di Lorenzo Alighieri

La vita del pugliese
Dipingersi il corpo di nero e danzare assieme ai piccoli indios per celebrare una loro festa, avventurarsi nella foresta più grande e impervia del mondo per raggiungere un villaggio, assistere a celebrazioni in cui si beve un decotto preparato con le ceneri di persone defunte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E’ questa la vita di Giuseppe Uggenti (detto "Josè"), ottantenne missionario salesiano di Carovigno in provincia di Brindisi, che dal 1977 vive in Brasile sulle sponde del Rio Negro, in piena Amazzonia, tra sciamani, strani rituali e tradizioni primitive. In grande povertà e con molti sacrifici insegna da solo ai giovani indios la matematica e il portoghese, che per gli amerindi è una vera e propria lingua straniera pur essendo la lingua nazionale brasiliana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Attualmente mi trovo presso Maturacà, al confine tra Brasile e Venezuela - ci racconta il missionario, che siamo riusciti a raggiungere telefonicamente -.  Qui non c’è tecnologia, né telefoni pubblici, né auto. Il paese più vicino è quello di San Gabriel: per raggiungerlo sono necessarie 7 ore di traversata sul fiume Rio Negro. Mentre per arrivare alla città di Manaus bisogna viaggiare in motoscafo per 3 giorni e 2 notti, con un battello invece ci vorrebbero settimane».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Josè quindi vive lontano dalla “civiltà”, passando i suoi giorni con gli Yanomami, un gruppo etnico indigeno la cui popolazione totale è stimata intorno ai 30mila individui. Da nomadi e dediti a caccia e pesca, hanno appreso, anche grazie all'intervento dei missionari, la coltivazione della manioca, la principale loro fonte di nutrimento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ogni tribù, formata anche da 400 persone, vive in uno shabono, un insieme di capanne una attaccata all’altra a forma di cerchio, al cui centro si trova uno spazio aperto destinato alle cerimonie (vedi foto galleria). «Nel villaggio in cui mi trovo vivono circa tremila yanomami divisi in cinque diverse comunità al centro delle quali vi è la nostra scuola – riferisce il missionario –. Ogni comunità ha un suo leader spirituale, il tushawa, che solitamente è figlio del tushawa precedente».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Il rito funebre dei tushawa è esemplificativo della grande diversità culturale che intercorre tra noi occidentali e i popoli tribali dell'Amazzonia. Il leader dopo la morte viene sepolto in casa sua per sei mesi, al termine dei quali il corpo viene riesumato e bruciato per dare poi il via a un'importante cerimonia funebre, il Reahu. Gli Yanomami preparano un decotto con acqua e banane e ci aggiungono, ebbene sì, le ceneri del defunto. Una “bevanda” molto particolare che tutta la comunità deve bere.  «Io non sono un antropologo – riferisce Josè - ma credo che loro pensino che la saggezza della persona morta possa essere trasmessa tramite le ceneri».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Gli yanomami in passato hanno subito soprusi e violenze da parte dei garimpeiros, i cercatori d'oro e di diamanti, che spesso agiscono nelle terre degli indios in maniera illegale e violenta, causando la devastazione del territorio e talvolta veri e propri eccidi nei confronti degli indigeni. L'invasione dei garimpeiros in realtà continua ancora oggi e in questo senso diviene fondamentale l’opera dei missionari. «Tra i cercatori d'oro e le grandi compagnie americane è diffusa l'idea secondo cui queste terre non siano di nessuno e che dunque possano essere occupata liberamente – racconta il frate –. Lo scopo dei missionari e del governo brasiliano è quello di tutelare in ogni modo gli indios affinché il territorio venga salvaguardato da un'occupazione illegittima».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Queste preoccupazione non tolgono però la voglia di vivere alle tribù, che spesso danno luogo a gioiose feste. Nel video si può vedere Josè con il corpo pitturato di nero mentre gioca con decine di bambini, cimentandosi a suo modo in una danza tribale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Povertà, molti sacrifici e problemi di salute (il frate ha problemi alla retina) non sono sufficienti a domare la fervida passione con cui ancora oggi, dopo quarant'anni di attività, Josè condivide le sorti di alcune tra le popolazioni più deboli e isolate del pianeta. E quando gli chiediamo se pensa un giorno di ritornare in Italia, lui ci risponde disarmante: «Voi lascereste mai la vostra famiglia?».  (Vedi galleria fotografica)

Nel video momenti di festa tra le tribù degli Yanonami:


 


© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
L'80enne frate Giuseppe Uggenti, originario di Carovigno, in provincia di Brindisi, a lavoro nella missione di Maturacā
Gli Yanomami vivono in uno shabono, un insieme di capanne costruite una accanto all'altra in modo da formare un cerchio
I giovani del villaggio riuniti in uno spiazzo
Le ragazze della tribų
Un bambino passeggia scalzo nel villaggio situato a pochi passi dal Rio Negro
Il missionario Josč con il corpo dipinto di nero in occasione di una tipica festa degli indigeni
Josč con alcuni bambini yanomami
Il missionario e alcuni piccoli procedono in fila tra la ricca vegetazione di Maturacā



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