Lama San Giorgio: grotte, natura selvaggia e ripide strade. A due passi da Bari
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mercoledì 27 gennaio 2016
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di Eva Signorile
Noi abbiamo visitato la lama nel tratto di circa tre chilometri che dal centro commerciale “Bariblu” porta a San Giorgio, scoprendo uno spicchio di natura inselvatichita che nasconde grotte e cavità naturali, alte pareti rocciose e ripide strade di campagna. Il tutto a due passi da Bari e dai centri abitati. (Vedi foto galleria)
Iniziamo il percorso partendo dal centro commerciale, che costeggiamo fino a raggiungere l’ultima rotatoria, quella che porta al parcheggio: ma noi proseguiamo dritto e ci infiliamo in una stradina di campagna, circondata da vigneti. Al primo incrocio giriamo a sinistra. Da qui ci troviamo su una via che si apre all’improvviso con una discesa vertiginosa. Sembra quasi di stare sulle montagne russe: il fondo è molto più in basso rispetto a noi e a un certo punto la strada si impenna e va in salita, completando il disegno di una “u”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Il fondo di questa strada è in realtà parte del letto stesso della lama - ci spiega il giovane geologo Giuseppe Di Prizio –. Quando piove in maniera intensa non è difficile vederlo scomparire sotto l’acqua che scorre. Quando ci fu la “mena” del 2005, parte della strada fu sommersa». La “mena” è il termine con cui si definiscono localmente le piene delle lame. Nell’alluvione che si abbatté sul territorio barese tra il 22 e il 23 ottobre di quell’anno persero la vita in totale sei persone, di cui una proprio in lama San Giorgio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proseguiamo sulla strada. Da un lato e dall’altro solo campagna e muretti a secco. Alla nostra destra, un grande cartello trascurato ci avvisa che ci troviamo in un percorso paesaggistico, ma capire esattamente dove siamo è impossibile: verso il centro una parte del tracciato è cancellata e non riusciamo ad orientarci. Un po’ più in là, un altro segnale stradale è crivellato da colpi di proiettile, probabilmente di fucile. Andiamo avanti un po’ meno serenamente, fino a incrociare un nuovo cartello che indica un percorso ginnico-naturalistico all’inizio di un sentiero sterrato alla nostra sinistra: spiega che ci troviamo all’inizio di un percorso che sovrasta la lama.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Inforchiamo il sentiero e la statuina solitaria di una Madonna si staglia all’improvviso sul ciglio: una mano devota si è premurata di metterle accanto un vaso con una piantina grassa. Alle spalle della madonnina, si apre un vuoto profondo: diversi metri più in basso possiamo scorgere il letto della lama. Poco più in là una serie di pneumatici abbandonati fa mostra di sé: troveremo di tanto in tanto cumuli di immondizia accantonati, ma complessivamente il posto appare abbastanza pulito.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Alla nostra destra è solo campagna coltivata: spesso incrociamo inquietanti segnali con l’avviso “zona avvelenata”. Tra gli ulivi e i fichi su cui si attarda ancora qualche foglia ormai gialla, fa capolino un “pagliaio”: una costruzione in pietra a secco molto simile ai trulli, utilizzata in passato per gli attrezzi dei contadini o per il riposo dei pastori durante la transumanza. Ne incontreremo diversi, spesso ben tenuti, anche se vuoti oppure utilizzati come deposito di rifiuti. La cartuccia di un colpo di fucile sul sentiero ci spiega gli scoppi che di tanto in tanto percepiamo in lontananza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La macchia mediterranea non si risparmia. Una pianta ci attrae in particolare: striscia tra i piedi, lungo i bordi del sentiero, si affaccia tra le pietre dei muretti a secco o pende in grappoli rossi e lucenti tra i rami di ulivo: è la “salsapariglia”. Pare che i suoi frutti siano la gioia dei pettirossi e soprattutto dei puffi. Proprio così: la leggenda vuole che i piccoli esserini blu adorino le bacche di questa pianta, chiamata anche “stracciabraghe” perché piena di spine. A giudicare dall’incredibile quantità di questo vegetale (ci accompagnerà per tutta la passeggiata, sbucando dai posti più insospettabili), i folletti blu troverebbero qui la loro “puffolandia” ideale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A un certo punto del percorso, il sentiero piega a sinistra, ma noi preferiamo inoltrarci in uno degli uliveti, scendendo e spingendoci fino al fondo, per arrivare nel letto della lama. Qui lo scenario è più disordinato, la vegetazione si fa improvvisamente più selvaggia e fitta: melograni su cui seccano gli ultimi frutti si intrecciano ai fichi d’india. Siamo “dentro” la lama. Ed eccola, di fronte a noi, l’imponente parete, la “spalla” dell’antico fiume: si erge dinanzi a noi per un’altezza che stimiamo intorno ai 15 metri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Nel tratto compreso fra Triggiano e San Giorgio – spiega ancora Di Prizio –, la lama si caratterizza per un paesaggio non così diffuso nel territorio barese, a causa proprio dell’altezza che raggiunge in questa zona la parete dell’incisione». Una sorta di piccolo canyon insomma: il capolavoro di un processo erosivo che va avanti da milioni di anni. Qua e là lungo la roccia si affacciano delle cavità naturali, qualcuno sostiene che alcune conterrebbero corridoi da cui si raggiungerebbe il mare: probabilmente leggende che accompagnano sempre luoghi poco addomesticati come questo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il sentiero a un certo punto finisce, abbandonandoci all’improvviso. Torniamo indietro e prendiamo strada vicinale San Marco, che scorre parallela più avanti. Qui lo scenario si fa più eterogeneo: gli uliveti si alternano a ville, spesso disabitate, capannoni enormi e abbandonati e depositi di macchinari e oggetti non identificati, protetti da ringhiere arrangiate con materiali di recupero di qualunque tipo. Ma la natura è generosa anche qui: ci saluta con un ciclamino tardivo che si affaccia su una pietra su cui una mano misteriosa e burlona ha disegnato una faccina sorridente, una sorpresa in un luogo in cui non riusciamo a incontrare nessuno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Poco oltre, l’enorme caseggiato blu di un mobilificio ormai abbandonato si erge pulito e vuoto nel silenzio assoluto. Una strada asfaltata lo costeggia di lato e decidiamo di percorrerla con l’auto: la speranza è che si incroci con il sentiero percorso in precedenza, invece rischiamo di finire dritti in una scarpata inaspettata. La strada si interrompe senza preavviso, su un campo sottostante. Ci fermiamo in tempo: salvi, insieme a un fiore blu di borragine che ha rischiato di vederci franargli sopra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tornati sulla strada, inforchiamo un altro sentiero: conduce a un’abitazione che non riusciamo a vedere, ben protetta da un’alta recinzione e da un cancello “scortato” da un’aquila e un cerbiatto di gesso. Il sentiero prosegue oltre la villa e si perde nel tramonto. Ci perdiamo qualche istante nella pace del momento, ma qualcosa di maestoso e incomprensibile attraversa a bruciapelo il nostro campo visivo: è poco più di un lampo dorato il cui volo incrocia i nostri sguardi prima di scomparire definitivamente tra gli ulivi. Perdiamo qualche minuto nella speranza di rintracciarlo, ma il grosso uccello, forse un barbagianni, è scomparso nel nulla così come era apparso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La lama a questo punto segue un percorso misterioso che la porta oltre la tangenziale, al mare. Già, il mare: da quassù possiamo persino vederlo, oltre la distesa di campi. L’incisione passa al di sotto dei ponti della tangenziale, della complanare e della ferrovia, si apre quindi in un ventaglio pianeggiante e quasi spoglio, formando uno spiazzo erbaceo e incontrando l’Adriatico. In Cala San Giorgio, una zona anche definita il “pantano”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E’ questa baia naturale che nel 1087 ha accolto i marinai baresi di ritorno dal Myra le reliquie di San Nicola di Myra. E ogni anno, il 7 maggio da qui salpa la barca con il quadro di Santo che viene portato via mare fino al molo Sant’Antonio di Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel piccolo porticciolo si trovano diverse barche a riposo, alcune dondolano in acqua, altre sembrano quasi dormire su una spiaggia di alghe secche e nere che la risacca sposta e riporta incessantemente. Tutto è avvolto nel silenzio, qui dove la vecchia lama viene a riposare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica di Gennaro Gargiulo)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- egidio de pace - 50 anni fa' mi son dovuto trasferire in cerca di lavoro a Roma, pur mantenendo le mie visite alla famiglia, sento sempre una punta di malinconia quando penso alla nostra città. Questo vostro impegno nel riercare e arricchirci di queste storie spengono la malinconia. Grazie.