Alla scoperta di Cozze, tra mare, chiesette, leggende e nostalgia
Letto: 46801 volte
giovedì 14 maggio 2015
Letto: 46801 volte
di Cecilia Cacciapaglia
Noi siamo andati a visitarla il 30 aprile, prima dell'inizio dell'estate. E questo è il nostro racconto. (Vedi foto galleria)
Camminando per una delle tante viuzze in discesa che dalla statale 16 Adriatica portano al mare, siamo avvolti da un’atmosfera quasi irreale: il frusciare dei rami e il frullo d’ali degli uccelli sono interrotti raramente dal passaggio di una bici o di un’automobile. Un filare di alberi fanno da cornice all’Adriatico che appare sullo sfondo, assoluto protagonista della scena. Terminato il sentiero, ci troviamo faccia a faccia con il mare. Una distesa di scogli e roccia fa da avamposto all’ingresso in acqua e un paio di scivoli in legno permettono di raggiungere più facilmente la riva. La pista ciclabile che parte da Mola si snoda lungo la costa. Ogni tanto scorgiamo dei ragazzi che fanno jogging e altri che si spostano in bicicletta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sul lungomare Zara incontriamo Vincenzo, 70 anni, di Conversano. Sta approfittando del tepore primaverile per fare una passeggiata. Ci fermiamo a chiacchierare. Non esita a farci da cicerone e a condividere con noi i ricordi di quando era bambino. Ipotizza che l’origine dell’appellativo “Cozze” derivi dai vecchi allevamenti di mitili che negli anni passati si trovavano nei pressi dell’attuale frazione e ci rivela che le varie zone del litorale erano apostrofate in diversi modi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il nostro percorso alla scoperta dei nomi caratteristici ha inizio dallo storico lido “Calarena”, che segna il confine a nord di Cozze (quello a sud invece è segnato dall’altro stabilimento della località: "Coco Beach"). Questo è l’unico punto della costa in cui si trova della sabbia. Dopo qualche centinaia di metri, all’altezza di via delle Rose, troviamo una zona che Vincenzo chiama “Pizze affonne” (“pezzi profondi”). Ci accorgiamo subito che parte della scogliera è crollata e che le rocce hanno ceduto all’erosione del mare. La nostra guida ricorda che in questo luogo l’acqua era più profonda rispetto al resto del litorale e che i ragazzi coraggiosi prendevano la rincorsa e si tuffavano. «Adesso è franato tutto – aggiunge – non sapresti da che punto immergerti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lì vicino, ad angolo con via delle Sirene ci sono i resti di una struttura ormai in disuso. Vincenzo rimette in moto gli ingranaggi della memoria e ci parla del vecchio “bar Muccino”, una pizzeria/paninoteca frequentata dai bagnanti. «Venivo con gli amici per trascorrere la serata – ricorda –. Mangiavamo la focaccia di patate, mentre i bambini si sfidavano a biliardino».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Continuando a camminare, superando il bar che si trova sulla riva, in corrispondenza di via del Mare l’uomo indica uno scivolo che conduce verso l’acqua e ci spiega che un tempo veniva utilizzato dai pescatori locali per tirare le barche in secca o per farle entrare in mare. «Qui c’era un porticciolo naturale – prosegue -. I pescatori vi attraccavano le barche a remi». Ci fa notare una piccola banchina, perpendicolare allo scivolo, dove si ormeggiavano le imbarcazioni. Vincenzo custodisce le immagini di un lontano passato, quando assisteva alla pesca di frodo. «Negli anni 60 c’era chi faceva gran bottino di pesci, gettando delle bombe in mare - ci racconta -. La pressione esercitata dall’esplosione uccideva i pesci che venivano a galla ed erano raccolti velocemente con dei retini o addirittura con le mani. Non appena i pescatori di frodo si allontanavo, i ragazzi si tuffavano per saccheggiare quanto rimasto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Riprendiamo il nostro percorso sul lungomare Zara per soffermarci su quello che è chiamato il “Porto di San Giovanni”: si tratta di un’ampia insenatura scogliosa dove, sottolinea Vincenzo, sino alla fine degli anni Sessanta pullulava un’acqua sorgiva. «La chiamavamo “Acque de Creste” (Acqua di Cristo) e la gente riempiva le bottiglie perché si credeva avesse proprietà curative – ci spiega -. Ora la cementificazione selvaggia e prossima al mare ha deviato il corso d’acqua che è scomparso. Perché quella che si vede oggi – sospira il 70enne - è la Cozze costruita dall’uomo, non la Cozze plasmata dalla natura. L’urbanizzazione e lo sfruttamento hanno modificato nettamente il paesaggio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La nostalgia di Vincenzo traspare anche quando ci parla dei cosiddetti “Monticelli”, situati a 300-400 metri a sud di Coco Beach: si trattava di basse dune di sabbia ricoperte in parte da canne, ora sostituite da una serie di villette. Dopo Monticelli si estende il lungo e bellissimo tratto di costa chiamato “freak beach”, frequentato dai nudisti baresi e famoso per i trulli che si trovano a ridosso del mare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Salutiamo e ringraziamo Vincenzo mentre reduce da un’immersione un sub sfila la muta, nell’acceso bagliore del tramonto. All’angolo di una delle strade private della fascia costiera, ci imbattiamo in un gruppo di uomini che giocano a carte seduti a un tavolino. Più in là delle donne chiacchierano. Sono tra le poche persone che incontriamo e, cercando di percorrere con lo sguardo il litorale, ci rendiamo conto che è quasi completamente deserto. «Non abitiamo a Cozze, ma ci piace trascorrere qui il tempo libero – ci dice il 70enne Stefano –. Veniamo anche d’inverno e, se fa freddo, rimaniamo in macchina a parlare».