''Vivere alla grande'', film sul gioco d'azzardo legale: «Ribelliamoci a questa logica»
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lunedì 14 dicembre 2015
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di Eva Signorile
Il documentario “Vivere alla grande” del 29enne barese Fabio Leli fa il punto della situazione e porta all’attenzione diverse storie di persone entrate in questo vortice rovinoso. Trasmesso in prima mondiale al 68esimo Festival di Locarno e al centro di critiche lusinghiere, è soprattutto un "j’accuse" verso le Istituzioni che continuano a incentivare il gioco legalizzato. Il film è in programmazione a Bari stasera e domani. Abbiamo intervistato il regista Fabio Leli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Cominciamo dal titolo del documentario, perché “Vivere alla grande”?
Il titolo nasce direttamente dal nome di un tipo di “gratta e vinci” che ormai non esiste più e che di fatto prometteva, oltre a una somma iniziale, anche una sorta di vitalizio a vita che si chiamava proprio così: “Vivere alla grande”. Trovo paradossale l’esistenza di un gratta e vinci con questo nome, considerando invece come realmente si riducono a vivere coloro che si illudono di poter cambiare la propria esistenza rovinandosi con questi biglietti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il film racconta in effetti storie di persone diventate schiave del gioco d’azzardo.
Sì, ci sono diverse storie nel documentario, ma due sono le principali: una è quella di Francesco Fiore, un ex giocatore d’azzardo che solo quando perde tutto, ma proprio tutto, dal denaro, alla famiglia, solo allora finalmente inizia a liberarsi della sua dipendenza. E questa è diciamo la storia a “lieto fine”. Perché poi ce n’è un’altra che è quella di un ragazzo marchigiano che invece, purtroppo, trova nella morte l’unico modo per liberarsi da questa "droga".
Quando è nata l’idea di un lungometraggio su questo tipo di dipendenza?
Nel 2009, quando la crisi già si stava facendo sentire. All’epoca vivevo a Roma e cominciai a notare che le slot machine stavano proliferando e i gratti e vinci erano diffusi ovunque. Una volta durante una festa di Natale, vidi una signora regalare a una ragazzina di 16 anni una busta: all’interno c’erano cinque gratta e vinci che dovevano grattare insieme, seguendo un certo rituale. Quello è stato probabilmente il momento di svolta per me. Non ci si poteva più fermare al semplice interesse, ma si doveva capire cosa stava accadendo alla nostra società.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E hai cominciato a pensare al documentario.
Sì, un lavoro che è durato ben cinque anni. Per quattro anni sono stato in giro per documentarmi e fare ricerche, mentre le riprese vere e proprie hanno richiesto circa un anno. Non ho avuto fondi pubblici di alcun tipo. All’inizio, ho anche provato ad accedere a due bandi regionali, ma non li ho vinti. Mi ha salvato il crowdfunding: in questo modo ho raccolto i 7mila euro necessari per iniziare a girare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La tua denuncia è rivolta alle Istituzioni: la politica potrebbe far qualcosa per invertire la rotta e porre un freno al proliferare del gioco?
Purtroppo penso di no, la politica è il principale responsabile di ciò che sta avvenendo ma ormai non può più tornare indietro sui suoi passi. Gli unici che hanno davvero il potere di fermare questo delirio siamo noi stessi, noi cittadini che possiamo ribellarci alle logiche di questo mondo insidioso, che dobbiamo trovare la forza per starne alla larga così da non restarne vittime.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il trailer del documentario:
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