La storia del glorioso Stadio della Vittoria, tempio del calcio barese per 56 lunghi anni
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lunedì 17 gennaio 2022
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di Marco Montrone - foto Nicola Velluso
BARI – Per 56 anni è stato il tempio del calcio barese e ha ospitato partite memorabili e campioni quali Meazza, Mazzola, Rivera, Zico, Platini e Maradona. È il glorioso Stadio della Vittoria, chiamato Arena dopo la ristrutturazione avvenuta negli anni 90 che l’ha trasformato in un contenitore sportivo e culturale. Un edificio-simbolo del capoluogo pugliese che ha vissuto varie vite e che racconta la storia della Bari del 900. (Vedi foto galleria)
Situato nel quartiere Marconi, tra la Fiera del Levante, il Villaggio Trieste e corso Vittorio Veneto, il Della Vittoria fu costruito per venire incontro alle esigenze dei biancorossi che negli anni 30 avevano cominciato a stazionare stabilmente in A. Una serie, quest’ultima, che aveva evidenziato i limiti del vecchio Campo degli Sports in cui la squadra aveva giocato sino ad allora.
La struttura, progettata dall’ingegner Angelo Guazzaroni e dall’architetto Vincenzo Fasolo, fu realizzata tutta in cemento armato e con capienza di 30mila spettatori, su un’area di 70mila metri quadri. La forma era quella di un’ellisse perfetta, classica degli stadi della Roma imperiale. Al centro della facciata si ergeva una torre (detta “di Maratona”) alta 42 metri, alla quale si affiancavano quattro torri laterali più basse.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il campo fu dedicato alla memoria dei caduti baresi durante la Prima Guerra e Mondiale e il suo nome richiamava proprio la vittoria ottenuta durante il conflitto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Dopo 14 mesi di lavoro (e l’impiego di 600 operai) venne inaugurato il 6 settembre 1934 alla presenza di Benito Mussolini. Il primo match ufficiale si tenne però il 16 dicembre di quell’anno: un Bari-Comense che terminò 3-1 per i padroni di casa e che fu disputato sotto un forte acquazzone. Da quel momento lo stadio divenne così la “casa” dei Galletti, ospitando ben 1200 incontri di calcio nei successivi 56 anni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
All’inizio il campo sportivo non ebbe vita semplice. Subì diversi danni dal bombardamento nazista del 2 dicembre 1943, per poi venire requisito dagli Alleati che lo trasformarono in un parcheggio di mezzi militari. Ridotto a un rudere, fu però ristrutturato alla fine della guerra, accogliendo per la prima volta la Nazionale Italiana, il 14 dicembre 1947 (successo per 3-1 contro la Cecoslovacchia). Mentre il 24 aprile 1949 qui giocò l’ultima sua partita di campionato il grande Valentino Mazzola, prima che la tragedia di Superga gli strappasse la vita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel 1955 la Torre di Maratona, mai ultimata, venne murata e infine abbattuta nel 1963. Il 1966 fu invece l’anno del primo impianto di illuminazione che consentì lo svolgimento delle gare in notturna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una curiosità. Fino agli inizi degli anni 80 tra curva nord, tribuna maratona e curva sud non c’erano separazioni: si poteva infatti cambiare settore durante il corso dell’incontro così da scegliere la migliore prospettiva attraverso cui guardare il match. Il settore unico veniva chiamato “gradinata” e si contrapponeva alla “esclusiva” tribuna coperta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’entrata non era però tra le più agevoli: gli ingressi erano minuscoli e protetti da una specie di gabbia in metallo. Questo comportava la creazione di lunghe file e c’era così chi ne approfittava per vendere vari oggetti, tra cui i “parasole” per il viso, realizzati con un cartoncino e un elastico. Mentre all’interno veniva smerciato lo “sportino borghetti”, liquore al caffè un tempo posto in un recipiente di vetro riscaldato da un contenitore termico che i venditori portavano a tracolla. Tra gli spalti durante l’intervallo girava anche un fotografo che immortalava (a pagamento) i tifosi che glielo chiedevano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La partita si vedeva bene. C’era sì una pista d’atletica e un piccolo fossato divisorio, ma le gradinate erano poste più vicine al terreno di gioco rispetto all’attuale stadio del Bari. Match che iniziavano immancabilmente con una voce registrata che, per tre volte, esclamava il nome di “Anthony Anthony Anthony”, marca di orologi venduta in un negozio del centro cittadino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma tutto ebbe fine nel 1990, quando la squadra si trasferì nel moderno e grande San Nicola. Il 22 aprile di quell’anno, contro la Cremonese, fu disputato l’ultimo incontro di campionato al Della Vittoria. Mentre il trionfo nella finale di Mitropa Cup contro il Genoa decretò, il 21 maggio, l’addio definivo al leggendario stadio.
