di Raniero Pirlo

Crà, mìire, fresole: le parole del dialetto barese che derivano dal latino perduto
BARI – Nel dialetto barese “domani” si dice crà, “vino” si traduce in mmìre e “padella” si pronuncia fresole. Nel variegato vernacolo del capoluogo pugliese ci sono infatti termini che, pur derivando dalla lingua madre del latino, si discostano completamente dall’italiano. Attenzione: non si tratta di parole che hanno subito l’influenza della dominazione araba, francese o spagnola, ma di vocaboli che arrivano direttamente dall’antica Roma, riusciti nel corso dei secoli a mantenere, a Bari, la propria identità. La città ha quindi preservato alcuni lemmi che invece nel resto della Penisola sono andati perduti.

Siamo così andati alla scoperta di questi termini arcaici con l’aiuto di Giovanni Manzari, dialettologo assegnista di ricerca della Scuola Normale Superiore di Pisa.

Dunque partiamo da un concetto chiarificatore: il barese, come tutti gli altri dialetti italiani, non è altro che un’evoluzione del latino…

Sì, il dialetto barese altro non è che l’evoluzione del latino parlato in Puglia a partire dall’età romana. Questo vale per la stragrande maggioranza dei dialetti italiani, oltre che per l’italiano stesso, i quali sia per il lessico sia per le strutture grammaticali sono la continuazione della lingua degli antichi romani. Certo, anche in Terra di Bari la lingua locale si è poi arricchita nel tempo di qualche prestito lessicale delle popolazioni straniere che si sono avvicendate, come longobardi, francesi, spagnoli e arabi. Tuttavia ancora oggi se prendiamo una parola qualsiasi di uso comune del dialetto barese, nella maggior parte dei casi sarà erede diretta di una parola latina. Per fare giusto un esempio: iòsce deriva da hodie che in italiano è divenuto “oggi”.

In effetti il suono è molto simile. Ci sono però delle parole con radice latina che si discostano notevolmente dall’italiano.

Sono fenomeni dettati spesso da una casualità: ogni lingua o dialetto romanzo ha selezionato una parte del lessico latino, in modo a tratti arbitrario. Inoltre a volte vi è un fattore di arcaicità: i dialetti pugliesi, trovandosi in un’area dell’Italia relativamente marginale, hanno conservato voci che altrove sono state sostituite da altre.

Facciamo qualche esempio.

È il caso di fresole dal latino frixoria, che a sua volta viene da frigere, ossia “friggere”. É curioso come solo a Bari si sia affermata questa parola, visto che in italiano lo stesso oggetto viene chiamato “padella”, stretta derivazione del latino patella.


Ci sono anche vari avverbi di tempo che nel dialetto barese continuano direttamente il latino e non trovano corrispettivi nell’italiano.

Sì, per indicare “domani” e “dopodomani” in barese si dice crà e pescrà dal latino cras e postcras. In italiano invece si è presa tutt’altra strada, visto che il termine “domani” non risale alla voce latina corrispondente ma a de mane, che significa “di mattina”. Un altro esempio è il termine utilizzato per indicare il giorno prima dell'altroieri: si utilizza la parola nestèrze da nudius tertius traducibile letteralmente con “è ora il terzo giorno da…”.

E invece per i verbi?

C’è il verbo schescetà, che significa togliere una preoccupazione, un pensiero. Viene da cogitare, cioè “pensare” preceduto dalla preposizione ex, come dire che ci si trova fuori dal pensiero. “Excogitare” col tempo ha perso la “e” iniziale e si è trasformato in schescetà. In italiano invece non ci sono continuatori diretti di cogitare: una voce come “escogitare” è infatti di origine dotta, non di trafila popolare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Perché poi a Bari il vino si dice u mìire e non u vine?

Questo è un caso interessante. Il termine mìire a indicare il “vino” lo si trova solo in Puglia e in parte della Lucania. In tutte le altre lingue e dialetti romanzi si hanno i continuatori di vinum. Il barese mìire viene dall’aggettivo sostantivato merum, ovvero il vino puro che i romani annacquavano prima di portarlo a tavola. Potremmo dire che il parlante pugliese ha voluto, forse inconsapevolmente, ribadire la purezza e l’intensità di sapore dei suoi schietti vini locali, non alleggeriti o adulterati.

Una curiosità: c’è un termine del barese assai particolare, che non trova riscontri in altri dialetti. Parliamo di “filecenza”: da dove deriva?

