La storia di Nicola De Benedictis: a 43 anni scoprirsi pittore di talento
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venerdì 19 ottobre 2012
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di Maria Matteacci
Parlaci della mostra "Viaggio di un'anima" di Bitritto che ha svelato al pubblico la tua vena artistica.
È partito tutto da un quadro: Shoah. A scuola dovevamo ricordare la Giornata della Memoria e mi chiesi come si potesse esprimere in forma questo argomento. Iniziai l'opera: pensai a una casacca vuota (a simboleggiare la distruzione) sospesa all'ingresso di Aushwitz, a lato di un forno crematorio e di una recinzione di fil di ferro vero. Nel dipingere il fumo che fuoriusciva dal comignolo, intravidi un volto e lo evidenziai. Presentando l'opera a scuola, alcune autorità presenti si stupirono che un professore di educazione fisica dipingesse, e mi proposero di presentare tutta la produzione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E ora?
Per il momento mi sono fermato, per riflettere sulla strada da percorrere, su quello che voglio fare. Finora ho dipinto solo per piacere personale. Prima della mostra non avevo mai avuto l'esigenza di condividere la mia arte. Ora mi piace che la gente possa guardare quello che ho dentro e commentarlo. Tirando fuori, inoltre, mi sento molto meglio, riesco a raggiungere un equilibrio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Facciamo un passo indietro: come nasce la passione per la pittura?
Sono "figlio d'arte": mio padre era un paesaggista e prima di lui mio nonno ritraeva immagini sacre. Da mio nonno ho ereditato i volti, motivo ricorrente nelle mie opere, da mio padre i paesaggi, che non prediligo ma che emergono involontariamente mentre dipingo. La mia è stata una scuola "in casa": mentre mio padre dipingeva io seguivo quello che faceva. Ho iniziato imitandolo, poi ho iniziato a "dissacrare" il suo rigore. Avevamo visioni dell'arte diverse, infatti litigavamo spesso. La cosa più importante per me, quando condivido un'opera, è avere la sensazione di aver dato un'emozione. È questa la mia preoccupazione. Mio padre invece era molto realista: l'impatto che avevi davanti a un suo quadro non era emotivo, non era diverso da quello di una fotografia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Si nota una tua predilezione per alcuni materiali come l'acrilico e il gesso: a cosa è dovuta?
Mio padre utilizzava l'olio, tecnica bellissima ma con tempi di essiccazione lenti. L'acrilico è molto più rapido, per questo lo prediligo. Il gesso è stato uno dei primi materiali che ho avuto tra le mani e quindi uno dei primi che ho utilizzato. Ma mi piace sperimentare: nei miei quadri uso anche colla, stucco, pietre, ferro...Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Raccontaci come procedi nel dipingere: a cosa ti ispiri, che cosa senti?
Mentre dipingo provo un "trasporto metafisico": è come se cadessi in trans, come se andassi in ipnosi. Difficilmente faccio disegni preliminari, viene tutto fuori perché in un certo senso è già presente. Se sto lavorando con lo stucco, ad esempio, inizio a vederci delle ombre sulla superficie e le ricalco, le metto in evidenza. Anche le proporzioni molte volte vengono istintivamente, come se fossero già predeterminate. Sono molto passionale nel realizzare le mie opere. A volte mentre sto lavorando a una, provo l'ispirazione per crearne un'altra, quindi lascio un quadro per iniziarne un altro. Quando dipingo riesco a essere sereno, e appena ho un po' di tempo non esito a farlo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il lasciarsi guidare dall'ispirazione momentanea è quindi una prerogativa delle tue opere?
Non di tutte. Le mie opere sono di due tipi. Alcune nascono da un'idea e vengono progettate. È il caso di "Dinamiche di coppia", in cui ho unito tante tavole per comporre un unico grande quadro, o di "Circostanze", in cui quattro maschere uguali in gesso sopraelevate si ripetono ma con colori differenti, a simboleggiare la stessa persona che muta in base alle circostanze. Per altre opere invece mi distacco completamente dalla realtà e il tutto avviene senza che io lo controlli. Come in "Quiete", dove la mia mano si muoveva per conto proprio e la grande macchia bianca sulla sinistra è una colata dal barattolo. Di quest'opera ricordo solo le sensazioni che ho provato nel realizzarla.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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Scritto da
Maria Matteacci
Maria Matteacci