Ville colorate, sculture fantasiose, monumenti in miniatura: alla scoperta dell'Art Brut
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mercoledì 22 luglio 2020
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di Giancarlo Liuzzi
Si tratta infatti di opere fatte “per sé”, innalzate pietra dopo pietra nel corso di 20 o 30 anni con la sola “missione” di creare “qualcosa di bello” che non sente la necessità di essere mostrato. Gli artisti in questione spesso utilizzano materiale riciclato che va a inserirsi in un contesto improvvisato, bizzarro, ma al tempo stesso ingegnoso e fantasioso.
«L’espressione fu coniata dal pittore francese Jean Dubuffet nel 1945 - ci spiega Marcello Maggi, educatore con dottorato di ricerca in Estetica e specializzato in Art Brut -. Voleva offrire un nome a tutti quei lavori creati da persone il cui fare nasce da impulsi profondi più che da razionali esigenze estetiche».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un'arte spontanea quindi, senza pretese culturali e senza “riflessione”, nella quale a predominare è il puro istinto. «Gli autori d'art brut – dice sempre l’esperto - non si limitano a creare disegni, quadri, sculture, ma arrivano a costruire “mondi” inediti altamente personali, dei veri e propri environments: paesaggi immaginari il più delle volte decorati in maniera compulsiva con oggetti di qualsiasi genere».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A livello mondiale elementi di art brut si ritrovano nel “Jardin du Coquillage” costruito in trent’anni dal muratore ucraino Bodhan Litnanski con materiale trovato per strada; nelle “Watts Tower”, due strutture in acciaio alte 30 metri realizzate a Los Angeles dall’immigrato italiano Simon Rodia; e nel francese “Palais Idéal”, innalzato dal postino Ferdinand Cheval con 100mila pietre che creano elementi antropomorfi e allegorici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma anche in Italia e in Puglia si contano edifici eclettici frutto della fantasia debordante dei loro creatori: luoghi “fantastici” spesso sconosciuti ai più che noi abbiamo scoperto visitando le “strade secondarie” del nostro territorio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una varietà smisurata di decori che abbiamo ritrovato ad esempio in uno degli fabbricati più singolari di tutto il barese: “Villa Fantasy”, dimora nascosta nelle campagne di Corato. È opera del proprietario Luigi Mazzilli, che in trent’anni ha meticolosamente raccolto conchiglie, vetri, specchi, piastrelle e statuine per andare a rivestire ogni angolo della sua abitazione di campagna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A Gioia del Colle poi, sulla strada che porta a Turi, si staglia la villa del “Masciaridde” (cioè del mago, dello stregone), che prende il nome dall’appellativo con cui era conosciuto Leonardo Castellaneta, colui che l’ha realizzata. Una struttura neoclassica impreziosita da archi, merli, balaustre e da un’aquila presente sul terrazzino. Il suo cortile rivela anche due caratteristici pozzi e persino una piccola cappella.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Incredibili sono anche le sculture dell’ “Italia in miniatura” tra Conversano e Putignano, create dal sarto Stefano Schettini. Raccogliendo pietre e materiali di risulta ha riprodotto fedelmente la Torre di Pisa, il Colosseo e l’Arena di Verona tra gli ulivi e i mandorli della propria campagna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In Salento invece ci è stato segnalato l’Eremo di Vincent Brunetti, a Guagnano: una casa-museo dove troneggia un alto frontone brulicante di statue di ogni genere (madonne, putti, lumache, elefanti, asinelli) e decorata con piastrelle di svariati colori, specchi e grandi scritte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A Bari città infine vanno citati due laboratori a cielo aperto pieni zeppe di lavori eccentrici. Il primo è quello del rigattiere Simone Ciliberti, nel quartiere San Cataldo: un luogo magico e colorato dove vecchi oggetti abbandonati diventano opere d’arte. L’altro è il villaggio di pietra di Jerry de Florio, in via Cotugno, lì dove fanno bella mostra di sé trulli, animali, rovine romane, capitelli, casse armoniche e persino una spada nella roccia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Si tratta purtroppo di posti destinati a scomparire, che un giorno saranno deteriorati dal tempo e dagli atti vandalici – denuncia Maggi –. Purtroppo c’è poco interesse da parte di istituzioni e “arte alta” nei confronti di questi luoghi, creati tra l’altro da persone che non cercano fama e notorietà. Bisognerebbe invece riconoscere il loro valore elevandoli a “beni culturali”, attivando così fondi per la loro salvaguardia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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