Bari, l'isolato rione Stanic: nome e destino legati a una grande raffineria
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lunedì 24 novembre 2014
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di Eva Signorile
«La fabbrica nata come raffineria nel 1937, sotto il nome di "Anic", nel 1951 fu acquistata per il 50 per cento dalla Esso e mutò il suo nome in "Stanic" – ci spiega Nicola De Toma, residente nel rione e con un passato da consigliere proprio per la circoscrizione San Paolo-Stanic -. Gli imprenditori si preoccuparono quindi di costruire alloggi per i propri dipendenti e sorse così il quartiere che da quella azienda prese il nome».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Si tratta di un gruppo di abitazioni nate intorno a una raffineria con il camino che sputava fuoco e fumi per quasi tutta la giornata. Oggi però la fabbrica è una vasta area semi abbandonata, in parte di proprietà della Mercedes, con il suo inconfondibile muro di cinta che costeggia via Bruno Buozzi per diverse decine di metri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Di fatto il quartiere è formato da due zone distinte: la Stanic “vecchia” e il Villaggio del lavoratore. Due zone “separate in casa”, collegate unicamente da via Bruno Buozzi, un’arteria di due chilometri eternamente trafficata che impedisce di spostarsi a piedi da una parte all’altra del quartiere, a meno che non si voglia rischiare la propria vita fra auto e camion che sfrecciano a velocità sostenuta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La Stanic “vecchia” è quella che sorge accanto alla centrale elettrica dell’Enel in via di dismissione. Adiacente al complesso c’è un’area caratterizzata da basse palazzine di pochi piani, stretta tra due anguste arterie: via Cassala, che costeggia la scuola Falcone-Borsellino e via Calace, lungo la quale un buco in un muro ci rivela, indiscreto, il campetto di calcio del quartiere (nella foto).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sullo sfondo di via Calace in particolare aleggia l’imponente mole di uno dei serbatoi della centrale: incuriositi, cerchiamo così un modo per ammirarla nella sua interezza, prima che venga definitivamente smantellata. Saliamo quindi sull’attico dell’edificio della Cgil, a sinistra della strada, in modo da poter avere una panoramica sullo stabilimento. La vista dà effettivamente la sensazione che la chiusura sia ormai alle porte: tra gli enormi ventilatori cilindrici e la sala macchine si “infila” un viale semideserto, illuminato dalle ultime luci del tramonto. (vedi foto galleria)
Scrutiamo dall'alto anche le case popolari: sembrano un allegro agglomerato declinato su diverse sfumature del giallo, ma basta imboccare una delle piccole traverse per notare ben altri scenari. L'allegria del giallo sfuma troppo spesso in toni più sbiaditi, fino a trasformarsi in un anonimo bianco sporco. Una pietosa mano di colore non guasterebbe, ma la vita pulsa comunque nei panni stesi che si gonfiano al vento e tra le signore che si scambiano le notizie del giorno con le buste della spesa in mano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Sull’altro lato di via Buozzi ci sono i condomìni più moderni: è la zona che qui chiamano “dei cancelli grigi” in cui contiamo anche un negozietto di detersivi. Ma è sul lato opposto che si concentra la vita commerciale del quartiere, spalmata su una manciata di locali: una farmacia, un tabaccaio, una pizzeria aperta da poco, un bar, un’edicola, un panificio e all’interno del rione una salumeria-mini market (“Da Mimmo”), un centro snai e un meccanico. Non molto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Lo Stanic è un quartiere poco servito - afferma la signora Antonella -. Manca tutto, soprattutto dei supermercati forniti. E poi le strade sono rovinate e sporche». «Mancano i luoghi di aggregazione - continua la signora Anna -. Vorremmo più spazi verdi per dare la possibilità ai nostri ragazzi di incontarsi con i loro coetanei, stando al sicuro».«Le istituzioni non fanno niente per riqualificare il quartiere», ci dicono praticamente all'unisono Luigi, Andrea e Vito, proprietari rispettivamente del bar, della pizzeria e dell'edicola. Come dargli torto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Oltrepassato il semaforo di via Bruno Buozzi, in direzione Modugno, alla nostra sinistra si nota un’antica costruzione rossastra, il cui cancello si fa spazio fra gli ulivi. «E’ il vecchio mulino. Ora è in vendita», ci spiega De Toma. Alla nostra destra il muro della Stanic ci accompagna instancabile. Imbocchiamo una stradina a destra: è strada Torre dei cani, che prende il nome dalla masseria presente. «Si dice che la masseria si chiami così perché al suo interno erano ospitati molti cani – dice Nicola -. Il suo nome è passato poi alla strada, che un tempo si chiamava invece via dei Serpenti». Preferiamo però ignorare l’origine del nome più antico di questa via che si inoltra nella campagna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le contraddizioni del quartiere qui si acuiscono: da un lato la masseria, dall'altro un insieme di capannoni abbandonati. Le lamiere arrugginite della Edilferro svettano allettanti per gli appassionati di archeologia industriale. La strada si fa stretta e prosegue in un degrado sempre più evidente e ingombrante: rifiuti e fusti di sostanze chimiche abbandonati ovunque, persino l’abbozzo di un campo nomadi. La via sbocca su una garritta che ospitava il sorvegliante della Stanic.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Torniamo indietro. Qui siamo fermati da un gruppo di uomini. Sono i proprietari di alcuni capannoni presenti su via Torre dei cani: chiedono di essere ascoltati, si lamentano dell'abbandono in cui versa l'area ed è impossibile smentirli. «Non c'è luce, non c'è controllo, siamo completamente ignorati – affermano -. Non possiamo neanche fittare o vendere questi capannoni perché nessuno li prende, così privi anche di illuminazione». Ci mostrano la richiesta inoltrata al Comune per avere almeno la luce, un appello però rimasto inascoltato. «Però quando si tratta di farci pagare l'Imu e la Tasi, allora lo sanno che esistiamo, quelli del Comune», è il loro amaro commento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ritorniamo su via Bruno Buozzi. Il distributore di benzina alla nostra sinistra ci offre nuovi scorci di vecchie strutture industriali in abbandono. Oltre un cancello troviamo un camion rosso. Sembra un vecchio mezzo dei pompieri o un giocattolo troppo cresciuto: sta lì incurante del tempo che passa, dimenticato dalla storia. Il distributore (uno dei quattro presenti su quella strada) si affaccia su lama Lamasinata, di fronte, ci sono le prime palazzine del Villaggio del lavoratore, che si estende dopo il ponte che congiunge i due costoni della lama.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La parte più antica del Villaggio è costituita dai "villini", casette con piccoli giardini sorti intorno agli anni 50. Il quartiere è in espansione edilizia e rischia di farne le spese il progetto di costruzione di una scuola. L'area destinata all’istituto è ora recintata e pare che vogliano costruirvi un palazzo. Nel frattempo, al suo interno sono state lasciate alcune giostrine che così sole sembrano strani scheletri di dinosauri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il muro di fronte alla chiesetta è tappezzato di foto di un ragazzo: il quartiere si è stretto così nel lutto per l'ennesima vittima della strada. La strada laterale della chiesa, ci porta a ridosso di una costruzione. Qui De Toma ci mostra il degradato ipogeo “del Monaco” o dell'”Eremita”, così chiamato perché al suo interno viveva, appunto, un eremita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’area abitata muore qui, lungo i binari della ferrovia Bari-Taranto. Non ci resta allora che lasciarci alle spalle questo strano quartiere, nato grazie alla raffineria Stanic, “madre” che ha dato a tante persone luce e pane, della quale però resta solo il ricordo. (Vedi ampia galleria fotografica)
*con la collaborazione di Mariangela Dicillo
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- giuseppe di taranto - perche' non parliamo del villaggio del lavoratore molto piu' vecchio addirittura del san paolo .. con mancanza di scuola materna ed elemenare .. con un ponte su via bozzi senza marciapiedi ...la gente cammina sui muri ... senza parafarmacia ...senza neg alimentari ...senza un mezzo che va al san paolo ...senza .... ti aspetto ...SIAMO STUFI