La struttura iniziò così a ospitare amichevoli, eventi sportivi e concerti, sino a quando nell’agosto 1991 si decise di accogliere qui i 20mila profughi albanesi sbarcati con la nava Vlora. Ma nei sette giorni di “occupazione” il campo fu di fatto distrutto e reso inagibile. Venne così abbandonato per alcuni anni.
Grazie ai Giochi del Mediterraneo organizzati dalla città di Bari nel 1997, si trovarono però i fondi per la ristrutturazione del “vecchio” Della Vittoria, che da allora è risorto a nuova vita. Oggi è teatro delle sfide della Tigri Rugby e della Navy Seals, squadra di football americano. E al suo interno trovano poi posto la sede regionale del Coni, l’Istituto di Medicina dello Sport, la palestra di arti marziali Kyohan Simmi, l’accademia pugilistica Portoghese, la palestra di Taekwondo Dellino, il Club scherma Bari e anche il teatro di marionette La Casa di Pulcinella.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il campo sportivo è raggiungibile percorrendo il grande viale Orlando che, da corso Vittorio Veneto, conduce allo stadio il quale è introdotto dalla scultura “Mare Nostrum ‘97” dell’artista pugliese Cosimo Giuliano. Si tratta di una delle opere che è possibile ammirare lungo tutto il perimetro della struttura color ocra, installate durante i Giochi del Mediterraneo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In occasione della manifestazione furono anche dipinte le 22 porte d’ingresso da parte di artisti provenienti dai Paesi che parteciparono al torneo. Spicca tra queste quella “colorata” dal barese Gennaro Picinni, che riproduce due barchette con lo sfondo del Faro San Cataldo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una targa ricorda invece la figura di Peppino Cusmai, primo capo della tifoseria barese negli anni 50, precursore di quegli “Ultras curva nord” che sarebbero nati solo nel 1976. Alle spalle della curva sud è infine posizionata la balaustra in pietra e marmo bianco che introduceva all’antico albergo diurno un tempo presente in corso Vittorio Emanuele.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non resta ora che entrare. Attraversando il varco della tribuna coperta (che presenta ancora l’antica tettoia) ci ritroviamo così davanti a quel manto erboso che per decenni ha ospitato gli incontri calcistici.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tutto qui sembra essere rimasto uguale, con un’unica eccezione: ora al posto delle porte di calcio ci sono quelle di rugby. Per il resto sono ancora presenti il piccolo fossato che divideva gli spalti dal campo, la pista d’atletica (seppur molto rovinata) e persino il sottopassaggio che permetteva l’ingresso e l’uscita dei calciatori dagli spogliatoi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Prima di andarcene ci sediamo e ci guardiamo intorno. Andiamo indietro con la memoria. E per un attimo ci pare di ascoltare delle grida: quelle di coloro che in questo glorioso tempio del pallone hanno sofferto e gioito, perdendo persino la voce quando a gonfiare la rete era il Bari, la propria vecchia e amata squadra biancorossa.
(Vedi galleria fotografica)
* Con la collaborazione di Giancarlo Liuzzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- Nicola - Sarebbe meglio tornare li il san nicola è stato costruito male con gli spalti lontani anni luce dal campo le coperture tutte rotte. Costerebbe meno ristrutturare il delle vittorie e poi li c'è la nostra storia ed è uno stadio storico
- Antonio Colavitti - "Anthony, che stile!" echeggiava sempre e il miglior calciatore o capitano della squadra ospite veniva omaggiato con l'orologio Anthony, mio zio Giove Antonicelli, assieme ai suoi fratelli, sono stati antesignani di una forma di marketing strategico unico nel suo genere per quegli anni nella città di Bari. Ero un bimbo e ne andavo orgoglioso...Rivera, Mazzola, etc...Quando la Bari era "la Bari"
- Lorenzo Di Fonzo - Che bei tempi, quando entrare allo Stadio della Vittoria era una felicità! Il primo ricordo risale ad un Bari-Alessandria (non so l'anno, forse il 60) sotto la pioggia. E vi ricordate quando appena prima della partita dall'altoparlante risuonavano le note della canzone portafortuna: Brigitte Bardot, Bardot ... Il mio primo idolo fu Magnanini. Il più grande Lucio Mujesan.
- Francesco Lattarulo - Un piccolo ma curioso contributo storico: durante il periodo dell'occupazione anglo-americana, il nostro stadio era chiamato "Bambino stadium" dalle truppe americane, ed usato per le partite di baseball. Traggo questa informazione dal libro di Glenn B. Infield dal titolo "Disastro a Bari", con riferimento al grave bombardamento tedesco del porto di Bari avvenuto il 2 dicembre 1943.