di Ilaria Milella

Bari ha un museo della moda: «6000 abiti antichi, chiusi in un deposito»
BARI – L’abito della divina Marlene Dietrich quando nel 1953 cantava all’hotel Sahara di Las Vegas, l’unico vestito esistente in Italia di John Guida, stilista con origini ebraiche vissuto durante il fascismo e allontanato dopo l’istituzione delle leggi razziali, una boccetta di Shocking, il profumo creato nel 1938 da Elsa Schiaparelli stilista e sarta italiana e rivale di Coco Chanel. Sono solo alcuni esempi di ciò che è possibile ammirare nel museo della storia della moda “Lerario Lapadula”, istituito come dice il nome dai baresi Luciano Lapadula (37enne) e Vito Antonio Lerario (27enne), studiosi di storia del costume e composto da più di 6000 costumi d’epoca e accessori che vanno dal 1600 ai giorni nostri. (Vedi foto galleria)

In realtà anche se la collezione è stata chiamata “museo”, non è visitabile permanentemente, ma viene esibita durante eventi ed esposizioni sporadiche. E quando non vanno fuori, gli abiti si trovano in un deposito del rione Carrassi, conservati all’interno di buste termiche, per mantenere proteggerli da umidità, germi e luce. «Ci piacerebbe poter organizzare la collezione dei nostri capi in un percorso stabile, come un museo, per poter rendere pubblico il nostro lavoro di ricerca storica – afferma Lapadula – ma purtroppo fino ad ora non ho avuto la disponibilità economica per farlo, né il Comune di Bari si è mai mostrato particolarmente interessato all’idea».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma come nasce l’idea di collezionare abiti antichi? «Il sogno di realizzare una collezione di costumi d’epoca nasce per caso dieci anni fa dalla passione per la storia e per l’arte che condividiamo Vito Antonio ed io - spiega Luciano –. Ciò che ci affascinava era capire perché in un determinato periodo storico ad esempio si usasse di più il nero e in un altro le spalline nei vestiti. Un abito in fondo è come un dipinto, poiché rispecchia l’animo di un determinato periodo storico e collezionarli ci fornisce una sintesi rispetto ai mutamenti che avvengono con il trascorrere del tempo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Effettivamente guardando la collezione è possibile individuare delle caratteristiche costanti per ogni periodo storico. Ad esempio il colore distintivo della moda di fine ottocento è sicuramente il nero, che domina su sete,  broccati e tessuti damascati. La seta è comune anche agli abiti da sera degli anni 20, realizzati però con stampe dai colori accesi e motivi decò. Negli anni della seconda guerra mondiale invece predominano i toni militari del verde e sono più presenti cotone e lana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


La collezione presenta però capi molto più antichi, come un corsetto, un guanto e un paio di orecchini del periodo barocco. L’abito più datato risale invece al 1750: era appartenuto alle figlie di una famiglia di armatori, che costruì i fucili utilizzati dai giacobini per prendere d’assalto la Bastiglia durante la Rivoluzione francese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Storia affascinante è quella dell’”abito di Mary”, databile intorno al 1890 e rinvenuto in un baule nella soffitta di una famiglia londinese. «Ci diedero questo capo senza volere nulla in cambio – racconta Lapadula –, dicendo che il vestito causava fenomeni paranormali perché era appartenuto a una bambina morta strangolata il cui spirito infestava la casa. Volevano disfarsene e noi ce lo siamo presi. Inutile dire che noi non abbiamo avuto problemi con i fantasmi, anzi, abbiamo usato l’abito spessissimo durante nostri allestimenti e speriamo di aver così reso giustizia alla memoria della sfortunata fanciulla inglese».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A parte questo caso curioso, tutti gli altri vestiti sono stati reperiti o partecipando ad aste (come il vestito di Marlene Dietrich “battuto” a Las Vegas) o attraverso una sapiente ricerca nei vari mercatini delle pulci di mezza Europa, come quelli di Berlino, Londra e Parigi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Solo grazie una seria preparazione un collezionista può distinguere in un cumulo di stracci il capo unico – afferma Luciano -. L’emozione più grande la vivemmo negli Stati  Uniti, quando trovammo in un mercatino dell’usato un soprabito di Biki, la sarta italiana di Maria Callas. Comprarlo ci ha fatto sentire quasi degli eroi: eravamo riusciti a restituire al nostro Paese un qualcosa che ci apparteneva».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
L'abito di Marlene Dietrich proveniente dall'Hotel Sahara di Las Vegas, databile 1953
Un guanto in pizzo risalente al 1600
Il costume maledetto di Mary, bambina inglese strangolata, datato 1890
Un soprabito di Elvira Leonardi Bouyeure, in arte Biki,  databile al 1964 e realizzato in lurex e argento
Dettaglio di uno scollo in pizzo, seta e perline del 1911
Un abito realizzato in pizzo sangallo
Ventaglio in stile art decò con piume di marabù
Un costume del 1929 firmato Jean Patou, stilista e profumiere francese
Un costume confezionato in seta di Oleg Cassini, stilista francese naturalizzato americano
Un costume in velluto del 1951 di seta nera e seta rossa firmato dalla stilista italiana Eleonora Garnett
Un kimono del 1957 concepito da Pierre Cardin, stilista italiano naturalizzato francese



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  • Silvia Giannini - Dovremmo davvero trovare il modo di sfruttare e valorizzare questi tesori. Vi riporto l'esempio di un caso a mio avviso di successo perché si possa magari prendere spunto, il Museo della Moda di Gorizia (http://www.studioesseci.net/mostra.php?IDmostra=1017), dove la realizzazione degli allestimenti è stata curata proprio da due ditte del nostro territorio.


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