Le nostalgiche biglie di vetro: un tempo importate dagli Usa, oggi sono introvabili
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venerdì 8 novembre 2019
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di Carol Serafino
Un tipico “gioco da strada” quindi, che però nell’era di smartphone, playstation e assenza di spazi e cortili, è finito nel dimenticatoio. Di fatto oggi risulta persino difficile reperire le biglie, oggetti che in Italia in realtà non sono mai stati fabbricati, ma che venivano regolarmente importati soprattutto dagli Stati Uniti.
«Nel nostro Paese si diffusero a partire dagli anni 50: era possibile acquistarle in un qualsiasi negozio di giocattoli e ogni set prendeva il nome della casa produttrice - ci racconta il 50enne ravennate Riccardo Testardi, fondatore della “Compagnia delle biglie”, associazione volta al recupero delle antiche tradizioni -. Oggi si trovano solo quelle fatte in Cina, ma onestamente sono poco attraenti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le biglie quindi sono quasi scomparse. Eppure parliamo di un gioco storico, che ha coinvolto generazioni di bambini, sin dall’antica Roma. A quei tempi al posto delle palline in vetro si utilizzavano le noci: si trattava di uno svago talmente importante che per definire il periodo di inizio dell’infanzia si usava l’espressione il “tempo delle noci”.
Gli unici a rendere ancore “vive” le biglie sono i (pochi) collezionisti. Tra questi il 50enne barese Rafael La Perna, che ne possiede migliaia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Sono tutte “vintage”, non più in commercio – ci dice l’esperto -. D’altronde le sole aziende produttrici esistenti si trovano negli Usa, come la Marble King e la Vitro Agate Company. Le mie arrivano dal mercato online o sono il frutto di uno scambio con altri appassionati americani».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Rafael ci mostra alcuni dei pezzi forti in suo possesso. Prima di tutto le handmade marbles realizzate all’inizio del 900 in Germania e riconoscibili dalle “cicatrici” ai due poli causate dalla lavorazione manuale e artigianale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E poi ci sono le peerles patches (opache, eleganti, realizzate negli anni 30), le tri-Lates (in parte trasparenti e in parte opache), le corckscrews (con una fascia che si avvolge a spirale intorno alla pallina, dette anche “cavatappi”), le black line all reds (in cui predominava il rosso), le rainbow (dai mille colori) e le cat’s eye marbles (trasparenti con all’interno filamenti di vetro dipinti).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Queste ultime sono le succitate “occhio di gatto”, che rimandano al colore delle pupille dei nostri amici a quattro zampe. «In Italia ci si divertiva ad assegnare nomi a seconda della propria fantasia», sottolinea il collezionista. C’era ad esempio la “vedova reale”, la “cappuccino”, la “coca cola”, il “delfino blu”, la “smeraldina”, la “nebulosa” e la “marmorina”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma come si giocava con queste palline? Tre erano le tipologie di “sport” più comuni. Si potevano lanciare, cercando di centrare una buca scavata nel terreno (“a buche”), fungere da auto da corsa, superandosi in un circuito sulla sabbia (“in circuito”) o usate per colpire un mucchio di biglie poste al centro, tipo birilli (“nel mucchio”).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Venivano tirate con l’unghia del dito medio contrapposta al pollice, mentre per il lancio aereo bastava un movimento rapido del pollice contrapposto al medio e con l'indice in appoggio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Si trattava di un gioco semplice che coinvolgeva decine di bambini, simbolo di un tempo in cui bastava veramente poco per divertirsi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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Carol Serafino
Carol Serafino
I commenti
- Marco - In realtà a Bari, in particolare nei quartieri popolari, le biglie erano chiamate "palline". Quel gioco che chiamate "buche" si chiamava "in camp'" e l'obbiettivo era di arrivare alla buca (in camp') per primi così da poter "bocciare" le palline degli avversari non ancora in campo. Era permesso allontanarsi di una spanna dalla buca per effettuare il tiro.