di Olga Festa - foto Rafael La Perna

Tavoli senza tovaglia, piatti tipici, no menu in inglese: sono i locali di Bari Vecchia rimasti "veraci"
BARI – Tavoli senza tovaglia, assenza di menu cartacei e di qr code, coperto gratis, piatti e ingredienti tipici e soprattutto nessuna scritta in inglese o francese. È l’identikit di quei pochi locali di Bari Vecchia rimasti fedeli a sé stessi, non piegatisi ancora all’ondata di turisti che da qualche anno ha invaso le vie del centro storico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sì perché con l’avvento dei visitatori la stragrande maggioranza dei ristoranti e pizzerie del capoluogo pugliese ha completamente cambiato il proprio modus operandi, assecondando le esigenze dei forestieri con eleganti mise en place, offerte culinarie che incontrano gusti globali, menu tradotti in lingua straniera. 

Bari Vecchia è quindi diventata (giustamente) più accogliente, perdendo però parte del proprio tratto “verace” che da sempre l’ha contraddistinta: una nuova “filosofia” che sta vedendo ad esempio tanti antichi sottani convertirsi in b&b.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel frattempo però, come detto, c’è qualcuno che ancora “resiste”, preservando la propria autenticità “barivecchiana” tra una gestione immancabilmente famigliare, ricette tramandate di generazione in generazione, santini di San Nicola e l’onnipresente birra Peroni.

Siamo così andati a farci un giro tra quei locali del centro storico che ancora è possibile definire “autentici”. (Vedi foto galleria)

Il nostro viaggio inizia dalla frequentatissima Largo Albicocca, la “piazza degli Innamorati” barese, la cui padrona indiscussa, situata di fronte a Palazzo Casamassimi, è la pizzeria Di Cosimo. Infatti qui, tra lucine che corrono da un balcone all’altro, è impossibile non imbattersi in persone che reggono cartocci fumanti di panzerotti fritti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Certo, per chi vuol stare più comodo c’è però sempre la possibilità di sedersi sui tavoli in plastica scura posti davanti all’ingresso del locale, ma tutti sprovvisti di tovaglie e posate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«È una “tradizione” che va avanti da quando abbiamo aperto – rivela Maria Losito, che dal 2001 gestisce la pizzeria insieme al marito Mauro Di Cosimo, da cui prende il nome l’attività -. Per consumare si fa come in passato: il cartone della pizza fa da piatto, si mangia direttamente con le mani e quando si libera un tavolo, si può occuparlo senza prenotazioni».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per entrare nella pizzeria, il cui nome è impresso in rosso su una tenda da sole, bisogna salire tre gradini. Prima di varcare la soglia ci soffermiamo sul menu affisso all’ingresso, tra i pochi del centro storico non ancora tradotto in inglese, dove prodotti tipici come rape o ricotta forte spiccano sugli altri ingredienti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il posto è piccolo ma molto caratteristico: strette fra la cassa sulla destra ed il banco dove si impasta sulla sinistra, decine di statuette raffiguranti porta fortuna o santi decorano le pareti. Ma non sono sole: appese al muro troviamo fotografie di parenti dei proprietari, calendari e soprattutto l’immancabile San Nicola, racchiuso in una cornice dorata. Insomma un aspetto tipicamente barese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Turisti qui ne vengono tanti - chiarisce Maria -, però la pizzeria è rimasta quella di sempre, perché mio marito vuole rimanere fedele alla storia. La sua famiglia aveva, e ha tutt’ora, un forno centenario: sono panificatori da generazioni. Sono infatti lui e mio cognato Oronzo ad occuparsi della cucina. E Mauro ci tiene a lasciare tutto com’è. Il menu conserva ancora i prodotti tipici di Bari e il coperto e il servizio all’esterno non li facciamo pagare. L’unica novità? Il display che segna il numero dell’ordinazione, anche se siamo comunque noi a chiamare i clienti a voce quando arriva il loro turno».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per scovare il secondo locale “rustico” ci spostiamo ora alle spalle della Cattedrale, lì dove corte Colagualano incontra largo San Sabino. Qui una piccola insegna in legno appesa grazie a due catenelle a una piccola sbarra in ferro battuto indica che siamo arrivati davanti a Princess. La pizzeria, aperta 7 anni fa da Pietro Genchi, deve il nome alla nascita della sua prima figlia avvenuta proprio in prossimità dell’inaugurazione del luogo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Facciamo un salto all’intermo, lì dove il lungo banco da impasto decorato con piastrelle colorate nasconde parzialmente Alessandro, che assieme al proprietario si occupa della cucina. Il resto dello staff è invece appartenente alla famiglia Genchi: Ilaria (la moglie di Pietro) e poi la madre Angela e il padre Giuseppe Vito, che si occupano di tutto il resto, servizio compreso.  

