Quando Torre a Mare si chiamava "La Pelosa": la storia del borgo nojano divenuto rione di Bari
Letto: 13436 volte
mercoledì 7 settembre 2022
Letto: 13436 volte
di Mina Barcone
Per andare alla scoperta di tutti questi avvicendamenti ci siamo affidati agli scritti di uno storico locale ormai scomparso, Giacomo Settani, nonché ai ricordi di famiglie che vivono qui da generazioni. (Vedi foto galleria)
Il nostro viaggio nel tempo comincia da molto lontano, tra il VI e il III millennio a.C., quando sull’Adriatico si installò una popolazione organizzata in villaggi di capanne affacciate sull’Adriatico: erano i primi baresi, che secondo gli esperti si dimostrarono tra i più precoci agricoltori del Mediterraneo occidentale. Ciò era dovuto anche alla particolare conformazione della zona, attraversata dalla rigogliosa Lama Giotta e caratterizzata dalla presenza di tante grotte (tra queste Grotta della Regina e Grotta della Tartaruga) nelle quali i nostri antenati trovavano riparo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma le prime menzioni ufficiali della zona vennero scovate da Settani in due documenti del primo secolo dell’anno Mille. Nel 1049 un atto notarile parlava infatti di un «posto che si chiama La Pellosa, adiacente la scogliera», mentre nel 1086 si citava la cessione di un terreno «in loco La Pellusa». Le carte geografiche veneziane di fine Cinquecento confermano anch’esse il toponimo “La Pelosa”, ovvero il nome dialettale del granchio favollo che in questi lidi era catturato in abbondanza (assieme ai molluschi) sin dal Neolitico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sotto la dominazione spagnola, precisamente nel 1574, nella borgata venne eretta una delle sei torri di avvistamento del XVI secolo sopravvissute in terra barese, pensata per contrastare i frequenti attacchi di pirati e corsari: si trattava della corposa Torre della Pelosa, che ancora oggi domina la piazza principale del paese con la sua struttura a pianta quadrata e le tre caditoie per lato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Alla stessa epoca risale la leggenda del pescatore “Varvamingo”. Si narra che costui percorresse ogni giorno i 10 chilometri tra Noicattaro e Torre a Mare per cacciare i pesci, fino a quando, stanco di tutte quelle camminate, non decise di stabilirsi in una grotta sull’acqua. Questa sua “casa” è tuttora esistente e versa purtroppo in condizioni di degrado: è possibile scorgerla affacciandosi sul porto e incamminandosi verso sinistra sulla banchina che ospita i ripostigli dei pescatori.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Con il tempo in molti seguirono l’esempio di questo “pioniere” trasferendosi in antiche cavità o piccoli trulli attorno all’edificio di difesa. Allora la nascente frazione non apparteneva ancora ufficialmente a Noicattaro: per quello bisognerà aspettare il 1754 e l’istituzione territoriale dei Comuni nel Regno di Napoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il 16 maggio del 1867 venne poi approvato il progetto di urbanizzazione del suolo comunale della marina, fino ad allora incolto e frequentato dai nojani solo nella stagione estiva.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Con la lottizzazione – racconta Domenico Positano, la cui famiglia fu una delle prime a costruire grandi ville nella zona – il borgo attorno alla torre abitato da pescatori iniziò a espandersi. Così i residenti più ricchi e importanti di Noicattaro, Rutigliano e comuni limitrofi acquistarono sezioni di terreni adiacenti alla strada d’ingresso appena spianata per edificarvi le sontuose dimore di villeggiatura».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Molte di esse, come appunto Villa Positano ma anche Villa Anna, Villa Gervasio o Villa Traiano, sono ancora visibili lungo via Bari, strada costellata da imponenti e pittoreschi edifici in stile liberty.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E man mano che la popolazione cresceva iniziavano ad aprirsi esercizi commerciali: una cantina, una bottega di generi alimentari, un caffè, uno spaccio di carne e un negozio d’acqua potabile. Anche in campo turistico il Comune cercò di favorire le attività legate alla balneazione, concedendo diverse licenze per l’avvio di stabilimenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Una di queste risale al 1890 – continua Positano – e fu concessa al marchese Giuseppe Positano Spada, mio nonno. In famiglia si racconta che in occasione di un viaggio d’affari in Francia egli rimase affascinato dalle baracche di legno sul mare che permettevano un facile ingresso in acqua. Così una volta rientrato a Torre Pelosa decise di costruirne una uguale, battezzandola “Piccola Nizza”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
“Piccola Nizza” fu anche il nome del lido sorto tra il 1948 e il 1952 nell’insenatura di Cala Fetta, spazzato via da una forte burrasca, ma senza apparenti collegamenti con la baracca di Positano Spada.
Con l’avvento del Novecento c’erano però ancora diverse problematiche da affrontare, come i frequenti casi di malaria causati dai malsani pantani che si formavano con le piene nella duna del torrente di Lama Giotta. Iniziarono così i lavori di bonifica che si protrassero nel corso del periodo fascista e che previdero anche la costruzione del porticciolo, l’infrastruttura simbolo di Torre a Mare, lì dove operano ancora una quindicina di pescatori riunitisi in una cooperativa.
Nel 1925, per valorizzare il legame tra l’Adriatico e gli abitanti, un’influente famiglia del posto fece omaggio ai cittadini della “Fendàne du Pescatòre”, scultura in bronzo dell’artista giovinazzese Tommaso Piscitelli. L’opera venne installata sull’allora viale Principi di Piemonte, oggi piazzetta Mar del Plata, al centro di una piccola aiuola a due passi dal mare. Non ebbe però vita lunga: fu fusa per esigenze belliche e sostituita con una copia sessant’anni dopo.
Nel 1934 ci fu però la svolta. Il governo fascista emanò una serie di decreti che portarono Torre Pelosa a staccarsi dal comune di Noicattaro per diventare frazione di Bari, come già era accaduto a Palese e Santo Spirito che erano state marine rispettivamente di Modugno e Bitonto. Settani racconta che i nojani protestarono accoratamente per questo “scippo”, ma senza risultati.
E tre anni dopo il Podestà del capoluogo pugliese propose di ribattezzare il quartiere “Torre a Mare” poiché, diceva una nota, il suo nome originale non aveva «dignità della denominazione di un certo abitato». Questo cambio era mirato ad assicurare alla località un maggiore sviluppo soprattutto turistico, ignorando però le antiche origini di quel disprezzato “Pelosa”.
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale Torre a Mare si ritagliò un ruolo rilevante in quanto sede della britannica Soe (Special operations executive, Esecutivo per le operazioni speciali), un'organizzazione costituita da agenti segreti altamente addestrati e fondata dallo stesso Winston Churchill che, secondo la leggenda, avrebbe incontrato a Villa Isabella il capo di stato jugoslavo, Josip Tito.
Torre a Mare dovette attendere la fine del conflitto e l’avanzare del benessere per riprendere il proprio sviluppo: un’evoluzione che è continuata fino ai nostri giorni, anche se le basse casette attorno alla Torre e i gozzi colorati ancorati nel porticciolo continuano a regalare al visitatore l’immagine di un luogo che non vuole dimenticare il suo passato.
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita