di Francesco Sblendorio

Franco-provenzale, greco e albanese: ci sono paesi pugliesi in cui da secoli si parla "straniero"
BARI – C’è il franco-provenzale che si può sentir parlare sui Monti Dauni, il grico che è diffuso a sud di Lecce e l’arbërisht che caratterizza tre diversi comuni sparsi per il tacco d’Italia. Sono le minoranze linguistiche della Puglia: comunità residenti in piccoli paesi che si esprimono in un dialetto di origine straniera lontano dalle tradizionali parlate regionali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In Italia sono 12 le minoranze linguistiche, in Puglia se ne individuano, appunto, tre. Più che di minoranze però sarebbe meglio parlare di “isole linguistiche”: zone in cui si parla una particolare lingua che si distingue dalle altre perché importata da terre lontane, conservata nel tempo dalla sua comunità di parlanti e salvaguardata dalla legge. Naturalmente non si tratta di parlate immutate nel tempo, ma di lingue di contatto: nei secoli sono state infatti inevitabilmente influenzate da altri idiomi vicini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un patrimonio che però è a rischio estinzione: i Comuni in cui si parlano sono piccoli e soggetti a spopolamento e i giovani tendono ormai a esprimersi più in italiano che nella propria lingua storica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma scopriamo nel dettaglio le origini delle isole linguistiche della Puglia (vedi anche foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il Franco-Provenzale - La prima tappa del nostro viaggio è sui Monti Dauni, al confine tra Puglia e Campania. Qui si trovano i due piccoli Comuni di Faeto e Celle di San Vito, che costituiscono l’isola linguistica della Daunia Arpitana. Insieme contano meno di 800 abitanti: pochi ma buoni conservatori di una tradizione linguistica che affonda le radici nel franco-provenzale, parlato al confine tra Francia, Italia e Svizzera.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’uso vivo della lingua è testimoniato dalla presenza di targhe con i nomi delle strade, le informazioni storiche e i messaggi di benvenuto scritti sia in italiano che in franco-provenzale.

Ma come ci è arrivato il franco-provenziale in un luogo così lontano? L’ipotesi più accreditata fa risalire l’origine dell’isola all’epoca angioina. Dopo la battaglia di Benevento del 1266 che pose fine alla dominazione sveva della regione, re Carlo I d’Angiò emanò due editti, nel 1269 e nel 1274, con cui ordinò a parte delle sue truppe di spostarsi nella zona di Lucera. Occorreva infatti rivitalizzare la regione e fornire sostegno militare alla vicina fortezza di Crepacore. Anni dopo parte dei soldati ritornò in Patria, altri invece decisero di rimanere sui Monti Dauni, fondando proprio i paesi di Faeto e Celle San Vito.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Naturalmente soprattutto dopo l’Unità d’Italia le chiuse comunità di Faeto e Celle, che fino a quel momento avevano parlato solo il franco-provenzale, videro moltiplicarsi le occasioni di contatto con i paesi vicini. E così oggi qui non si parla più il vero franco-provenzale. Con il tempo si sono mantenuti elementi lessicali e alcuni costrutti, ma l’idioma originario è stato fortemente influenzato dai dialetti dauni, irpini e lucani.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Se morfologia e sintassi nei secoli si sono sempre più ibridizzati, qualche traccia in più delle origini franco-provenzali si trova però nel lessico. A Faeto, ad esempio, la “bambina” è la figljètte, simile al francese fillette, mentre il “bambino” a Celle è l’nfan che ricorda molto l’enfant d’oltralpe. E l’espressione cjannù (“casa nostra”) si rifà molto al francese chez nous. Somiglianze ancora più evidenti nelle forme negative: il faetino pa bbun (“non buono”) ricalca proprio il costrutto francese pas bon.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'Arbërisht - La seconda isola linguistica vede i suoi parlanti sparsi tra tre Comuni pugliesi anche parecchio distanti tra loro. Si tratta di Chieuti (al confine con il Molise), Casalvecchio di Puglia (sui Monti Dauni) e San Marzano (a sud di Taranto). Insieme contano 12mila abitanti, di cui circa la metà appartiene alla minoranza degli Arbëreshë, gli albanesi d’Italia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il loro arrivo nel Belpaese risale ai secoli XV-XVIII. Dopo la morte dell’eroe nazionale Giorgio Castriota Scandenberg, nel 1468, l’Albania fu conquistata dagli Ottomani. A seguito di tali eventi molti albanesi emigrarono in Italia stanziandosi in varie zone nel sud della penisola. Con loro portarono il proprio bagaglio culturale, i riti religiosi di tradizione bizantina e naturalmente la lingua.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


