Quando a Cozze vissero e salparono gli ebrei diretti nella ''terra promessa''
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martedì 2 maggio 2017
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di Imma Furio
Per raccontare questa storia è necessario tornare indietro nel tempo, precisamente al termine della Seconda guerra mondiale. Il mondo giudaico è scosso dall'Olocausto appena terminato e i sopravvissuti, oltre ad avere negli occhi l'orrore dei lager, hanno la necessità di rifarsi una nuova vita. Il luogo prescelto per partire da zero è la Palestina, area che già da alcuni anni era stata scelta dai Sionisti per rifondare uno Stato ebraico.
Si decide quindi di partire in massa per il Medio Oriente, nonostante il parere contrario del Regno Unito, controllore della Palestina sin dal 1916. Il tutto quindi avviene clandestinamente, almeno sulla carta, perché in realtà gli altri governi europei chiudono un occhio sull'emigrazione in atto, Italia inclusa. Migliaia di ebrei vengono così ospitati in campi profughi in attesa che una nave li trasporti dall'altra parte del Mediterraneo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E a partire dal 1946 uno di questi luoghi di accoglienza temporanea è proprio Cozze, le cui case disabitate vengono utilizzate per dare un tetto ai rifugiati di passaggio. Comincia così una singolare convivenza tra i pochi abitanti dell'appartata zona (all'epoca borgo di pescatori ancora estraneo al turismo) e i nuovi "inquilini" provvisori.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Alloggiavano in abitazioni poco sfruttate - racconta l'83enne cozzese Rita, testimone diretta di quel particolare periodo -. I proprietari infatti si trasferirono qui durante la guerra per sfuggire ai bombardamenti che colpivano le città limitrofe, ma dopo il conflitto erano tornati nei centri più popolosi come Mola e Conversano».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Ricordo bene che la piazzetta dove oggi c'è la farmacia - prosegue l'anziana - era usata dagli ebrei come spazio comune dove cucinare e mangiare tutti assieme. Spesso scambiavo con loro il mio formaggio fatto in casa con la carne che ricevevano gratis dallo Stato italiano». Un rapporto per nulla scalfito dal fatto di parlare lingue diverse. «Non tutti capivano l'italiano, ma in un modo o nell'altro si riusciva sempre a comunicare», precisa infatti suo marito, l'85enne Giuseppe.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La permanenza dei migranti durò circa cinque mesi, subito dopo la loro partenza verso la Palestina arrivò però un altro gruppo. «Ma anche loro dopo qualche mese andarono via - spiega sempre Rita - e lo fecero di notte, senza che nessuno se ne accorgesse. Il mattino seguente per strada c'erano solo materassi, coperte e altri oggetti utilizzati durante il loro soggiorno. Era il giugno del 1947: rammento che qualche giorno prima ci chiesero dei limoni ma noi, non capendo la richiesta, portammo loro delle ciliegie, frutta tipica di inizio estate».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Gli ebrei si imbarcarono grazie a un pontile rudimentale preparato nel tratto di costa detto pizze affonne (“pezzi profondi"), che si trova accanto al lido Calarena, confine settentrionale della frazione. Pare che i resti di quella struttura siano ancora visibili sott’acqua.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Di questa storia nascosta rimane però qualche prezioso documento. Ottavio, fratello di Giuseppe, ci mostra due immagini in bianco e nero. La prima è una foto di gruppo scattata poco prima di salpare per la "terra promessa", la seconda è un biglietto dell'agosto 1947 firmato da Kvuca Lhava e Chaviva e destinato ad Angelo. La dedica? “Per ricordare la nostra amicizia in Kozze".Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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Imma Furio
Imma Furio
I commenti
- LUCREZIA ANGELASTRI - IO RICORDO DA RACCONTI FATTI DA MIO PADRE, CHE ESSENDO MIO NONNO EMIGRATO IN AMERICA NEI PRIMI ANNI DEL 1900, lui era carbonaio e avendo imparato l'inglese, quando vennero gli alleati a salvarci, gli americani si recavano alle masserie per acquistare formaggio pecorino, per poter comunicare, mio nonno Michele Angelastri veniva spesso chiamato da un suo parente che aveva la masseria (CORNACCHIA DI ALTAMURA) per tradurre la lingua.