Lama Misciano, da scoprire: ipogei, cisterne, masserie e tanta natura
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lunedì 14 ottobre 2013
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di Eva Signorile
L’appuntamento è alle 9.30 in viale dei Fiordalisi, nella zona industriale di Modugno. I partecipanti, bambini, ragazzi e adulti, sono circa una trentina. Veniamo accompagnati da Nicola De Toma, Antonio Gadaleta e Eugenio Lombardi, fondatore dell’Ecomuseo urbano del Nord Barese, che vorrebbe estendere i confini del Parco Regionale di Lama Balice fino a includervi Lama Misciano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Imbocchiamo un sentiero che si dirama alla destra del viale e ci inoltriamo in aperta campagna. Poche decine di metri più in là, oltre una rete di recinzione, in un uliveto, scorgiamo i resti di un “palmento”: una struttura in pietra, risalente al XVII secolo, che serviva a raccogliere l’uva o le olive, in attesa della loro lavorazione.
Proseguiamo lungo una biforcazione del sentiero. Si tratta di pochi metri in cui le tonnellate di rifiuti e i copertoni dei camion abbandonati non riescono a offuscare la bellezza di una natura in tripudio autunnale: una lucertola si gode il sole ottobrino sui resti di un tronco bruciato, mentre tutt’intorno fiammeggia il fiore del croco e brillano le bacche di rosa canina, sorvegliate da un maestoso carrubo. Pochi metri più avanti troviamo i resti in buono stato del vecchio canile: una casa per la guardiania e una cuccia in cemento. Di fronte, c’è un ipogeo e un “dròmos”, cioè un corridoio scavato nel terreno che serviva a collegare l’ipogeo all’esterno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Riprendiamo il sentiero a ritroso e raggiungiamo viale dei Fiordalisi, che percorriamo interamente. La strada non è asfaltata e sembra tracciare il confine tra il mondo agricolo alla nostra destra e l’industrializzazione a sinistra. Se da un lato, infatti, i rovi delle more cedono il posto ai vigneti e agli uliveti che si stendono sul fondo, dall’altro l’intera strada è un percorso segnato dai rifiuti gettati in maniera indiscriminata: copertoni, divani, laterizi e bidoni di latta si susseguono senza sosta. Su un cumulo di materiale edilizio, spunta a sorpresa una pianta di bocche di leone, cresciuta chissà come sulla montagna di rifiuti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Pochi metri più avanti, sulla sinistra, ci imbattiamo nell’area dell’inceneritore a biomasse della Eco Energia: la zona è stata posta sotto sequestro dalla magistratura di Bari, con l’accusa di inottemperanze di nullaosta e vizi formali e sostanziali nella concessione di alcune autorizzazioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Qualche decina di metri più avanti, raggiungiamo il “trappeto dell’olio rosso”. Il vecchio frantoio è una grande struttura in pietra risalente al XIV secolo, ancora in buono stato. Vi si accede attraverso un intricato varco nella vegetazione, in precario equilibrio sui resti di un muretto a secco. Il tratto è talmente accidentato che per raggiungere la struttura il gruppo è costretto a tenersi per mano, formando una catena umana per mantenere l’equilibrio. La storia del frantoio assume i toni foschi del “noir”. La struttura trarrebbe il nome da un cupo fatto di sangue. Si racconta che un uomo avesse rubato un grosso carico di olive del frantoio. Catturato dai padroni, sarebbe stato picchiato e poi gettato nella mola del frantoio in funzione, quindi “macinato” con le olive. A seguito del brutale assassinio, l’olio che uscì dalla mola sarebbe stato del colore del sangue: rosso. Da qui il suo nome. Ad attenderci fuori dal trappeto c'è la sorpresa di un nugolo di cavolaie, le farfalle bianche. «Indice che l'aria è molto pulita», spiega De Toma.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Con il Trappeto dell’olio rosso, si conclude la prima parte del “tour”: la seconda ci porta nella Masseria Carrara una chicca architettonica di epoca settecentesca, ora affidata alla cooperativa Verderame e all’Università verde, che la gestiscono per progetti di educazione ambientale, in collaborazione con il WWF. La masseria si trova in "via delle rose" e ha un giardino di 22mila mq. Il corpo centrale della struttura è caratterizzato dalla presenza di due garitte: cioè due torrette situate ai lati del terrazzo, che servivano ad ospitare le guardie. Dal corpo centrale, parte un viale fiancheggiato da allori alti fino a 5 metri e da altre piante della macchia mediterranea. Il vialetto conduce a un’altra zona della masseria, dove si trovano un lamione e una vecchia cappella. Qui, il programma prosegue con uno spettacolo teatrale d’avanguardia, tenuto dalla compagnia “TeAltroGezz”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La giornata sfuma mollemente nel pomeriggio, fra musica e cicchetti di liquore alle erbe raccolte nel “viale degli odori”: l’area del giardino adibita alle erbe aromatiche. Ma qualcuno già pensa alla prossima tappa del tour. Destinazione? Ancora top secret.
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