In questo caso parliamo di una classe di voci completamente diversa, che non ha nulla a che fare con la continuazione diretta del latino parlato localmente. Si tratta infatti di un lemma recepito sempre dal latino ma in tempi relativamente recenti, una di quelle parole presa in prestito dagli ambiti religioso e giuridico in cui il latino è rimasto in uso per più tempo. Filècènze è possibile che sia da ricondurre a un’espressione come fit licentia, cioè “si fa un permesso” e proprio per questo motivo è stato sempre usato dai bambini baresi per fermare il gioco in cui erano impegnati, per dichiarare una pacifica tregua.


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Raniero Pirlo
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  • FELICE GIOVINE - Finalmente note corrette e attendibili sulla lingua barese.
  • Sebastiano Gernone - Ottimo articolo
  • nicola cutino - Sì. Iè bune u mirre, ma pote da' a la cape. Verissimo che la maggior parte dei vocaboli dialettali derivano dai termini della lingua latina detta anche romanza. Qualche buontempone azzarda una percentuale pari al 94%. Il resto sono di derivazione di lemmi importati dalle popolazioni che hanno dominato sul nostro territorio arricchendo notevolmente il patrimonio delle lingue autoctone. Utile una buona conoscenza del latino, del greco e delle altre lingue per rendersi conto della bellezza delle lingue meridionali , pugliesi, barese e delle loro assonanze. Esistono in merito approfonditi studi da lungo termine ed esistono qualificati studiosi che hanno pubblicato in merito. Per un arricchimento riporto un lungo elenco di Cognomi derivanti, ad esempio dal greco sperando in una buona lettura di chi naviga sul web: COGNOMI ITALIANI D'ORIGINE GRECA Importanza straordinaria per la formazione dei cognomi meridionali specie in Calabria fu il contributo greco in seguito al lungo perdurare della lingua greca in queste terre. In ordine alfabetico: Alampi (risplendente), Amendolia (mandorlo), Amuso (grossolano, rozzo), Andidero (dono in contraccambio), Anghelone (messaggero), Arcudi (piccolo orso), Argurio (moneta d’argento), Attinà (pettinaio), Azzarà (pescatore); Bambace (cotone), Barillà (bottaio), Buccafurri (bocca di forno); Caccamo (grande caldaia dei pastori), Caliciuri (buon signore), Calogero (monaco), Calanna (buona Anna), Calù (buono), Camini (fornace), Cananzi (il prediletto), Cannatà (fabbricatore di vasi di creta), Cannavò (grigio), Cannistrà (fabbricatore di canestri), Cardìa (cuore), Caridi (noce), Cartellà (chi fa o vende ceste), Cartolaro (funzionario addetto all’ufficio del catasto), Catona (tenda), Catricalà (sorta di trappola per uccelli), Ceraso (ciliegia), Chiofalo (testardo), Chilà (uomo dalle grosse labbra), Chinigò (cacciatore), Chiriaco (del signore), Chiriatti (signor sarto), Chiricò (clericale), Cilea (ventre), Codispoti (signore di casa), Comerci (imposta, dogana), Comi (alto funzionario bizantino), Condò (corto), Crea (carne), Crisafi (oro), Crisafulli (oro), Criserà (chi fa o vende setacci), Crupi (tosato), Cundari (corto), Curatola (capo dei mandriani), Curìa (barbiere); Curmaci (tronco), Cutellà (chi fa cucchiai), Cuzzocrea (di carne mozza); Dascola (maestro), Dattola (dito); Facciolà (chi fa o vende fazzoletti da capo), Fagà (chi mangia molto), Falcomatà (calderaio), Fallà (bosco di sugheri), Fantò (visibile), Farace (incisione), Fascì (fascio), Filastò (amuleto), Filocalo (amante del bello), Floccari (chioccia), Foti (luce), Fotia (fuoco), Frega (pozzo), Furnari (fornaio); Galatà (lattaio), Galipò (difficile); Gerace (sparviero); Jerinò (gru); Lacaria (albero di noce), Laganà (venditore di ortaggio), Lagano (cavolo), Lanatà (chi vende pelli di animali), Lardì (lardo), Lauria (piccoli cenobi), Leandro (santo), Liano (minuto, magro), Licari (lupo), Lico (lupo), Logoteta (amministratore), Lojero (vecchio); Macrì (il lungo), Macellari (macellaio), Magaraci (grande ruscello), Malacrinò (bruno), Mallamace (oro), Mallamo (oro), Mammì (levatrice), Managò (monaco), Mandaglio (piccolo chiavistello), Manglaviti (ufficiale bizantino in funzione di guardia del corpo), Manti (indovino), Marafioti (luogo di finocchi), Megale (grande), Melìa (frassino), Melissari (apicultore), Messineo (di Messina), Mezzòtero (il maggiore), Miraglia (ammiraglio), Mirarchi (alto grado militare, generale), Monorchio (con un solo testicolo), Musicò (musicale); Natoli (orientale), Nisticò (digiuno); Ollìo (ghiro); Pachì (grasso), Palamara (gomena), Pangallo (molto buono), Papalia (prete Elia), Papasidero (prete Isidoro), Pedace (bambino), Pedullà (farfalla), Pellicanò (picchio verde), Pennestrì (segatore), Piria (pettirosso), Piromalli (chi ha i capelli rossi), Piscopo (vescovo), Pitasi (cappello), Polifroni (di molti anni), Politanò (della città), Politi (cittadino), Praticò (attivo), Pristerà (luogo di colombi), Privitera (prete), Prochilo (manuale), Puja (vento di terra), Puterà (chi fabbrica bicchieri); Rodano (rosso), Rodinò (rosso), Rodotà (pieno di rose), Romanò (romano), Romeo (di Roma), Rudi (melagrana); Sbano (sbarbato), Scalì (gradino), Schimizzi (brutto), Schirò (duro), Scirtò (curvato), Scordo (aglio), Scutellà (chi fa scodelle), Sgro (dai capelli ricciuti), Sindona (lenzuolo), Sirti (tirabrace del forno), Sismo (terremoto), Sorgonà (fabbricante di grosse e alte ceste per tenervi il pane), Spanò (sbarbato), Spinà (cuneo), Straticò (capo militare); Tambo (abbagliato), Trimarchi (capo di una squadra militare), Tripepi (degno di Dio), Tripodi (treppiede), Triveri (povero); Villari (membro virile); Zangari (calzolaio), Zema (brodo), Zerbi (mancino), Zimmaro (capretto), Z’inghinì (parente), Zuccalà (pentolaio). Sono assai frequenti alcuni suffissi greci che esprimono provenienza da un luogo. Abbiamo così: - anò: Romanò, Serranò. - eo: Cotroneo (di Crotone), Messineo (di Messina), Romeo (di Roma). - itano: Jeracitano (di Gerace), Locritano (di Locri), Militano (di Melito (RC) o di Mileto (CZ) (?), Reitano (di Reggio), Riggitano (di Reggio), Tarsitano (di Tarsia), Votano (di Bova). - oti: Chiaravalloti (di Chiaravalle), Geracioti (di Gerace), Liparoti (di Lipari), Squillacioti (di Squillace), Seminaroti (di Seminara). - iti: Bruzzaniti (di Bruzzano), Catanzariti (di Catanzaro), Mammoliti (di Mammola), Palermiti (di Palermo), Taverniti (di Taverna). Mentre queste desinenze esprimono, come detto, provenienza da un luogo il suffisso - à (con accentuazione tronca, in greco as) indica il mestiere di un antenato: Barillà (fabbricante di barili), Cutellà (che fa cucchiai), Laganà (venditore di ortaggi), Scutellà (chi fa scodelle), Zuccalà (pentolaio) Di non chiara origine greca sono invece i cognomi con desinenza in ari: Cuppari, Gurnari, Licari, Muccari, Scullari, Siclari (fabbricante di secchie), Sclapari. Sembrano appartenere ad una grecità originale, autoctona ed indipendente. Da sette o otto secoli la formazione dei cognomi italiani sembra aver raggiunto uno stato definitivo. [Fonte: Mimmo Codispoti] Il Rohlfs, sulla base dei ricchi materiali dialettali che in lunghi anni di indagini era andato raccogliendo nell’estremo Sud d’Italia, ha sostenuto la loro discendenza diretta dalla colonizzazione operata dagli Elleni emigrati al tempo della Magna Grecia. Fra le sue opere ricordiamo: · "Scavi linguistici nella Magna Grecia" (1934); · "Dizionario dialettale delle tre Calabrie" (1932-39); · "Dizionario etimologico della Grecità Meridionale" (1930), ripubblicato nel 1964.
  • Emanuele Zambetta - Che bell'articolo! Viate a cci sape! U djalètte jé stòrje de nu pòbbue. Mi complimento col professionalissimo Manzari e colla Redazione che si dimostra costantemente fedele alla baresità.
  • Luciano - A Bari "fresole", a Foggia "frizzol"


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