Da Benetton a ''Benetown'': il nuovo negozio cinese divide Molfetta
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mercoledì 13 marzo 2013
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di Vincenzo Drago
«È la globalizzazione, il commercio nostrano può farci poco», afferma Corrado, gestore di una rivendita di abbigliamento a un solo isolato di distanza. «Qui i consumatori si stupiscono – continua - ma a Milano questa tendenza è cominciata già una ventina d'anni fa. Magari in futuro arriveranno i vietnamiti, ma è così, fa parte del gioco, soprattutto in tempi di crisi. La nostra unica arma è offrire la qualità dei prodotti made in Italy».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Più stizzita è la sua collega Angela, esercente che opera in corso Umberto I, il “salotto buono” della città. «A causa loro – dice - abbiamo forti perdite, senza contare che siamo schiacciati dal gran numero di ipermercati della zona industriale. I cinesi vendono a prezzi stracciati perchè hanno dei bassi costi di produzione, noi al massimo possiamo tagliare sul costo della manodopera».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E su Facebook i commenti sull’argomento si sprecano. «Fanno concorrenza sleale, lavorano pure la domenica e si accontentano di paghe da cani», accusa Roberto, sostenuto da chi dubita della qualità della merce cinese. Di contro, Dario sottolinea: «Sanno fare meglio il loro lavoro e riescono a vendere a prezzi più accessibili, è inaccettabile il razzismo di alcuni molfettesi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
All’uscita dal “Benetown” invece tutti i clienti affermano all’unisono: «Veniamo qui perchè tutto costa meno». L’unico che preferisce tacere è il giovane proprietario cinese, che risponde con il mutismo alle nostre domande. Vicino alla cassa una signora gli chiede informazioni su una giacca chiamandolo ad alta voce (con tipica cadenza barese): «Giovane! ». Ecco, almeno contro queste “abitudini” la globalizzazione non potrà farci niente.
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