Frecce, lettere e sirene: i segni e la mappa dei rifugi antiaerei di Bari
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venerdì 21 marzo 2014
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di Eva Signorile
Tutto ha inizio nel 1936: il conflitto sarebbe scoppiato tre anni dopo, ma già si respiravano venti di guerra, al punto che il 24 settembre di quell'anno viene emanato il decreto regio n.2121, che imponeva l'obbligo per tutti gli edifici, sia pubblici che privati, di dotarsi di rifugi antiaerei, a proprie spese. E anche Bari dovette adeguarsi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sono passati più di 70 anni da quell’epoca, ora viviamo in tempo di pace, ma quei rifugi sono ancora lì, nei quartieri storici di Bari: il Borgo Antico, Libertà, Carrassi, Madonnella. Ed è proprio in quest’ultimo rione che siamo andati con Mariano Argentieri, esperto di storia cittadina, alla ricerca dei simboli che li distinguevano (vedi foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Incontriamo Argentieri nei pressi del Palazzo dell'Acquedotto. Il ricercatore sta portando avanti uno studio-censimento dei rifugi presenti a Bari, in collaborazione con l'Ipsaic, l'Istituto pugliese per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea. La maggior parte dei rifugi sono ora stati adibiti a scantinati o tavernette: si tratta quindi di locali privati, ma i loro segni sono ancora ben visibili.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Raggiungiamo via Bozzi, all'altezza di Palazzo Saponaro, di fronte all'ex Hotel Miramare. Qui, sotto la guida di Argentieri, i nostri occhi scoprono una curioso disegno sbiadito dal tempo. «Il proprietario dello stabile - racconta Argentieri - ha voluto preservare le tracce di questo segnale». Ovvero una freccia bianca che conserva nella sua parte iniziale ancora l'ombra di una lettera in stampatello, la direzione della freccia punta dritta verso quella porzione del palazzo dell'Acquedotto che si affaccia su via Bozzi e ne indica un ingresso secondario. L’ingresso di un rifugio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci spostiamo quindi sulla strada parallela, via de Nicolò e troviamo un segnale quasi identico al precedente, ma decisamente ben conservato: si tratta di un cerchio che si trasforma in freccia. I contorni sono bianchi, come la R ben visibile al centro del tondo. L'interno della figura è di un colore scuro, non più definibile, ma sulla freccia è ancora ben distinguibile la scritta "Via Bozzi 20". E’ proprio l'indirizzo dell'ingresso secondario del palazzo dell'Acquedotto. Questo edificio, costruito agli inizi degli anni 30, aveva infatti dei vani seminterrati che fungevano proprio da rifugio durante i bombardamenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quando nell'aria urlavano le sirene di allarme bombardamento, la gente doveva mobilitarsi per raggiungere il rifugio più vicino e queste frecce erano una guida nel panico degli attacchi aerei. Ma non erano gli unici segnali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Argentieri ci guida qualche metro più in là, nella vicina via de Giosa, quasi ad angolo con via Imbriani. Sul muro di un palazzo, scorgiamo un cerchio bianco, con all'interno ancora la traccia abbastanza evidente di una I in stampatello maiuscolo. Questa lettera indicava la presenza di un idrante e, nelle sue vicinanze, c'era sempre un tombino da dove si doveva reperire l'acqua nel caso in cui fosse scoppiato un incendio. «Esistevano anche segnali simili, con una V che indicava la presenza di un impianto di aerazione, dall'inglese "vent" - spiega ancora l’esperto - oppure altri con le lettere U.S. che invece informavano sulla presenza di un'uscita secondaria nel rifugio».
Intanto ci spostiamo su via Cognetti, fino a raggiungere la parte retrostante dell'ex teatro Kursaal Santa Lucia. Scopriamo anche qui un segnale che indica la presenza di un rifugio antiaereo, ma con nostra sorpresa, constatiamo che ha subìto un recente "restyling": così, i contorni bianchi e la lettera R quasi si illuminano su un nuovo fondo azzurro che fa pendant con il mare vicino, ma non ha più nulla a che fare con quella particolare tonalità di verde che caratterizzava l'originale. «I restauri dovrebbero essere conservativi» è il laconico commento di Argentieri, che intanto ci indica il vicino Palazzo Colonna, con l'orologio posto in alto.
