questo modo si capisce quanto è duro il mestiere del doppiatore – aggiunge Giacomo - . Se un film si realizza in mesi, anni, il tempo per un doppiaggio non può superare qualche settimana. Si deve fare tutto in poco tempo e nel minor numero di tentativi possibile: i direttori si aspettano che sia sempre “buona la prima”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per riuscire in questo mestiere è però necessario innamorarsi dell’arte del doppiaggio. «Quando andavo a cinema da bambino stavo più attento alle voci che alla trama – ricorda Giacomo -. I suoni mi affascinavano: credevo ci fossero degli omini dietro lo schermo che dessero la voce agli attori stranieri». Proprio per questo il doppiaggio non può essere considerato, soprattutto da chi lo fa, come una seconda scelta rispetto alla recitazione. «Anche perché noi siamo veri e propri attori– affermano all’unisono i ragazzi intervistati – magari “privati” del proprio corpo, ma con una voce in grado di fare emozionare».
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Scritto da
Marina Lanzone
Marina Lanzone
I commenti
- Carmen - Bellissimo articolo! Ti mando un saluto Giacomo anche se non so se ti ricordi di me e ti faccio i complimenti per la tua ragazza giornalista!