Il cibo per gli astronauti? Lo preparano a Bari. «I "pasti spaziali" ideati da noi»
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lunedì 18 gennaio 2016
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di Katia Moro
Parliamo della “Sudalimenta” azienda a conduzione famigliare nata alla fine dell’800 nel centro storico del capoluogo barese per volere di Nicola Tiberino e da sempre specializzata nella vendita di prodotti alimentari. Con l’ultima gestione, avviata nel 2005 dall’oggi 40enne Raffaele Tiberino, si è trasformata in un’azienda di import-export. E qui è avvenuto il grande salto, che ha portato la ditta sino “alle stelle”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La Sudalimenta è infatti diventata fornitrice ufficiale dei pasti creati per gli astronauti. Da Paolo Nespoli (nella foto) in missione nel 2007 a Roberto Vittori decollato nel 2011 con lo Shuttle STS-134, da Luca Parmitano nel 2013 alla più recente e nota Samantha Cristoferetti (che l’anno scorso ha conseguito il record europeo e femminile di permanenza nello spazio), tutti hanno consumato pasti “baresi” nel cosmo (vedi foto galleria). E ad apprezzare la loro cucina non sono stati solo gli astronauti italiani ma i navigatori spaziali di ogni parte del mondo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Prima erano gli stessi ingegneri aerospaziali che provvedevano ai pasti, preoccupandosi unicamente di fornire gli indispensabili valori nutrizionali senza alcuna deroga al gusto e al piacere: il cibo veniva infatti fornito solo sotto forma di pillole o disidratato. La famiglia Tiberino invece per la prima volta e unico caso in tutto il mondo, ha cominciato a confezionare antipasti, primi, secondi e dolci, secondo le migliori e più tradizionali ricette della dieta mediterranea.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Tutto è iniziato per puro caso - racconta Raffaele Tiberino -. Nel 2006 durante un ricevimento un nostro importatore ha incontrato in Florida un ingegnere della Nasa che gli ha lanciato la proposta di un “convivio spaziale” -. Non riuscivo a crederci, mi pareva impossibile che affidassero a noi la fornitura dei pasti conoscendo i loro rigidi protocolli di sicurezza. Ma invece sono seguiti mesi e mesi di studi, sperimentazioni e test rigorosi e alla fine ce l’abbiamo fatta a raggiungere lo spazio con la nostra cucina prodotta a Bari».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I pasti vengono confezionati a seguito di un trattamento termico che riduce l’acqua al 10-15 per cento per garantire una lunga conservazione senza la necessità di conservanti e coloranti. Fondamentale è la scelta del packaging e cioè dell’imballaggio, che prevede una confezione di plastica termica sterilizzata e sigillata. Non è possibile infatti usare il vetro o il metallo in una navicella spaziale, materiali che potrebbero rompersi. Lo stesso problema si pone per il cibo che produce briciole, considerate molto pericolose perché possono essere inalate, produrre soffocamenti o colpire un occhio. Si prediligono dunque i taralli che possono essere inghiottiti in un sol boccone al contrario dei crackers, così come sono preferibili dei confetti al posto di biscotti o dolcetti friabili.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Numerosi sono gli accorgimenti che i Tiberino hanno dovuto tenere presenti nella scelta del cibo: in assenza di gravità la perdita del peso osseo può arrivare al 20 per cento, per cui sono indispensabili alimenti ricchi di calcio. Al bando invece le proteine animali perché possono portare a intossicazioni. Il pesce presenta inoltre il grosso inconveniente di emanare un cattivo odore dopo pochi giorni: impossibile da sostenere in un ambiente privato di areazione. Anche il sale e lo zucchero vanno sapientemente dosati, visto che l’assenza di gravità provoca anche una maggiore percezione del gusto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Ma nonostante questo siamo riusciti a soddisfare le richieste di ogni singolo astronauta – sottolinea Raffaele -. Per Paolo Nespoli ad esempio abbiamo preparato un primo composto da pasta fregola con peperoni e porcini, che ha avuto molto successo tra tutti gli astronauti e ci è stato richiesto più volte. Il siciliano Luca Parmitano l’abbiamo voluto omaggiare con un orzo alla norma con melanzane. Più complicato soddisfare le esigenze della Cristoforetti, vegetariana e molto incline all’utilizzo di una cucina sana e naturale. Su sua esplicita richiesta abbiamo interpellato il noto chef siciliano Filippo La Mantia che ci ha inviato le sue ricette e suggerito una speciale zuppa di quinoa». Gli americani invece hanno dimostrato un’avversione al patè di olive che è stato sostituito con quello di pomodori secchi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In realtà dal 2014 il meccanismo dell’approvvigionamento spaziale di cibo è stato burocratizzato ed è regolato con bandi pubblici: dall’ultimo viaggio della Cristoforetti l’azienda barese non è più stata interpellata. Raffaele rimane comunque molto orgoglioso del compito che gli è stato assegnato, ma non nasconde una punta di rammarico. «L’Accademia italiana della cucina – afferma - pur non avendo avuto alcun ruolo specifico ha ricevuto un’onorificenza dal presidente della Repubblica. Noi invece che i “pasti spaziali” li abbiamo ideati e preparati non abbiamo avuto alcuna gratificazione ufficiale. Peccato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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Scritto da
Katia Moro
Katia Moro