«Nella parte alta di quel palazzo era collocata una delle campane per l'allarme antiaereo - racconta la nostra guida - dovevano essere poste in alto e possibilmente lontano da costruzioni che potessero ostacolare la propagazione del suono». Un'altra sirena era sistemata sul Palazzo della Rinascente, in via Sparano, oggi sede di una multinazionale dell'abbigliamento, un'altra si trovava sulla cima della torre idrica, nel quartiere Stanic e un'altra nella sede del vecchio macello comunale, all'ingresso di Bari, nel quartiere Libertà.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L'allarme era caratteristico e consisteva in sei suoni della durata di 15 secondi, intervallati da altri 15 secondi di silenzio. Appena la gente udiva il segnale, doveva correre al rifugio più vicino, portandosi dietro il minimo indispensabile. Solitamente ogni famiglia aveva pronta una sporta contenente del cibo, dell'acqua e magari delle coperte. Alcuni stabili avevano anche un "capo fabbricato" che aveva il compito di coordinare le operazioni di evacuazione e di fornire alcune informazioni all'Unpa, l'Unione nazionale per la protezione antiaerea, che aveva una centrale di comando in un palazzo sul lungomare, dalle parti della vecchia dogana. Da qui, veniva diramato l'allarme antiaereo che si propagava attraverso le varie "campane", dislocate nella città.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
I rifugi antiaerei di Bari non erano come quelli che siamo abituati a vedere nei film o nei documentari: non si trattava di tunnel appositamente costruiti, ma di veri e propri ricoveri di emergenza. «A volte venivano scavati dei corridoi di collegamento tra un rifugio e l'altro - racconta Argentieri- si trattava di passaggi tublari stretti e bassi, adatti al solo transito di persone». Ne è stato trovato uno nel 2012 in via Tanzi, durante i lavori di scavo dell'Acquedotto pugliese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel nostro giro, incrociamo anche l'istituto tecnico Vivante, costruito in epoca fascista e contenente anch'esso dei rifugi nei suoi vani sotterranei. Non era l'unica scuola ad ospitare ripari antiaerei: anche il vicino istituto Balilla, nel quartiere Madonnella, ne era dotato. Raggiungiamo quindi corso Sonnino e da qui ci allunghiamo fino a via Addis Abbeba, dove si trova l'attuale sede della Regione Puglia. In epoca mussoliniana l'edificio ospitava gli uffici del ministero delle Opere pubbliche e delle Infrastrutture: un'uscita secondaria dell'edificio immetteva proprio in un rifugio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma quanti rifugi antiaerei ci sono ancora in Bari? Non è facile censirli, perché gli uffici del Genio civile, all'archivio di Stato, traboccano di fascicoli in cui sono segnalate decine e decine di rifugi, disseminati per tutta la città. Ce n'era per esempio anche uno anche in via Podgora, nel quartiere Carrassi: in questa zona, all'epoca, si concentravano le fabbriche, quindi era doveroso sistemare dei rifugi che potessero essere raggiunti facilmente dai lavoratori. Scopriamo anche una freccia sbiadita sulla chiesa del Gesù, nel borgo antico di Bari: con difficoltà riusciamo ad intuire che l'indirizzo riportato nella freccia indica strada Palazzo di città, al civico 47. E con sorpresa notiamo anche un segnale in via Crisanzio, nel quartiere Murat, sulla facciata del palazzo accanto alla sede dell'attuale facoltà di Giurisprudenza. La freccia indica proprio la facoltà come sede di un rifugio: lì, c'erano gli uffici del vecchio tribunale.
Anche questa è Storia, quella che forse è bene non dimenticare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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I commenti
- piero marvulli - Avevo meno di 10 anni, ma ricordo ancora molto bene quei tempi. I miei abitavano al 2" piano di una palazzina di quattro piani, in via Giandomenico Petroni, vicino all Albergo allora chiamato Imperiale. Mi suonano ancora nelle orecchie i lugubri suoni intervallati della sirena. Di notte. Svegliati di soprassalto. Per le scale un frastuono di voci e tramestio di piedi di qualli che scendevano a precipizio, suonando a tutti i campanelli per avvisare i ritardatari. ed anche noi, con una solita borsa, di corsa al pianterreno, nella abitazione della portiera, perche' quello era il nostro rifugio, E per ore seduti tutti intorno ad un tavolo. Si sentiva il crepitare delle mitragliatrici contraeree sistemate presso la Torre della Provincia. Ed il tonfo delle bombe ed il drammatico rimbombo degli scoppi provenienti dalla Stanic. Finche' il suono prolungato della sirena del cessato allarme ci riportava alla realta'. Era il dicembre 1942.