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La percezione di calma piatta è confermata dalla passeggiata per le vie più interne. Cozze è disabitata: il silenzio pervade le strade e dà l’impressione di un luogo dove il tempo si è fermato. Immobili, le villette sono ancora tutte chiuse da recinti e cancelli. Tra i rami di pino scorgiamo degli abiti appesi a uno stendino. Appartengono a una delle rare case con le persiane aperte. Il resto delle abitazioni pare sonnecchiare, in attesa di un cenno per risvegliarsi. Nulla lascia presagire la presenza umana, se non qualche auto lungo i viali alberati. Su molte costruzioni è affisso il cartello “vendesi” o “si loca nei mesi di giugno, luglio e agosto”, segno che da qui a poco la vita riprenderà a scorrere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Giunti su largo Puglia, scopriamo una farmacia e l’ufficio della Guardia Medica, entrambi ermeticamente chiusi. Solo due gatti ci danno il benvenuto, accovacciati di fronte alle serrande abbassate. E curiosando tra le villette e le case antiche, in via del Gambero, scoviamo una chiesetta: è la Chiesa di Sant’Ugo, aperta unicamente in estate. Presenta un giardinetto ben curato, ricco di piante e fiori.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Mentre raggiungiamo la nostra auto, incrociamo un uomo sull’ottantina. Accompagnato dal cane che lo segue passo passo, è intento a raccogliere della legna da portare a casa. Sostiene che solo un centinaio di persone dimorano qui per tutto l’anno. «Credo di essere, insieme con mia moglie – ci confessa - uno dei pochi residenti di Cozze».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lungo la pista ciclabile, che affianca la Statale 16, notiamo Nico, 60 anni. Dai suoi racconti emerge il profondo attaccamento per il borgo. «I miei fratelli ed io siamo nati qui – inizia col dire –. Ricordo quando mio padre a gennaio, per la nascita di mio fratello, partì da Cozze con il carretto per raggiungere la levatrice a Mola». Nico è uno di quegli uomini che ha visto la zona cambiare. Attraverso le sue parole rivivono le immagini di un paradiso incontaminato, che ha ben poco in comune con l’aspetto attuale della frazione molese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Le modifiche apportate dall’uomo hanno distrutto il paesaggio. Quand'ero piccolo l’ambiente era molto più selvatico – aggiunge -. Prima di arrivare al mare, dove ora si vedono ville e case, c’era un’immensa distesa di campi. Per andare sulla spiaggia, scavalcavamo i muretti a secco, mentre i contadini coltivavano la terra. Inoltre, prendevamo l’acqua dalla fontana, la "cap d firr" che si trova a Calarena, perché in casa non avevamo quella corrente». Nico rimpiange la tranquillità dell’infanzia vissuta tra i vicoli della località marittima. «Ora c’è troppo caos – afferma – Preferisco di gran lunga il periodo invernale perché durante la stagione balneare il trambusto rende tutto più invivibile».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci accompagna, sulla statale 16, a visitare la chiesetta della Madonna degli Angeli che, con nostra grande sorpresa, scopriamo essere la patrona di Cozze. I festeggiamenti avvengono il 2 Agosto, unico giorno di apertura della chiesa e prevedono una Santa Messa, la processione e fuochi d’artificio, finanziati da alcune famiglie devote. Questa Madonna, essendo apparsa in sogno a una signora del capoluogo salentino, è venerata anche dai leccesi, che ogni anno giungono qui in pellegrinaggio. «Nella chiesa, l’unica presente all’epoca, si sono sposati i miei genitori - ci confida Nico – e anche io e i miei fratelli siamo stati battezzati». Si interrompe per indicarci una villa, posta di fronte alla costruzione religiosa. «La Madonna degli Angeli – spiega - è stata data in uso a una famiglia nobile di Conversano, i Lorusso, proprietari di questa casa. Sono loro che continuano ad occuparsi della manutenzione della chiesa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci saluta promettendoci che un giorno ci mostrerà l’album di famiglia, dove sono custodite gelosamente le fotografie del luogo natale. E anche noi abbandoniamo la frazione. Tra qualche giorno, al primo caldo, Cozze riprenderà a vivere: le coste si riempiranno di famiglie e di comitive di ragazzi, le ville si rianimeranno. Un luogo cristallizzato nei mesi invernali, risorgerà con l’aumento della temperatura, come una bella addormentata che aspetta il bacio del sole per ridestarsi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Cecilia Cacciapaglia
Cecilia Cacciapaglia