Neviere, blocchi di ghiaccio, chioschi e ambulanti: è la storia della "grattamarianna"
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martedì 5 aprile 2022
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di Giancarlo Liuzzi
In Puglia la granita assume il nome di “grattata” e soprattutto di “grattamarianna”. Ci sono due versioni che spiegano questa particolare denominazione. La prima risale ai tempi della rivoluzione francese del 1789 e del regno di Gioacchino Murat. Marianne era la rappresentazione femminile della ribellione contro la borghesia e così la grattamarianna, essendo poco costosa, divenne il simbolo di una bevanda popolare, alla portata di tutti.
Altra interpretazione fa risalire il nome a una foggiana chiamata appunto Marianna. Si racconta che la donna preparasse già alla fine dell’800 un dolce al limone, invogliando i clienti al grido di: “Gratta gratta Marianna, chiù gratte e chiù guadagne”.
Derivata dall’araba sherbet (acqua ghiacciata aromatizzata con frutta e fiori) la granita si diffuse a partire dal X secolo dalla Sicilia in tutta l’Italia, diventando il dolce più richiesto per combattere la calura estiva.
Secoli fa veniva realizzata utilizzando la neve raccolta durante l’inverno e conservata nelle neviere: costruzioni in pietra dove i candidi fiocchi venivano stipati tra strati di paglia, prima di trasformarsi in blocchi ghiacciati utili per preparare gelati, sorbetti o “medicinali” contro la febbre.
A Bari se ne contavano tre, attive soprattutto nel 700 e fino ai primi decenni dell’800: la prima in vico Gironda, la seconda in piazza San Nicola e la terza sotto un passaggio nei pressi della Cattedrale, che ancora oggi prende il nome di “Arco della Neve”.
Tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 le neviere furono però sostituite da vere e proprie “fabbriche del ghiaccio”. Nel capoluogo pugliese ce n’erano diverse, tra cui la “Cristalghiaccio”, operante sino agli anni 70 e i cui resti sono ancora visibili in via Laterza, nel quartiere Carrassi. Attività che con il diffondersi dei frigoriferi andarono via via sparendo, anche se a Mola di Bari resiste ancora la famiglia La Padula, che “sforna” blocchi di ghiaccio dagli anni 60.
Ma chi produceva e distribuiva le granite? Un tempo il dolce veniva venduto da chioschetti posizionati sulle strade o da venditori ambulanti che giravano con i loro carretti sul litorale. Oggi è invece fatta perlopiù dai bar, dotatisi nel frattempo di moderni macchinari in grado di realizzare “grattate” fresche senza lavoro manuale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Uno dei chioschi più famosi presenti a Bari all’inizio del secolo scorso si trovava ad angolo tra corso Vittorio Emanuele e piazza del Ferrarese. A gestirlo era il signor Pasquale Viola soprannominato fatt-a ciucce. Avviato nel 1903, consisteva in un piccolo baracchino ottagonale che terminava con una graziosa cupola merlata.
Pasquale iniziò a ghiacciare l’acqua sorgiva, raccolta da un pozzo su corso Cavour, utilizzando la neve importata dalle neviere di Martina Franca e Altamura creando così una “variante” della granita: la iàcqu-e nnìzze (acqua gelata con liquore all’anice). Una bevanda che lo rese presto noto in tutta la città tanto che nel 1907 aprì un secondo chiosco all’angolo opposto al primo. Entrambe le attività chiusero però tra il 1945 e il 1949.
Concorrenti di Viola erano Sìdece-e mmìenze di Francesco Paolo Michetti situato nei pressi della chiesa di San Gregorio e Pablosèste sotto Palazzo di Città.
Poi c’erano gli ambulanti, che si muovevano a bordo di biciclette le quali erano attrezzate con un vano anteriore in cui veniva conservato il ghiaccio che fungeva anche da cella frigorifera. Uno di questi era Antonio Morgese, che a metà del 900 girava per la città vendendo gelato al limone. Ma molto popolare era anche Saverio Verni (scomparso nel 2014), un omone dai folti baffi che con un piccolo carretto bianco, aiutato dal suo collaboratore Gigino, offriva gelati e bibite fresche soprattutto sul litorale sud della città.
Anche se a Bari è possibile ancora beccare Donato, che da 60 anni vende coni al limone ai bagnanti tra Santo Spirito e Palese, Nicola Accetta che da più di trent’anni continua ad appostarsi con il suo colorato treruote in via Sparano e Nicola Lombardi, detto “Parasole”, che con il suo carrettino dotato di tenda e ombrelloni è una presenza fissa a San Cataldo sin dal 1980.
Persone ormai avanti con gli anni, la cui attività non sarà ereditata da figli e nipoti e che rappresentano quindi gli ultimi superstiti di un mondo che ha rinfrescato per secoli le calde estate dei baresi.
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