Giovinazzo e le sue "Torri": alla scoperta delle possenti masserie fortificate del nord barese
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giovedì 17 ottobre 2019
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di Nicola Imperiale
Oggi alcuni di questi antichi edifici sono stati valorizzati e ristrutturati, altri invece, come il complesso di Sant’Eustachio di Giovinazzo o il “Chiuso della torre” di Molfetta, giacciono abbandonati nell’agro del nord barese. Noi ne abbiamo visitati quattro: tutti presenti nell’area di Giovinazzo, su una linea retta che porta dalla costa alla campagna. (Vedi foto galleria)
Per raggiungere il primo, visibile già dalla statale 16, usciamo allo svincolo Giovinazzo Sud e percorriamo sulla complanare un chilometro in direzione Santo Spirito, fino a scorgere sulla nostra sinistra un’alta costruzione immersa in un prato e circondata da alberi da frutto. Si tratta di “Torre delle Pietre Rosse”, fortilizio databile tra il XII e il XIII secolo e caratterizzato da paramenti murari a bugnato con conci regolari e sbozzati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Edificato dalla famiglia nobiliare dei Paglia, deve il suo nome al colore delle pietre estratte dalla terra argillosa sulla quale è eretta. La sua torre quadrangolare, alta 12,50 metri e usata in passato anche come colombaia, è abbracciata da un’ampia cinta muraria e spicca sulla campagna, dominando lo spazio circostante. Negli ultimi anni è stata sottoposta a un importante recupero conservativo ed oggi ospita eventi e manifestazioni culturali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Riprendiamo la statale in direzione Foggia e dopo 1,2 chilometri svoltiamo per l’uscita Giovinazzo Nord/Terlizzi e da qui sulla SP107. Dopo appena 400 metri sulla sinistra scorgiamo fra i terreni coltivati la seconda nostra meta: Torre Rufolo.
Questo complesso edilizio con spesse cinta di mura risale al 1307 e fu costruito da Ruggero Rufolo, un nobile di Ravello fuggito dalla sua città natale e in cerca di luogo tranquillo dove vivere. Bruciata e depredata nel 1529, della masseria fortificata restò in piedi, oltre alla torre quadrangolare a due piani, solo la parte inferiore dove erano presenti il frantoio e alcuni locali di servizio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dopo un lungo periodo di degrado, ha subìto un corposo restauro ed è stata ampliata e rimodernata. Sul portale monumentale ad arco ogivale sopravvive scolpito un motivo floreale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci rimettiamo in marcia sulla Giovinazzo-Terlizzi e dopo un paio di chilometri incontriamo sulla sinistra la Torre don Ciccio. Si tratta di una masseria riedificata nel XVI secolo ma che affonda le sue origini già nel 200, in epoca Sveva. A costruirla fu un nobile tedesco: Melciaccia Alemanno, detto “don Ciccio”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Di colore bianco e caratterizzata da un bugnato a conci irregolari, fu gravemente danneggiata dalle truppe inglesi che vi avevano dimorato durante la Seconda guerra mondiale. Il complesso subì poi nel 1992 un ulteriore sfregio dato dal crollo di parti del loggiato superiore. Ora le entrate sono murate e non si può accedere ai locali e alla cappella dedicata all’Annunziata presente al suo interno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proseguiamo per altri due chilometri sulla 107, fino a incrociare un cartello che ci indica la presenza, in una stradina sulla destra, della “Torre del tuono”. Imbocchiamo il viale e dopo 600 metri scorgiamo il possente maniero, conosciuto un tempo come “torre de lo trono”, perché qui il cardinale Giovanni Vitelleschi pose il suo comando quando nel 1438 andò alla conquista di Giovinazzo. Un fregio posto sul portone ricorda la figura dell’alto prelato.
Nel 1663 fu completamente ricostruito dai nobili Sagarriga e prese il nome di “Torre del Tuono”, dopo che un fulmine il 17 febbraio del 1678 ne aveva devastato la torre.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Caratterizzato da tre palmenti in pietra, lì dove un tempo veniva fermentato il mosto, la rocca si presenta in buone condizioni. Quando arriviamo la troviamo purtroppo chiusa da un cancello, anche se attraverso le inferriate possiamo scorgere l’androne con volte a botte.
L’edificio conserva anche una cappella dedicata a San Michele, sul cui portale murato si trova un’iscrizione in latino posta dai Sagarriga: mihi meis et omnibus (“per me, per i miei e per tutti”).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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Nicola Imperiale
Nicola Imperiale