Anche da Princess non ci sono posti all’interno: i clienti possono sedersi su una lunga lingua di sedie in plastica e tavoli bianchi disposti lungo il marciapiede. E le tovaglie sono bandite: le pizze si mangiano direttamente nel cartone accompagnate da una Peroni “sudata”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Sono giovane, ma da quando ho aperto sono rimasto classico, tradizionale, nonostante i turisti: siamo a Bari, dobbiamo rispettare la nostra storia e le nostre usanze», afferma con orgoglio Pietro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui si possono mangiare pizze con le rape stufate o con la burrata oppure assaggiare la sckattata: tipicità indicate nel menu affisso sulla porta d’ingresso, che naturalmente non è tradotto in inglese. «Qr code o menu tradotto non li abbiamo voluti mettere, così come non facciamo pagare il coperto – spiega Genchi –: non abbiamo voluto stravolgere l’autenticità del posto, visto che ormai locali rustici a Bari Vecchia ne sono rimasti pochissimi, ed è un peccato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Posti dove l’aspetto della devozione popolare è sempre mantenuta. «L’edicola votiva di fronte al locale l’abbiamo allestita noi, con immagini della Madonna e dei Santi Medici - sottolinea a Pietro -. E questa invece sul lato della pizzeria è un’altra edicola che abbiamo fatto aggiustare, in collaborazione con la gente che abita qui. Abbiamo messo le luci e l’abbiamo fatta sistemare, perché vedere un quadro così bello spento era davvero uno spreco».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’ultimo locale “vero” si trova nella zona più “vera” di Bari Vecchia, quella più periferica e meno turistica, che circonda i ruderi della chiesa di Santa Maria del Buonconsiglio. Lì dove nella stretta via Martinez si trova Da Zazzà.

Qui l’aria di autenticità si respira fin da subito: la viuzza è piena di tavoli non apparecchiati e sedie rosse marcate Peroni, con il rombo dei motorini che spesso la percorrono da parte a parte, il profumo di panni stesi e l’eco di saluti in dialetto proveniente dai balconi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Nonostante sia il locale più “giovane”, aperto solo nel 2018, il posto rispecchia in pieno lo spirito barese, simbolo di una semplicità che procede di pari passo con la tradizione. Basti pensare che il nome si deve al nomignolo storico di famiglia, che si tramanda di generazione in generazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ad accoglierci c’è Francesco Abbrescia, il proprietario, che gestisce il locale assieme alla madre Angela e al padre Gino, i quali si occupano della realizzazione dei piatti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il padrone di casa ci conduce all’interno, piccolo ma accogliente. Una volta bassa in pietra a vista termina con un enorme dipinto di San Nicola, mentre dietro il bancone si trova il “laboratorio” degli Abbrescia, lì dove vengono preparati panzerotti fritti e succulente brasciole al sugo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Fin da quando abbiamo aperto – racconta Francesco - sapevamo bene quale fosse il nostro “habitat naturale”: l’artigianalità. Il prodotto tipico qui è importante: la tiedd, le brasciole, la parmigiana e il panzerotto sono alla base della nostra offerta. Siamo sempre rimasti fedeli a noi stessi: anche richieste particolari, come ad esempio quelle dei clienti vegani, non le accettiamo. Vogliamo rimanere nel tradizionale, che sentiamo più nostro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Iniziando sei anni fa solo con l’asporto, i “Zazzà” si sono poi allargati all’esterno posizionando dei tavoli sulla strada e aprendo anche una piccola saletta molto “minimal” davanti al locale principale dove ospitare i clienti l’inverno. Lì dove la religiosità è sempre presente: racchiuso da un piccolo arco in pietra, vi è un dipinto della Basilica di San Nicola a vegliare sui tavoli bianchi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Noi siamo rimasti così, molto rustici – conferma la signora Angela –. Anche le ricette sono della tradizione: seguiamo quelle storiche della mamma di mio marito. Lei gli insegnò a cucinare quando lui aveva solo dieci anni. Da allora non ha più smesso e sono guai se qualcuno gli dice che magari dovrebbe cambiare qualcosa. Del resto siamo nel centro storico: il nostro non può che essere un locale “barivecchiano”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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Olga Festa
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