Prostituzione, malaffare e strane sparizioni: quando a Bari imperava "La Socia"
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lunedì 14 dicembre 2015
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di Eva Signorile
Si trattava di uno stabile che si trovava ad angolo tra piazza Luigi di Savoia e via Zuppetta, la stretta strada che da Sant’Antonio porta direttamente in stazione. Un luogo talmente malfamato che risulta difficilissimo reperire informazioni sulla sua esistenza, come se si fosse alacremente lavorato alla sua rimozione dalla memoria di Bari. La Socia era una casa di piacere, anche se il termine “bordello” rende meglio: sporco, buio e ben lontano dai canoni delle altre case di tolleranza che esistevano a Bari. Vi si praticavano prostituzione, commerci ambigui, contrabbando. Chi decideva di varcare quel portone, lo faceva a suo rischio e pericolo: non erano rari i casi di aggressioni e accoltellamenti dei poveri frequentatori occasionali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sono in molti a raccontare di soldati, principalmente stranieri, che dopo essere entrati lì durante una libera uscita sono spariti nel nulla. Pare che al momento della demolizione di questo edificio siano effettivamente saltati fuori degli scheletri umani. Anche se magari si tratta solo di leggende accresciute dall’alone noir che pervadeva questo luogo quasi “gotico” nel cuore della città.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Oggi il palazzo non esiste più: fu abbattuto nel 1962, quando l’intera zona fu sottoposta a un grande intervento di “restyling” e della Socia non rimasero che mormorii e certe leggende. La sua storia non è però sempre stata quella di un luogo malfamato, dominato da violenza, malaffare e miseria. Fu solo in un secondo momento, intorno alla Seconda Guerra Mondiale, che si guadagnò la pessima reputazione che ha ancora oggi tra gli anziani che se ne ricordano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’esperto di storia locale Gigi De Santis ci fornisce infatti notizie che a sorpresa inquadrano La Socia in un progetto davvero avveniristico per l’epoca in cui sorse, talmente all’avanguardia che per la sua inaugurazione, nel 1880, si scomodò persino l’allora re d’Italia, Umberto I. «La Socia – afferma De Santis - fu il primo caseggiato popolare nel Mezzogiorno d’Italia: al Sud non ne esistevano altri, all’epoca. Fu talmente importante che il capo della cooperativa, Pietro Di Benedetto, soprannominato “U nàse” (il Naso), ricevette una medaglia d’oro e la Croce dei cavalieri direttamente dalle mani del re per quel progetto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Uno stabile dalle dimensioni imponenti, in grado di ospitare fino a 180 famiglie: una sorta di città nella città. Fu voluto dal gruppo Facchini (che lo chiamò “La Sògie”, La Socia, appunto) per offrire un riparo ai suoi dipendenti impegnati nel trasporto di olive, olio e mandorle. Al piano terra c’erano le stalle in cui erano tenuti i cavalli e i traini con cui trasportavano le merci fino al Molo Sant’Antonio. Non esisteva la fogna però: gli escrementi degli animali venivano canalizzati verso otto pozzi profondi quattro metri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Con gli anni alcune famiglie che vivevano lì vendettero i propri appartamenti – racconta ancora lo storico -. Nello stabile iniziò ad arrivare gente nuova e fu da quel momento che cominciò il progressivo degrado dell’edificio. La Socia divenne una specie di kasbah in cui ogni traffico losco era ammesso».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La prostituzione era forse l’attività più “pulita” che vi si esercitava. Per il resto, furti, violenze e contrabbando erano all’ordine del giorno: un punto nero nel centro della città che continuava la sua esistenza grazie a una sorta di implicito “patto di non belligeranza” tra i suoi abitanti e i cittadini di Bari. Durante la Seconda Guerra Mondiale La Socia era considerata talmente pericolosa che gli Americani presenti a Bari decisero di porvi a guardia due sentinelle per scongiurare il peggio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Questa situazione andò avanti per parecchi anni, fino a quando (vista anche l’approvazione della legge Merlin che di fatto prevedeva la chiusura della case chiuse) Bari capì che non poteva permettere che continuasse l’esistenza di questo oscuro edificio. Si decise quindi per l’abbattimento, che fu effettuato a partire dal 25 febbraio del 1962.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma i suoi abitanti non furono abbandonati. A tutti loro venne offerto un alloggio nel nuovo rione popolare che andava nascendo: il quartiere San Paolo. I primi abitanti del “Cep” furono propri gli ex residenti della Socia. E qui la storia si intreccia con quella di un'altra area “ai margini” di Bari: quella di Torre Tresca. Anche qui viveva una popolazione povera, fatta di sfollati che vivevano in baracche, che quando seppero che a quelli della Socia era stato dato un alloggio, pretesero anche loro di migliorare le proprie condizioni di vita. E così anche loro furono accontentati e mandati al San Paolo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Così, il nuovo rione sviluppatosi negli anni Sessanta divenne il luogo dove “buttare” gli “indesiderati”, tant’è che fin dalle sue origini “San Paolo” è sinonimo di “malaffare” e questo ancora ai nostri giorni, nonostante il quartiere stia faticosamente cercando di costruirsi una nuova immagine grazie anche ai nuovi palazzi e condomini che vi stanno sorgendo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
Fonti storiche:
Alfredo Giovine, Calendario storico della Città di Bari
Biblioteca dell'Archivio delle tradizioni popolari baresi
www.dondialetto.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- Pippo Santoro - Sono felicissimo di aver letto questo articolo. Non avevo mai sentito parlare de 'La Socia' se non nel libro 'Percoco' di Marcello Introna. La cosa mi sorprese a tal punto che tentai una ricerca fra qualche memoria storica della città, senza esito. Adesso finalmente leggo che questo posto è realmente esistito e che non è stato dissimile da come raccontato nel noir di Introna. I miei complimenti
- gianni avvantaggiato - Ho sentito parlare della Socia dai miei nonni. Negli anni '60 abitavano in Via Re David, vicino alla chiesa di San Marcello. guardando in direzione Valenzano, a destra stava sorgendo il nuovo quartiere, a sinistra, proprio alle spalle della chiesa, invece c'era il quartiere popolare abitato anche da gente poco raccomandabile che, i miei nonni, appunto, indicavano come "La Socia" e consigliavano a noi ragazzini di stare alla larga. Grazie, comunque, per la storia.
- matteo spinelli - Sforzo apprezzabile, qualche inesattezza (il palazzo non era all'angolo di via Zuppetta ed era formato da due portoni contrassegnati dai civici 21 e 23). Buone le notizie storiche, ma il racconto è parziale e approssimativo. La realtà della "Socia" era molto più complessa e solo chi vi è cresciuto, forse, può descriverla compiutamente.