La quale è definita arbërisht e deriva dalla variante toskë, diffusa nel sud dell’Albania. Con la lingua parlata nel Paese d’origine condivide circa il 45% dei vocaboli (ad esempio “buongiorno” è mirëdita tanto in albanese quanto in arbërisht). Le altre parole derivano da neologismi creati nei secoli da scrittori italo-albanesi ma soprattutto da contaminazioni con l’italiano e i vari dialetti locali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Pur mantenendo tratti comuni nella fonetica, morfologia, sintassi e lessico, le varie parlate arbërisht presentano differenze da paese a paese. È il caso di San Marzano, dove, gli Arbëreshë hanno via via preso l’abitudine di parlare con la cadenza e l’inflessione dei dialetti salentini, mentre hanno “albanesizzato” alcuni termini italiani.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A San Marzano i nomi delle strade si presentano comunque sia in italiano che in arbërisht, come a Casalvecchio dove sono in lingua originaria anche gli atti pubblici del Comune. La comunità arbëreshë è del resto bilingue: considera l’italiano “la lingua del pane” da usare in ambito lavorativo e l’albanese “la lingua del cuore” per l’uso famigliare e nella comunità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il Grico - Il nostro viaggio si conclude nella Grecìa Salentina, nell’entroterra a sud di Lecce, in cui la parlata locale è di origine ellenica. Si tratta infatti di una delle due isole linguistiche ellenofone presenti in Italia: l’altra è nei pressi di Reggio Calabria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La variante salentina prende il nome di “grico” ed è presente in nove paesi: Calimera, Castrignano de’ Greci, Corigliano d’Otranto, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatia e Zollino. Questi Comuni dagli anni 90 del 900 hanno iniziato a cooperare per salvaguardare la loro tradizione linguistica, dando vita nel 2001 all’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina, alla quale hanno poi aderito anche Carpignano Salentino, Cutrofiano e Sogliano Cavour. Oggi l’area conta circa 53mila abitanti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Si sono fatte diverse ipotesi sulla genesi della minoranza linguistica. I filologi Gerhard Rohlfs e Georgios Hatzidakis sostenevano che il grico fosse nato ai tempi delle colonie elleniche nel Sud Italia, presenti già nell’VIII-VII secolo a.C.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Di parere diverso sono gli studiosi italiani Oronzo Parlangeli e Giuseppe Morosi, secondo cui le origini risalirebbero al Medioevo. Il fenomeno dell’iconoclastia nell’VIII secolo d.C. e le campagne militari dell’imperatore bizantino Basilio I nel secolo successivo dettero il via infatti a forti movimenti migratori dall’Impero Romano d’Oriente verso il Salento. Qui furono fondati numerosi villaggi in cui la religione ortodossa e la cultura e lingua greca divennero di casa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Esiste in realt anche una terza ipotesi che è un po’ la sintesi delle due precedenti. La sostiene il linguista Franco Fanciullo, secondo cui l’immigrazione medievale avrebbe rafforzato comunità ellenofone già presenti nella zona.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Naturalmente anche in questo caso la lingua con il passare del tempo è stata influenzata sempre più dalle parlate romanze, compreso il vernacolo leccese. Oggi il grico è un mix di greco antico e bizantino, italiano e dialetti romanzi. Permangono però degli evidenti rimandi alla lingua ellenica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

“Odio” in grico è mìso, esattamente come in greco, mentre l’occhio è ammài, vicino al greco antico òmma. E poi il verbo “bere” è pìnno, l’aggettivo “veloce” si dice elafrò e il sostantivo “vecchiaia” è gheràmata: molto simili ai corrispondenti greci pìno, elafròs e ghèras.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita



Francesco Sblendorio
Scritto da

Lascia un commento


Powered by Netboom
BARIREPORT s.a.s., Partita IVA 07355350724
Copyright BARIREPORT s.a.s. All rights reserved - Tutte le fotografie recanti il logo di Barinedita sono state commissionate da BARIREPORT s.a.s. che ne detiene i Diritti d'Autore e sono state prodotte nell'anno 2012 e seguenti (tranne che non vi sia uno specifico anno di scatto riportato)